Cosa c’entrano il M5S, i golpisti libici e due trafficanti d’armi
È una storia complicata che coinvolge un membro del Copasir, un leader libico e due italiani arrestati a gennaio
Da qualche settimana alcuni giornali e siti di news italiani si occupano di una storia piuttosto oscura e complicata, che coinvolge Angelo Tofalo, esponente del Movimento 5 Stelle e membro del Copasir (l’organo parlamentare di controllo dei servizi segreti), Khalifa Ghwell, uno dei leader politici più importanti della Libia e una coppia di trafficanti di armi italiani arrestata il 31 gennaio scorso. Ci sono delle indagini in corso e non sono ancora chiare del tutto le responsabilità dei protagonisti, ma intanto si può mettere in ordine quello che si sa, sulla base di alcune interviste e ricostruzioni pubblicate sui giornali finora. È una storia rilevante, non solo per le sue conseguenze giudiziarie, ma anche per ragioni politiche e di sicurezza nazionale.
Chi sono i personaggi libici da ricordare
La vicenda che coinvolge Tofalo è legata alla complicata situazione libica, che si può sintetizzare e semplificare così: in Libia c’è un governo di unità nazionale guidato dal primo ministro Fayez al Serraj, sostenuto dall’ONU e sponsorizzato dal governo italiano, di Matteo Renzi prima e Paolo Gentiloni poi. L’Italia sta investendo molto sull’appoggio a Serraj, nonostante negli ultimi mesi abbia tentato di mantenere aperti i canali di comunicazione anche con i suoi rivali, tra cui il potente generale Khalifa Haftar. Mentre Serraj è insediato a Tripoli, la capitale della Libia, Haftar controlla soprattutto l’est, la regione chiamata Cirenaica. Da tempo la comunità internazionale fa pressioni su Haftar affinché riconosca l’autorità di Serraj come l’unica legittima in tutto il paese, ma senza successo. Haftar vuole prendere il controllo della Libia, sconfiggere i suoi nemici, e ora può contare anche sulla preziosa alleanza con la Russia di Vladimir Putin. In Libia, quindi, il governo italiano e la Russia sono su posizioni opposte e apparentemente non conciliabili.
La situazione è complicata anche da un’altra figura, Khalifa Ghwell, il capo del governo islamista che era insediato a Tripoli prima dell’arrivo di Serraj. Ghwell non ha mai abbandonato l’idea di mantenere un ruolo di potere e negli ultimi mesi ha tentato almeno due volte (ottobre 2016 e gennaio 2017) di fare dei colpi di stato contro Serraj. Non ci è riuscito del tutto, ma qualcosa ha ottenuto: ha occupato dei ministeri a Tripoli, dove ha stabilito di nuovo la sua sede operativa principale. Fino a non molto tempo fa Ghwell e Haftar erano acerrimi nemici e si contendevano il controllo della Libia: oggi, con l’arrivo di Serraj, sembrano disposti a collaborare per raggiungere l’obiettivo comune, far cadere il governo di unità nazionale e cacciare le forze italiane presenti nel paese. Ma cosa c’entrano in tutto questo il Movimento 5 Stelle e i trafficanti internazionali di armi?
Partiamo dai trafficanti di armi
Sabato 25 febbraio il tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la custodia cautelare in carcere per Mario Di Leva e Annamaria Fontana, marito e moglie di San Giorgio nel Cremano, in provincia di Napoli, arrestati a fine gennaio con l’accusa di avere venduto delle armi e del materiale “dual use” (cioè di uso civile ma convertibile per uso militare, come eliambulanze trasformate poi in elicotteri da guerra) in Iran e in Libia, due paesi sottoposti a embargo di armi da parte dell’Unione Europea. Di Mario Di Leva, 69 anni, e Annamaria Fontana, 64 anni, non si sa molto, a parte le informazioni confuse e incomplete emerse nelle ultime settimane: per esempio si è ipotizzato che Fontana fosse un’informatrice dei servizi segreti italiani.
Citando un documento dell’inchiesta condotta della direzione distrettuale antimafia di Napoli, Repubblica ha scritto che i coniugi Di Leva, pur residenti in Italia, «sono stati stabilmente all’estero, hanno potuto soggiornare a lungo in alcuni paesi del Medio Oriente e hanno potuto frequentare e conoscere alti esponenti del mondo politico e religioso locale. I contatti di maggiore importanza sono riferibili al contesto iraniano e al contesto libico». Per esempio nei giorni dell’arresto di Di Leva e Fontana era circolata molto sui giornali italiani una foto che mostrava Fontana in compagnia di Mahmud Ahmadinejad, presidente iraniano per due mandati, dal 2005 al 2013; inoltre i giornali avevano pubblicato il contenuto di alcune intercettazioni dalle quali era emerso un qualche legame tra i coniugi e i rapitori dei quattro cittadini italiani sequestrati in Libia nel 2015 (quella storia si concluse nel marzo 2016 con la morte di due dei quattro ostaggi, Fausto Piano e Salvatore Falilla, e la liberazione degli altri due, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno).
Annamaria Fontana e Mahmud Ahmadinejad
L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha concluso che tra i clienti del traffico di armi gestito da Di Leva e Fontana ci fossero anche le milizie di Ghwell a Tripoli. Nel rapporto degli investigatori della Guardia di Finanza di Venezia, che ha svolto le indagini, si legge: «A cosa dovessero servire i materiali di armamento che Khalifa al-Ghwell ha tentato di acquistare dalla Fontana, incontrandola da ultimi il 17-19 settembre 2016, è di facile intuizione dalla lettura degli organi di stampa che il 15 ottobre 2016 riferiscono del tentativo di colpo di stato [attuato da Khalifa, ndr] e dell’aggressione alle basi del governo sostenuto dalle Nazioni Unite». In pratica, il rapporto sostiene che Fontana avrebbe venduto delle armi a Ghwell usate poi per tentare il primo dei due colpi di stato contro il governo di Serraj a Tripoli, quello dell’ottobre 2016.
