Le raccolte fondi per aiutare i malati hanno qualche rischio
Per esempio che favoriscono i malati più bravi col marketing e la promozione della loro condizione
Le piattaforme di raccolta fondi online o crowdfunding – quei siti che permettono di organizzare raccolte fondi per finanziare vari tipi di progetti – sono nate per sostenere idee imprenditoriali o produzioni culturali ma nel tempo sono diventate sempre di più, si sono diversificate e specializzate: alcune permettono di raccogliere soldi per persone che ne hanno bisogno perché hanno un problema economico, in molti casi legato a una malattia grave. YouCaring e GiveForward, per esempio, sono fatte apposta per le persone che hanno bisogno di pagare costose spese mediche, spese scolastiche, i costi di un funerale o cose simili. GoFundMe, una piattaforma più grande, permette di finanziare vari progetti ma ha una sezione specifica per aiutare chi chiede donazioni per ragioni di salute: nel 2011, cioè dopo un anno dall’apertura di GoFundMe, c’erano state ottomila campagne di crowdfunding di questo tipo, nel 2015 sono state più di 740mila in tutto il mondo. Si possono chiedere soldi per qualsiasi tipo di trattamento medico, fatta eccezione per le interruzioni volontarie di gravidanza e l’eutanasia.
GoFundMe si può usare anche dall’Italia, grazie al sistema di pagamento Stripe, e lo stesso vale per YouCaring, grazie a PayPal. Gli italiani che lanciano una campagna di crowdfunding su queste piattaforme spesso hanno bisogno di andare all’estero per fare delle visite specialistiche, perché hanno malattie rare o ancora poco conosciute in Italia, oppure perché vorrebbero sottoporsi a cure sperimentali presenti in altri paesi. Tra le altre, in questo momento su GoFundMe ci sono le raccolte fondi di una donna sarda che vorrebbe farsi seguire da un medico americano specializzato nella cura della malattia di Lyme e quelle dei genitori di due bambini che hanno un raro tipo di tumore al cervello, molto aggressivo: per uno dei due bambini si chiedono fondi per finanziare un viaggio e un’operazione negli Stati Uniti, per l’altro soldi per partecipare a una sperimentazione britannica. La donna sarda ha già raccolto 17mila euro dei 20mila di cui ha bisogno, i genitori di uno dei due bambini 60mila euro dei 100mila che chiedono.
Negli Stati Uniti il bisogno di queste piattaforme è particolarmente sentito e non solo per condizioni mediche eccezionali, perché nel paese non esiste un sistema sanitario nazionale gratuito: per avere una copertura sanitaria bisogna stipulare un’assicurazione. Secondo le stime degli istituti di ricerca, tra il 21 e il 66 per cento delle persone che vanno in bancarotta negli Stati Uniti, lo fanno a causa delle spese mediche. Secondo uno studio del 2014, il 4 per cento di questo genere di bancarotte è stato evitato grazie a campagne di crowdfunding. Tuttavia le campagne di crowdfunding non funzionano sempre e alcune persone possono essere svantaggiate rispetto ad altre, nonostante difficoltà maggiori.
La giornalista di BuzzFeed News Anne Helen Petersen ha spiegato perché in un articolo intitolato The Real Peril Of Crowdfunding Health Care, cioè “Il rischio reale del crowdfunding usato come sistema sanitario”. Petersen fa subito notare che la prima cosa che distingue una campagna di crowdfunding per finanziare spese mediche da un’altra è la drammaticità della storia della persona in difficoltà: le campagne che riscuotono maggior successo sono quelle che riescono ad attirare l’attenzione delle persone intenzionate ad aiutare qualcuno che ha bisogno. Per questa ragione le campagne di crowdfunding non possono sostituire un sistema sanitario nazionale e nemmeno essere un vero equivalente di ciò che facevano un tempo le associazioni di mutuo soccorso.
