La prima “sconfitta” parlamentare su Brexit
La Camera dei Lord ha votato un emendamento che garantisce ai cittadini dell'UE che vivono nel Regno Unito gli stessi diritti di residenza anche dopo Brexit e che ne ritarderà l'approvazione definitiva
Mercoledì 1 marzo la Camera dei Lord – che sta esaminando il disegno di legge che permetterà al governo del Regno Unito di invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona per l’uscita dall’Unione Europea – ha votato un emendamento che prevede di concedere automaticamente anche dopo Brexit il diritto di residenza ai cittadini dei paesi dell’Unione che hanno già il domicilio nel Regno Unito: si tratta di più di 3 milioni di persone. L’emendamento prevede che il governo presenti delle proposte concrete sulla tutela dei diritti di residenza: è stato presentato dal Partito Laburista ed è stato approvato con 358 voti a favore e 256 contrari. Hanno sostenuto la proposta anche i LibDem e numerosi rappresentanti del Partito Conservatore, quello della prima ministra Theresa May.
Dal voto del referendum del giugno scorso è la prima volta che Brexit subisce quella che molti giornali internazionali hanno definito «una sconfitta». Lo scorso 8 febbraio la maggioranza dei deputati della Camera dei Comuni del parlamento britannico aveva approvato in terza e ultima lettura il disegno di legge che era passato senza alcuna modifica: tutti gli emendamenti presentati erano infatti stati respinti. Il voto della Camera dei Lord non mette in discussione il disegno di legge e l’emendamento potrà essere cancellato, ma potrebbe causare uno slittamento dei tempi di approvazione definitiva.
Nei programmi del governo l’articolo 50 del Trattato di Lisbona dovrebbe scattare il 9 marzo o comunque entro la fine del mese. Ora il disegno di legge dovrà tornare alla Camera dei Comuni. A questo punto potrebbero succedere due cose: i deputati potrebbero votare come i Lord sulla questione dei diritti dei residenti dei cittadini dell’Unione Europea o potrebbero invece rifiutare l’emendamento dando inizio a quello che viene definito un “ping pong” tra le due camere fino a quando prevarrà la decisione dei Comuni che in quanto camera elettiva hanno la prevalenza su una camera invece nominata.
Il governo di Theresa May aveva lasciato intendere che la garanzia del diritto di residenza dei cittadini appartenenti alla UE che vivono e lavorano nel Regno Unito doveva essere condizionata alla concessione di un diritto analogo per i britannici che vivono e lavorano negli stati membri. May intendeva insomma far diventare questa questione parte della trattativa. La portavoce dei Laburisti alla Camera dei Lord ha aperto il dibattito dicendo invece che il governo aveva il potere di agire subito: «Voglio dire al governo che non si può fare un negoziato con il futuro delle persone». Un recente sondaggio commissionato dal Guardian dice che secondo il 41 per cento degli intervistati il governo dovrebbe garantire i diritti dei cittadini dell’Unione Europea da subito, ma il 42 per cento la pensa invece come Theresa May e ritiene giusto pretendere delle protezioni speculari per i britannici che vivono all’estero.
Secondo quanto previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona del 2009, il Regno Unito deve comunicare formalmente al Consiglio europeo la sua intenzione di lasciare la UE, facendo appello alla procedura di recesso. A seguito della notifica presentata dal Regno Unito e alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, inizierà una serie di negoziazioni tra le due parti per definire le modalità del recesso. L’articolo 50 prevede che le trattative si concludano entro due anni: se questo non succede, l’appartenenza dello Stato membro alla UE decade automaticamente, a meno che il Consiglio europeo e gli altri Stati membri non decidano insieme di estendere il periodo delle negoziazioni.