Chi sono i giocatori dell’Italia di rugby
Da dove vengono e perché sono molto più vicini a noi – tifosi o semplici appassionati – di quanto pensiamo
Del rugby si dicono spesso alcune cose banali ma vere: per esempio che la correttezza e la sportività ne sono parti integranti e che le partite, a prescindere dalla loro importanza, si giocano in un ambiente molto tranquillo e accogliente, e non sono solo una gara a cui gli spettatori assistono, ma eventi che iniziano prima e finiscono qualche ora dopo del gioco che si vede in tv. E questo vale sia per gli incontri delle giovanili sia per quelli della nazionale: per esempio, per i tifosi non è raro ritrovarsi a banchettare nei pressi dello stadio insieme ai giocatori, di tutte e due le squadre, anche dopo partite di coppa o amichevoli contro squadre straniere.
Le società di rugby italiane, dalle più piccole alle più grandi, sono paragonabili a comunità che non vengono frequentate solamente per gli allenamenti e per le partite, ed oltre a insegnare lo sport ai bambini e ai ragazzi – senza pensare troppo a ottenere risultati e profitti – sono importanti punti di aggregazione per le città in cui hanno sede. Anche per questo l’ambiente del rugby professionistico non è inaccessibile come per esempio quello del calcio: è un ambiente con meno appassionati, in cui girano decisamente meno soldi e dove un’alta percentuale di giocatori accompagnano l’attività agonistica con lo studio o la gestione di piccole attività laterali. E questo anche perché di rugby si vive solo quando ci si gioca, poi le cose cambiano.
Il rugbista italiano più pagato, tenendo conto anche dei contratti di sponsorizzazione, è Sergio Parisse, il capitano della nazionale, che percepisce circa 500mila euro all’anno: per fare un paragone, il rugbista più pagato al mondo è il neozelandese Dan Carter, che al Racing Métro prende circa 1,4 milioni di euro all’anno, sponsor esclusi. I compagni di Parisse nella nazionale italiana non arrivano a prenderne la metà, e solo chi gioca all’estero ha uno stipendio tutto sommato elevato.
Il video che riprende Sergio Parisse mentre incita i compagni di squadra nello spogliatoio dello Stade de France di Parigi poco prima dell’inizio della prima partita dell’ultimo Sei Nazioni è un buon modo per avvicinarsi di più all’ambiente rugbistico, in questo caso a quello della nazionale italiana: ci sono alcune parole un po’ forti, ma niente che vada oltre l’incitamento di una squadra nel proprio spogliatoio prima di un evento così importante.
La diffusione a macchie del rugby sul territorio italiano, uno dei principali limiti del movimento nazionale ma allo stesso tempo anche una sua particolarità, si può notare dai convocati della nazionale per le prime partite del Sei Nazioni, la cui provenienza riflette le zone d’Italia in cui il rugby è più popolare.
Su 32 giocatori, 11 vengono dall’area metropolitana di Padova, Treviso e Venezia, circoscritta in poco meno di 60 chilometri. Leonardo Ghiraldini, Federico Ruzza e Marco Barbini sono padovani; Tommaso Boni, Michele Campagnaro e Francesco Minto vengono dalla provincia di Venezia; Tommaso Benvenuti, Edoardo Padovani, Simone Favaro, Marco Fuser e Marco Barbini dalla provincia di Treviso. Sette di loro hanno giocato per la Benetton Treviso, gli altri tre giocano nelle Zebre, a Parma. Benvenuti e Padovani, divisi da tre anni di età, sono nati e cresciuti a Mogliano Veneto, città di 20mila abitanti al confine tra la provincia di Venezia e quella di Treviso, a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, e frequentando gli stessi posti. Entrambi hanno iniziato a giocare a rugby con il Mogliano, squadra campione d’Italia nel 2013, per cui hanno giocato anche Tommaso Boni e Abraham Steyn, sudafricano arrivato Italia nel 2012 e ora parte della nazionale maggiore. Non è fra i convocati del Sei Nazioni di quest’anno ma anche Davide Giazzon, tallonatore della Benetton, è uno dei giocatori moglianesi nel giro della nazionale.
Poi c’è il gruppetto di giocatori di origini straniere: alcuni hanno genitori o parenti di origini italiane, altri sono diventati convocabili in nazionale dopo aver passato tre anni in Italia. Il capitano, Sergio Parisse, iniziò a giocare a rugby in Argentina, paese in cui è nato e dove i suoi genitori, entrambi abruzzesi, si trasferirono per lavorare. È cresciuto nella squadra di rugby del club Universitario de La Plata, dove cominciò a giocare a cinque anni. Si trasferì in Italia, a Treviso, nel 2002, per giocare con la Benetton, e nello stesso anno fece l’esordio con la nazionale maggiore. Da allora ha messo insieme 121 presenze, più di ogni altro giocatore nella storia del rugby italiano: da anni è considerato un fuoriclasse mondiale, nonché il leader carismatico della nazionale.
Prima della storica vittoria contro il Sudafrica dello scorso novembre, negli spogliatoi dell’Artemio Franchi di Firenze, quando si era capito che l’Italia avrebbe potuto vincere, aveva detto ai suoi compagni: “Se perdiamo la concentrazione per cinque, dieci minuti, vinceranno loro e noi torneremo qua con la sensazione di aver perso un’opportunità. E per esperienza ve lo dico ragazzi, di opportunità ne abbiamo perso tantissime, tantissime”.
Il numero di giocatori stranieri presenti in nazionale negli ultimi anni si è ridotto drasticamente: di stranieri non nati in Italia ci sono solamente i sudafricani Abraham Steyn e Andries Van Schalkwyk e il tallonatore di origini albanesi Ornel Gega, trasferitosi con la famiglia in Italia a nove anni. Poi c’è Maxime Mbanda, terza linea delle Zebre, nato a Roma da madre italiana e padre congolese, e Dario Chistolini, i cui nonni romani si trasferirono in Sudafrica dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Di giocatori con genitori di più nazionalità ce ne sono altri: Luke McLean, madre di origini italiane e padre australiano, e Tommaso Allan, di padre scozzese e madre italiana, così come George Fabio Biagi.
Il resto della squadra si può dividere in un altro paio di gruppi in base alla loro provenienza: Joshua Furno, Carlo Canna e Tommaso d’Apice sono beneventani, e d’Apice è cugino di Furno da parte di madre. Angelo Esposito invece è nato a Napoli ma è cresciuto a Treviso. Pietro Ceccarelli, Sami Panico e Giulio Bisegni sono romani mentre l’Emilia è rappresentata da Andrea Lovotti e Marcello Violi. Giovanbattista Venditti invece è l’unico abruzzese, Edoardo Gori l’unico toscano e Lorenzo Cittadini e Giorgio Bronzini i lombardi.