Le violenze sui migranti in Libia
Un nuovo rapporto dell'Unicef racconta storie terribili su quello che subiscono donne e bambini africani nei centri di detenzione per migranti in Libia
Martedì l’Unicef, l’agenzia dell’ONU che si occupa di dare assistenza umanitaria ai bambini e alle loro madri, ha diffuso un nuovo rapporto sulle violenze che sono costretti a subire i migranti in Libia durante il loro viaggio verso l’Italia. Il rapporto, che si intitola “A Deadly Journey for Children”, racconta come la maggior parte delle donne e dei bambini passati dalla Libia per potersi imbarcare verso l’Italia siano stati picchiati, violentati o ridotti alla fame. Molto spesso le violenze vengono compiute all’interno dei centri di detenzione gestiti dal governo o da una delle tante milizie che controllano delle parti di territorio in Libia, e che l’Unicef descrive come «campi di lavoro forzato e prigioni improvvisate». Altre volte sono compiute ai molti checkpoint che i migranti sono costretti a superare per arrivare alle città libiche sulla costa, dalle quali partono le barche dirette in Italia.
Una mappa delle rotte dei migranti diretti verso l’Italia, pubblicata nel rapporto dell’Unicef
Nel suo rapporto, l’Unicef parla di problemi già noti ma la cui dimensione è spesso difficile da misurare. Dice per esempio che dei 181mila migranti arrivati in Italia nel 2016 usando la rotta del Mediterraneo centrale, 28mila erano minori, circa il 16 per cento del totale; di questi, il 90 per cento erano minori non accompagnati, un numero due volte più grande rispetto a quello registrato nel 2015.
Finora in Libia sono stati individuati 34 centri di detenzione, all’interno dei quali sono detenute tra le 4mila e le 7mila persone. Di questi, 24 sono gestiti dal dipartimento del governo libico che si occupa dell’immigrazione illegale. L’Unicef ha detto di avere avuto accesso a meno della metà dei centri gestiti dal governo, e a nessuno di quelli controllati dalle milizie. Un funzionario del ministero dell’Interno libico ha raccontato alla giornalista Francesca Mannocchi e al fotografo Alessio Romenzi che il governo non si avvicina nemmeno alle aree dove si trovano i centri controllati dalle milizie, perché è troppo pericoloso. In generale le istituzioni libiche non sembrano avere le risorse, e in alcuni casi la volontà, per fermare il traffico di essere umani. Mannocchi, che insieme a Romenzi ha visitato cinque centri di detenzione per migranti in Libia, ha raccontato un episodio che descrive bene la situazione:
«Lungo la strada costiera da Tripoli al centro di detenzione numero 2 ci sono diversi checkpoint. Il più critico si trova a Garabulli, una piccola città costiera e un’area da cui si imbarcano migliaia di migranti. “A Garabulli la Guardia Costiera non ha abbastanza risorse”, dice il nostro autista Hassan. “Ma soprattutto sono tutti spaventati dalle minacce delle milizie che controllano il traffico di essere umani. Quando la Guardia Costiera vede una barca che salpa, semplicemente chiude gli occhi, non dice niente, finge di non vedere”.»
Le storie contenute nel rapporto dell’Unicef e raccontate da Mannocchi sono terribili. C’è per esempio quella di Kamis, una bambina di nove anni che ha iniziato insieme a sua madre il viaggio verso l’Europa partendo dalla Nigeria. Kamis e sua madre hanno prima attraversato un pezzo di deserto, poi sono state salvate durante un naufragio in mare e poi si sono ritrovate in un centro di detenzione nella città libica di Sabratha. Kamis ha detto: «Ci picchiavano tutti i giorni. Non c’era nemmeno dell’acqua. Quel posto era molto triste. Non c’era niente». Il rapporto dell’Unicef sostiene che in particolare le violenze sessuali sono diffuse e sistematiche ai checkpoint, cioè i passaggi obbligati che i migranti sono costretti ad attraversare. Molti degli aggressori, hanno raccontato i testimoni, sono uomini in uniforme: «Circa un terzo di quelli intervistati hanno detto di avere subìto abusi in Libia. Una grande maggioranza di questi bambini non ha risposto quando gli è stato chiesto chi fossero i responsabili delle violenze», ha scritto l’Unicef.
La crisi dell’immigrazione in Libia e in Italia è stata al centro di diversi negoziati negli ultimi mesi. All’inizio di febbraio l’Italia ha firmato un accordo con il governo libico del primo ministro Fayez al Serraj, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale. L’accordo, che ha l’obiettivo di ridurre il numero dei migranti che arrivano sulle coste italiane attraversando il Mediterraneo centrale, è stato molto criticato da diversi analisti ed esperti di Libia e di immigrazione. I punti principali prevedono che le autorità italiane forniscano «supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina», cioè alla Guardia Costiera libica, e migliorino le condizioni dei centri di accoglienza in territorio libico, finanziando l’acquisto di medicine e attrezzature mediche e la formazione del personale che ci lavora. Sono due obiettivi molto complicati da raggiungere: la Guardia Costiera libica è già appoggiata dall’Unione Europea – i suoi dipendenti vengono formati in Europa e le sue attrezzature sono fornite dall’Italia – eppure al suo interno esiste una corruzione “endemica”, come l’ha definita un recente rapporto dell’ISPI. Poi c’è il problema delle condizioni di vita nei centri per i migranti sul territorio libico, come ha sottolineato anche l’Unicef, dove si registrano moltissimi casi di violenze, abusi sessuali e altre violazioni dei diritti umani.