In Argentina non si sta giocando a calcio
La Primera División sarebbe dovuta iniziare un mese fa, ma ci sono problemi con la federazione e i diritti televisivi e ora i calciatori scioperano
Mentre quasi tutti gli altri campionati sudamericani di calcio sono iniziati da qualche settimana, quello argentino, la cui prima partita era in programma un mese fa, non è ancora cominciato. Dopo un primo ritardo, questo fine settimana si sarebbe dovuto disputare il primo turno, ma non è stato possibile. I motivi sono diversi: il principale è lo sciopero dei calciatori, che per iniziare a giocare chiedono il pagamento degli stipendi arretrati, ma a peggiorare la situazione c’è anche la difficile condizione economica in cui si trovano molti club, che impedisce il pagamento degli stipendi ai calciatori, e i problemi all’interno della federazione calcistica nazionale, l’AFA. Lo sciopero non riguarda solo la Primera División, il massimo livello del campionato nazionale, ma anche tutte le altre serie professionistiche.
L’inizio del campionato era stato inizialmente posticipato per i problemi all’interno dell’AFA. Da agosto infatti, la federazione è governata da un gruppo di dirigenti nominati dalla FIFA — quindi una sorta di commissariamento — dopo che i vecchi dirigenti erano stati accusati dalle autorità statunitensi di partecipare da almeno vent’anni a “un’associazione a delinquere volta ad arricchirsi attraverso la corruzione e il riciclaggio di denaro”, nell’ambito delle indagini che nel 2015 avevano coinvolto le più alte cariche della FIFA. Recentemente i membri dell’AFA — che secondo i giornali argentini sono divisi in gruppi, l’uno opposto all’altro — stanno discutendo con la FIFA sulle modalità con le quali si svolgeranno le elezioni federali per rinnovare i vertici dell’organizzazione: dovrebbero tenersi il 29 marzo, ma non sembra esserci nulla di certo. A complicare ulteriormente la situazione ha contribuito la disputa per i diritti televisivi, il cui precedente accordo è stato da poco annullato con il benestare del governo.
Nel novembre del 2015 Mauricio Macri, presidente del Boca Juniors dal 1995 al 2007, è diventato presidente dell’Argentina, il primo conservatore dopo dodici anni di governo dei partiti della sinistra populista. Nel corso della sua campagna elettorale, Macri si era impegnato a mantenere Futbol Para Todos, il programma creato nel 2009 dal governo di Cristina Fernandez de Kirchner, presidente dell’Argentina dal 2007 a 2015, per trasmettere in chiaro tutte le partite del campionato argentino. All’epoca vennero pagati l’equivalente di 700 milioni di dollari per un accordo della durata di sette anni ma già un anno fa Boca Juniors, River Plate, Racing de Avellaneda e Independiente, quattro fra le squadre più seguite del paese, erano uscite dall’accordo stipulando un contratto per la trasmissione esclusiva delle proprie partite con Canal 13, emittente del gruppo Clarín.
La fine di Futbol Para Todos, appoggiata dal governo Macri, è stata annunciata lo scorso dicembre e ufficializzata il 24 febbraio. L’AFA si è vista così costretta a trovare in fretta dei nuovi acquirenti per i diritti televisivi per garantire risorse vitali ai club, che già si trovano in una grave situazione debitoria. Nel frattempo, però, non è stato stretto nessun nuovo accordo e la situazione economica di molti club argentini è andata peggiorando, visto che i diritti televisivi sono una parte fondamentale dei fatturati dei club dei principali campionati del mondo. Trovandosi senza le garanzie di nuovi accordi per i diritti televisivi, le società continuano ad avere difficoltà a pagare gli stipendi ai propri tesserati, e questo ha alimentato le proteste del sindacato dei giocatori, che il 2 marzo ha annunciato lo sciopero generale facendo slittare ancora l’inizio del campionato.
Nemmeno il recente versamento di circa 21 milioni di euro complessivi alle squadre della Primera División da parte del governo è servito a far sospendere lo sciopero. Per far riprendere il campionato, il sindacato dei calciatori chiede il pagamento degli stipendi arretrati di tutti i giocatori, dalla prima all’ultima divisione professionistica, ma in questo momento sono ancora molti i club che non possono sostenere questa spesa.