Fabiano Antoniani è morto
Dj Fabo, così era conosciuto, è morto oggi in Svizzera tramite una procedura di suicidio assistito, una cosa che in Italia ancora non si può fare
Fabiano Antoniani, conosciuto come dj Fabo, è morto oggi in Svizzera tramite una procedura di suicidio assistito. La notizia della morte di Antoniani è stata data su Twitter da Marco Cappato, dell’associazione Luca Coscioni. Antoniani era arrivato sabato nella clinica svizzera dell’associazione Dignitas, e aveva avviato le procedure per il suicidio assistito, una cosa che in Italia non è permessa dalla legge.
Fabo è morto alle 11.40. Ha scelto di andarsene rispettando le regole di un Paese che non è il suo.
— Marco Cappato (@marcocappato) February 27, 2017
Questa mattina era stato pubblicato su Facebook un ultimo messaggio di Antoniani, che era cieco e tetraplegico dal 2014 a causa di un grave incidente stradale: «Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato». Antoniani aveva ringraziato Cappato dicendo: «Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e lo ringrazierò fino alla morte. Grazie Marco, grazie mille». Su Sky Tg24 Filomena Gallo, dell’associazione Luca Coscioni, ha spiegato che Cappato rischia 12 anni di prigione perché si è preso la responsabilità di aiutare e accompagnare Antoniani. L’articolo 580 del codice penale italiano punisce chiunque determini «altri al suicidio o rafforzi l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevoli in qualsiasi modo l’esecuzione».
Antoniani era diventato da alcuni mesi il simbolo della lotta per l’approvazione di una legge sull’eutanasia e sul testamento biologico in Italia. Venerdì scorso, la discussione alla Camera dei deputati sulla proposta per un testamento biologico era slittata per la terza volta e rimandata a marzo; le proposte di legge sull’eutanasia sono invece bloccate da circa un anno in commissione. Antoniani aveva commentato così: «È veramente una vergogna che nessuno dei parlamentari abbia il coraggio di mettere la faccia su una legge che è dedicata alle persone che soffrono, che non possono morire a casa propria. E che devono andare in altri paesi, per una legge che potrebbe essere fatta anche in Italia».
Marco Cappato aveva scritto un post su Facebook il giorno del terzo rinvio da parte del Parlamento in cui diceva: «Con questo terzo rinvio diventa evidente l’assenza di una volontà politica per approvare la legge. Di fronte a una richiesta sociale sempre più pressante di regole che consentano a tutti di morire senza soffrire, il comportamento irresponsabile del Parlamento contribuisce a togliere credibilità alle istituzioni. C’è da augurarsi che i parlamentari che hanno lavorato seriamente sul testo di legge, a partire dalla relatrice Donata Lenzi, riescano a imporre alla conferenza dei capigruppo di mercoledì 1 marzo una decisione di contingentamento dei tempi per salvare la possibilità di una legge prima delle fine della legislatura». Nel frattempo nella vicenda di Antoniani erano intervenuti anche alcuni giornali cattolici e altre personalità legate al mondo cattolico: Avvenire, ad esempio, aveva ubblicato la lettera di un ragazzo di 19 anni con grave disabilità dalla nascita che si rivolgeva a Fabiano Antoniani e gli chiedeva di «non andare a morire».
In precedenza Antoniani aveva anche lanciato diversi appelli a sostegno dell’eutanasia legale, uno dei quali del 19 gennaio rivolto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Fabiano Antoniani aveva 39 anni, era nato a Milano e la notte del 13 giugno 2014 aveva avuto un incidente: stava tornando da un locale, si era chinato a raccogliere il cellulare e la sua auto era uscita di strada andando a colpirne un’altra che procedeva sulla corsia d’emergenza. Antoniani era stato sbalzato fuori dall’abitacolo e aveva subito lesioni al midollo spinale all’altezza di due vertebre cervicali. Non poteva muovere né braccia né gambe, era cieco, e veniva nutrito con un sondino che arrivava direttamente allo stomaco, respirava grazie all’aiuto di un ventilatore e doveva essere assistito 24 ore su 24. Aveva tentato la riabilitazione e altre cure sperimentali, ma senza alcun risultato.
Nei diversi video che aveva diffuso, Fabiano Antoniani aveva raccontato come viveva prima. Dice di essere stato un «ragazzo vivace e un po’ ribelle», di aver fatto l’assicuratore, il geometra, il broker, per un periodo era stato in una squadra motociclistica e correva in motocross. Per cinque anni aveva vissuto con la fidanzata in India dove era riuscito a fare quello che aveva sempre voluto: il dj. «La passione più grande è sempre stata la musica, suonare per gli altri mi faceva felice». Negli ultimi mesi, sostenuto dalla compagna Valeria, da Marco Cappato, promotore della campagna “Eutanasia legale”, e dall’Associazione Luca Coscioni, Antoniani stava portando avanti la sua richiesta. Diceva di aver sempre misurato «la vita in qualità, non in quantità» e diceva di voler «poter scegliere di morire senza soffrire». La sua compagna aveva detto che lui «Non sta vivendo, ma sopravvivendo».