La stessa inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli non ha comunque chiarito molte cose sul ruolo di Di Leva e Fontana, e ha incluso diverse imprecisioni. Per esempio, ha osservato Emanuele Rossi su Formiche, nei documenti diffusi dalla procura di Napoli si sostiene che nel computer di Di Leva siano stati trovati alcuni appunti che si riferiscono a un incontro con un rappresentante del miliziano libico Abdel Hakim Belhadj, che veniva erroneamente identificato come “capo del Daesh in Maghreb” (Daesh è l’acronimo dispregiativo che gli arabi usano per riferirsi allo Stato Islamico). “Erroneamente” perché Belhadj non c’entra niente con lo Stato Islamico: è un miliziano che ha sì una storia di militanza jihadista, ma che poi è passato ad appoggiare il governo di Serraj, combattendo contro lo Stato Islamico. Le informazioni false sul suo conto e riprese dal documento, ha raccontato l’analista Arturo Varvelli a Formiche, nascono da «alcuni articoli di pessima stampa pubblicati da sedicenti siti anti-imperialisti e ripresi poi da altri noti siti di disinformazione».
Cosa c’entra in tutto questo Angelo Tofalo
Tofalo, 35 anni, è un deputato salernitano del Movimento 5 Stelle, membro del Copasir dal giugno 2013. Il Copasir è quell’organismo che verifica che l’attività dei servizi segreti venga svolta nel rispetto della Costituzione e delle leggi, e che può acquisire documenti e informazioni sia dai servizi che dalla pubblica amministrazione e dall’autorità giudiziaria. Il 23 febbraio Tofalo è stato convocato dal pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Catello Maresca, come persona informata dei fatti nell’ambito dell’inchiesta sul traffico internazionale di armi. “Persona informata dei fatti” significa che Tofalo, almeno per ora, non è indagato dalla magistratura; va inoltre precisato che Tofalo si era presentato spontaneamente una prima volta in Procura, dopo la notizia dell’arresto di Di Leva e Fontana, riferendo dei suoi contatti con la donna.
Il Fatto Quotidiano ha ricostruito quello che Tofalo ha raccontato al pm: Tofalo era stato contattato da Fontana nell’estate 2016 mediante una militante del M5S, identificata solo con le iniziali D.R., per organizzare un incontro in Turchia con Ghwell. L’incontro tra Tofalo e Ghwell avvenne a Istanbul il 17 novembre, un mese dopo il primo tentato colpo di stato guidato da Ghwell contro il governo di Serraj. Tofalo ha anche raccontato di avere pagato il viaggio in Turchia di Fontana, che aveva organizzato l’incontro, per una somma pari a 2.300 euro. I critici sostengono che questo incontro sia l’origine di alcune cose poco chiare: primo, non è chiaro se Tofalo abbia avvisato l’Autorità delegata per i servizi di sicurezza, un passaggio obbligatorio per i membri del Copasir che voglio approfondire questioni all’estero. Secondo, Tofalo ha detto in un’intervista a Fanpage che quando conobbe Fontana non era a conoscenza della sua implicazione in un’indagine per traffico di armi, e ha aggiunto che prima di partire per il viaggio a Istanbul aveva consultato «gli organi preposti ai fini di tutelare la sicurezza nazionale». Ma Fontana e Di Leva avevano ricevuto un avviso di garanzia il 12 novembre 2015, diversi mesi prima dell’incontro tra Tofalo e Fontana, e anche se il nome dei coniugi non era ancora comparso sui giornali l’inchiesta sul loro conto non era un atto segreto ed era consultabile dal Copasir. Le ipotesi possibili sono quindi due: o Tofalo non consultò alcun organo preposto, e quindi ha mentito; oppure ci fu un grave errore nei controlli su Fontana.
Tofalo è stato molto criticato anche per un’altra cosa. L’incontro a Istanbul era finalizzato a organizzare un altro incontro successivo che si sarebbe dovuto tenere a Roma tra alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle, tra cui Alessandro di Battista e Luigi di Maio, e alcuni leader libici, tra cui Ghwell, Abdullah al Thani (il capo del parlamento di Tobruk, nell’est della Libia, altro nemico di Serraj), e forse anche il generale Haftar. In pratica Tofalo voleva promuovere un incontro con tutte le forze libiche che si stanno impegnando a rovesciare Serraj, andando apertamente contro la strategia del governo italiano e contro il piano di pacificazione dell’ONU per la Libia, e sostenendo invece la strategia della Russia. L’incontro a Roma poi non si fece, non è chiaro il motivo. Daniele Raineri ha fatto un’ipotesi sul Foglio: «Ma a quel punto qualcuno – il nome è coperto da un omissis nella deposizione di Tofalo – ferma tutto, forse perché organizzare un incontro tra nemici di Serraj e golpisti a Roma, capitale dell’alleanza con lo stesso Serraj e che a gennaio ha stretto con Tripoli un accordo sull’immigrazione, pare eccessivo».
Nelle ultime settimane diversi politici – tra cui Andrea Romano ed Emanuele Fiano del PD e Maurizio Gasparri del Popolo della Libertà – hanno chiesto le dimissioni di Tofalo dal Copasir, almeno finché non verrà chiarita l’intera faccenda. Tofalo ha risposto con un post su Facebook e per il momento continua a ricoprire il suo incarico nel Copasir.