La sfilata di Gucci a Milano, sempre uguale, sempre di successo
Ha presentato 120 modelli nel suo stile eccentrico, con accostamenti inusuali: ed è piaciuto molto
Il 22 febbraio durante la Settimana della moda di Milano (che terminerà il 27 febbraio) è stata presentata la collezione autunno/inverno 2017-2018 di Gucci, disegnata da Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci dal gennaio 2015, che ha rinnovato il marchio facendolo diventare uno dei più apprezzati, interessanti e peculiari della moda di oggi. La collezione si intitola Il giardino dell’alchimista ed è la prima presentata nella nuova sede di Gucci in via Mecenate, una ex-fabbrica di aerei dell’azienda Caproni, costruita nel 1915, con una superficie di 35mila metri quadri.
Michele ha riproposto la sua solita formula, ottenendo il solito successo: un accuratissimo lavoro di ricerca e ispirazione alla moda, alla storia e all’arte del passato, che si traduce in accostamenti, spesso accozzaglie, imprevedibili ma che si armonizzano perfettamente. Non sono mancati i fiori, gli animali – il serpente che si morde la coda, aironi, farfalle, tigri, api – i colori pastello, i pizzi, i tulles, le paillettes. I modelli erano tantissimi, 120, e come scrive Vanessa Friedmann, la critica di moda del New York Times, gli stili e i personaggi storici a cui si ispiravano erano ancora di più:
«Ditene uno e c’era! Gengis Khan? Indossava una vestaglia lunga fino al pavimento con ornamenti cineseggianti, con una sciarpa a righe e un cappello di lana col pompon. Il punk? Jeans strappati su un body ricoperto di cristalli e una canotta bianca. Elisabetta II? Un educato vestitino a trapezio che arriva a metà polpaccio con un collettino bianco e cristalli ricamati. Un’abitué dell’Opera dell’epoca vittoriana? Una gonna di velluto nero sotto un top con maniche sempre di velluto, scampanate e riccamente ornate. La zingara? Indossava un vestito di 14 colori, con lustrini e paillettes e una rosa alla vita».
Sempre Friedman spiega che la sfilata è stata una grande festa alla moda dov’era invitato chiunque valesse la pena invitare, che arrivava conciato come voleva: i richiami vanno dal Rinascimento all’Inghilterra Vittoriana, dalla discomusic degli anni Settanta agli eccessi degli anni Ottanta, fino alla mania dei loghi degli anni Novanta. La critica è che gli abiti presi fuori contesto sembrano un po’ dei costumi – abiti da carnevale, li ha definiti qualcuno alla sfilata – con un che di esageratamente teatrale. Molti modelli – hanno infatti sfilato sia uomini che donne – portavano archi, valigie, passamontagna, e alcuni indossavano magliette con riprodotti i graffiti dell’artista Coco Capitán – con frasi come “Common sense is not that common”, “I want to go back to believing a story” e “What are we going to do with all this future?” – una collaborazione con Michele che è stata generalmente apprezzata dai critici.