Emiliano può fare il magistrato e il leader di partito?
No, secondo la legge, ma è una situazione irregolare che va avanti dal 2007: il Consiglio Superiore della Magistratura prenderà una decisione ad aprile
Il presidente della Puglia Michele Emiliano si è candidato al congresso del Partito Democratico dove sfiderà alle primarie del prossimo 30 aprile l’ex segretario Matteo Renzi e il ministro della Giustizia Andrea Orlando. La sua campagna congressuale però potrebbe avere un problema: il prossimo 6 aprile il Consiglio Superiore della Magistratura – l’organo con cui la magistratura si autogoverna – si riunirà per decidere se punire Emiliano per via della sua «sistematica e continuativa» partecipazione alla vita politica del PD. Il problema è che il presidente della Puglia, benché faccia politica da molti anni, non ha mai lasciato la magistratura: oggi è un magistrato fuori ruolo che ha temporaneamente sospeso il suo lavoro. In quanto tale, in teoria non può iscriversi a partiti politici né ricoprire al loro interno incarichi dirigenziali.
Emiliano si trova da molto tempo in questa situazione: si è iscritto al PD al momento della sua fondazione, nel 2007, tre anni dopo essersi messo in aspettativa e aver vinto le elezioni a sindaco di Bari. Sempre nel 2007 Emiliano fu eletto segretario regionale del Partito Democratico pugliese, per poi diventarne presidente fino al 2014. Oggi è ancora iscritto del PD e fa parte della segreteria regionale pugliese ma senza diritto di voto; ed è anche candidato alla segreteria nazionale, ovviamente, la carica più importante di tutto il partito.
Il suo procedimento è cominciato nel 2010, soltanto tre anni dopo la sua iscrizione al PD, quando la procura generale della Cassazione decise di aprire una procedura disciplinare nei suoi confronti per aver violato il decreto legislativo 109 del 2006, quello in cui viene proibita ai magistrati «l’iscrizione o la partecipazione a partiti politici». I magistrati, quindi, possono essere eletti in Parlamento e ad altri incarichi politici ma solo in quanto indipendenti, è vietato loro fare formalmente parte dei partiti. All’epoca, Emiliano commentò dicendo: «Se il CSM riterrà che effettivamente sussista una violazione disciplinare non esiterò a prendere le decisioni necessarie, optando a quel tempo tra le dimissioni dalla magistratura ovvero le dimissioni dal partito, a seconda di ciò che riterrò più opportuno alla luce dell’eventuale verdetto».
Solo due anni dopo, nel luglio 2016, la procura ha chiesto di fissare una data per la prima udienza. Il CSM aveva scelto il 6 febbraio 2017 ma la prima udienza era stata rimandata al 3 aprile, in seguito alla decisione di Emiliano di cambiare il suo difensore, che in un primo momento avrebbe dovuto essere l’avvocato Aldo Loiodice ma che è stato poi sostituito dal procuratore capo di Torino Armando Spataro.
Se il CSM deciderà di condannare Emiliano, il massimo della sanzione prevista è una sospensione dalla magistratura e una perdita di anzianità, entrambe di una durata massima di due anni. Emiliano ha detto di non temere una condanna: «L’accusa non regge perché è fondata sull’idea sbagliata che ci siano due categorie di politici: i magistrati che devono far politica da soli [cioè al di fuori di un partito] e gli altri che possono farla nei partiti». In altre parole, secondo Emiliano, l’attuale legge crea un’ingiusta discriminazione per i magistrati, che non potrebbero godere appieno dei loro diritti politici a causa del divieto che gli impedisce di iscriversi ai partiti.
Questa questione era già stata affrontata nel 2009, quando il CSM aprì un procedimento contro l’ex senatore di Alleanza Nazionale e magistrato in aspettativa Luigi Bobbio, che due anni prima era stato eletto presidente del suo partito per la provincia di Napoli. Il CSM fece ricorso contro la legge del 2006 di fronte alla Corte Costituzionale, che respinse il ricorso e stabilì che la legge era in sintonia con l’articolo 98 della Costituzione, che prescrive: «Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati». Nel 2010 Bobbio fu condannato alla sanzione disciplinare più lieve prevista dalla legge, l’ammonimento.
Secondo un’inchiesta di Panorama dello scorso febbraio, in Italia ci sono circa 200 magistrati fuori ruolo, alcuni dei quali godono dell’aspettativa retribuita, cioè continuano a percepire il loro stipendio da magistrati anche se ricevono altre indennità per via degli altri incarichi che ricoprono. Oggi in Parlamento ci sono nove magistrati, tutti candidati mentre si trovavano fuori ruolo. In un’intervista pubblicata oggi su Repubblica, Donatella Ferranti, una dei nove magistrati che siedono nell’attuale Parlamento, eletta con il PD, spiega cosa ha di diverso il suo caso da quello di Emiliano:
«La differenza è notevole, innanzitutto io non sono mai stata iscritta a un partito e non lo sono adesso. Né ho avuto mai incarichi presso la direzione del PD. La Costituzione all’articolo 51 garantisce l’elettorato passivo a tutti i cittadini, anche ai magistrati, ma prevede, all’articolo 98, che la legge limiti per noi toghe, ma anche per altri (militari, funzionari di polizia, diplomatici), l’iscrizione a un partito che è un’associazione privata, e quindi comporta dei vincoli gerarchici interni e un’obbedienza in netto contrasto con l’essere magistrato sia pure in aspettativa»
Il tema della partecipazione dei magistrati alla vita politica è molto delicato ed è stato spesso dibattuto negli ultimi anni. Nel suo ultimo rapporto sull’Italia il GRECO, un organo del Consiglio d’Europa che studia la diffusione della corruzione, ha detto che l’attuale legislazione che regola l’attività in politica dei giudici è ambigua e bisognosa di ulteriori interventi che esplicitino più chiaramente le limitazioni e i diritti dei magistrati che vogliono partecipare alla vita politica.