Petersen racconta il caso di Kati McFarland, una studentessa di 26 anni dell’Arkansas che ha una rara malattia genetica, la sindrome di Ehlers-Danlo: è una malattia i cui numerosi sintomi possono rendere molto difficile la vita quotidiana di chi ne è affetto. In particolare McFarland fa fatica a stare in piedi, a camminare e a mangiare senza sentire dolore, spesso le viene da vomitare o da svenire; fino a poco tempo fa riusciva a curarsi grazie alla copertura assicurativa di suo padre, che però è morto lo scorso anno, lasciandola impossibilitata a pagare le proprie spese mediche e mettendola a rischio di sfratto. Un po’ perché McFarland è giovane ma non una bambina (ovviamente le storie di bambini malati attirano in media più attenzioni e donazioni), un po’ perché la sua malattia è poco conosciuta e difficile da spiegare, inizialmente la sua campagna di crowdfunding su YouCaring (da circa 60mila dollari, cioè circa 56mila euro) non ha avuto molto successo: dopo due mesi aveva raccolto meno di seicento dollari. La campagna sarebbe probabilmente fallita se la donna non avesse partecipato a un incontro pubblico con il senatore dell’Arkansas Tom Cotton durante il quale è stata filmata mentre, usando un deambulatore per sostenersi, diceva di fare parte di una famiglia Repubblicana e chiedeva che l’Affordable Care Act dell’amministrazione Obama non fosse eliminato. La diffusione del video è servita a fare aumentare notevolmente le donazioni sulla sua pagina di YouCaring: ora McFarland ha raccolto quasi 47mila dollari.
La storia di McFarland dimostra che le ragioni per cui una campagna di crowdfunding possa funzionare o meno non dipendono esclusivamente dalla gravità delle condizioni di chi chiede denaro per curarsi. Non tutti sono bravi con le tecniche del marketing e riescono a «vendere il proprio bisogno di denaro», come spiega Petersen, perché bisogna avere una predisposizione a raccontare le cose in modo drammatico dato che l’unica cosa che i benefattori che donano soldi a chi li chiede sulle piattaforme di crowdfunding ottengono è il racconto di una storia triste e ingiusta e la sensazione di aver provato a porvi rimedio.
Alcune campagne di crowdfunding poi sono in qualche modo discriminate per via delle caratteristiche proprie delle persone che le hanno lanciate: è favorito chi ha una malattia considerata fuori dal controllo di chi ne è afflitto (come i tumori e le malattie genetiche), mentre è svantaggiato chi ha per esempio una tossicodipendenza o un disturbo mentale, considerate malattie per cui chi ne è afflitto ha una responsabilità. Per Petersen il sistema del crowdfunding per pagare le spese mediche aumenta un’ingiusta e semplicistica gerarchizzazione delle malattie già presente nella società. Poi ci sono anche le persone svantaggiate perché non sanno usare (o non conoscono) strumenti come le piattaforme di crowdfunding e i social network: sono tagliate fuori in partenza dalla possibilità di compensare alle mancanze delle proprie coperture assicurative con GoFundMe e simili. Il sistema del crowdfunding è utile solo a chi ha un certo tipo di capacità e connessioni.
Petersen non vuol dire che le campagne di crowdfunding mirate a pagare spese mediche siano una cosa negativa. Tra le varie categorie di persone per cui le piattaforme di crowdfunding sono state molto importanti ci sono diversi che sono riusciti a finanziare operazioni per cambiare sesso o trattamenti per l’infertilità. Tuttavia il fatto che molte persone usino piattaforme come GoFundMe come ultima risorsa indica che ci sono persone in difficoltà che le istituzioni pubbliche non riescono ad aiutare – negli Stati Uniti in particolare – e questo dovrebbe far pensare a nuove soluzioni. Soprattutto quando si parla di malattie rare il problema riguarda anche paesi come l’Italia, dove il sistema sanitario nazionale in molti casi copre le spese mediche in modo gratuito.