Qual è il problema con lo stadio della Roma
Si discute della zona, del progetto e delle infrastrutture collegate, e ora ci si è messa anche la soprintendenza ai beni culturali: ma bisogna prendere una decisione a breve
Fin dall’insediamento della giunta di Virginia Raggi a Roma, le trattative sulla costruzione del nuovo stadio della Roma si sono fatte molto complicate: la maggioranza del Movimento 5 Stelle è generalmente contraria a qualsiasi tipo di “grande opera”, per timore di sprechi e infiltrazioni della criminalità organizzata, e l’ex assessore all’Urbanistica Paolo Berdini ha criticato più volte il progetto, dicendo di volerlo come minimo ridimensionare.
Ma a opporsi al progetto attuale – che sarebbe costruito solo con fondi privati su un terreno privato – non sono solo i consiglieri del M5S e Berdini, che fra l’altro si è dimesso una settimana fa per via di una registrazione in cui parlava molto male di Raggi, ma anche alcuni esperti di urbanistica e consiglieri del PD, che temono che il progetto abbia un impatto troppo elevato su un’area teoricamente protetta da vincoli naturalistici, e che non tenga conto di interventi già previsti nelle zone limitrofe. Altri sostengono che cambiare il piano regolatore di Roma sia difficile o vada evitato, oppure che il comune in futuro rischi di dover rimetterci dei soldi. Non tutte queste critiche sono fondate, e i sostenitori dell’opera hanno risposte per ognuna di queste perplessità, ma mancano pochi giorni a quando il comune dovrà prendere una decisione definitiva e in questo momento le critiche e le obiezioni si sono intrecciate, rendendo più difficile capirci qualcosa.
Oggi la pratica al momento è tecnicamente in mano alla regione, e più precisamente alla Conferenza dei servizi: cioè un tavolo di lavoro messo in piedi dalla regione ma al quale sono presenti anche il comune, la città metropolitana, il governo e la prefettura. Più praticamente, però, manca un’ultima autorizzazione della giunta: i rappresentanti della sindaca Virginia Raggi e quelli della Associazione Sportiva Roma si sono incontrati più volte e stanno trattando per capire come e quanto il progetto – approvato in questi termini dal consiglio comunale e della giunta Marino durante la precedente consiliatura – può essere modificato.
L’opera in breve
Lo stadio è uno degli obiettivi principali degli imprenditori statunitensi che hanno comprato la squadra di calcio della Roma nel 2011, e che da allora hanno espresso la maggioranza del consiglio di amministrazione e il presidente della società (che dall’agosto 2012 è l’imprenditore italo-americano James Pallotta). La Roma ha ufficialmente avviato il progetto del nuovo stadio proprio nell’anno in cui Pallotta diventò presidente. Per il luogo fu scelta la zona di Tor di Valle, soprattutto per la sua relativa vicinanza al centro e all’aeroporto di Fiumicino, e per il fatto che oggi è una zona poco edificata e molto degradata. Nel settembre 2014 la giunta Marino ha approvato la delibera che contiene la “dichiarazione di pubblico interesse” dell’opera, il primo passo ufficiale per avviare il progetto. L’opera sarà interamente finanziata con capitali privati: al comune non costeranno nulla nemmeno le opere pubbliche collegate. I soldi saranno messi a disposizione dalla Roma con alcuni partner, fra cui un gruppo immobiliare americano e una grossa società organizzatrice di eventi. In tutto, secondo le cifre fornite dalla Roma, saranno spesi per il progetto più di due miliardi di euro, di cui 400 milioni per realizzare lo stadio.
Il progetto concordato con la giunta Marino prevede principalmente uno stadio da 52.500 posti – espandibile a 60mila – tutti coperti e di facile accesso, oltre a diverse opere nei dintorni: non è solo lo stadio, insomma. Il progetto prevede un distretto di negozi e ristoranti appena fuori dallo stadio, un parco pubblico e tre grattacieli progettati da Daniel Libeskind, uno degli architetti più famosi al mondo, scelto fra le altre cose per riprogettare il World Trade Center di New York dopo gli attentati del 2001. Le altre opere, secondo la Roma, servono per aumentare l’efficacia economica del progetto – lo permette la legge sugli stadi del 2014 – e per riqualificare il quartiere e potenziare la viabilità nella zona. Il progetto infatti prevede anche la realizzazione di un ponte pedonale per raggiungere lo stadio, il prolungamento della metropolitana B – che attualmente si ferma poco più a nord, nel quartiere Europa – e altri provvedimenti utili per migliorare la circolazione della zona, come un ponte carrabile per unire la strada che porta all’aeroporto di Fiumicino. Proprio la dimensione importante del progetto ha generato qualche diffidenza, soprattutto quella del Movimento 5 Stelle: al momento il comune ha dato un parere tecnico negativo (ma non definitivo) – altri dicono “positivo con prescrizioni”, secondo i punti di vista – e sta trattando con la società per modificare il progetto, ridimensionando quello iniziale (anche se non è chiarissimo in che modo).
Le critiche
1. La zona di Tor di Valle
Sono di vario tipo, e naturalmente hanno vari gradi di fondatezza: una delle meno solide, per esempio, riguarda i finanziamenti per le varie opere del progetto-stadio. I soldi saranno messi a disposizione dalla Roma con alcuni partner; la costruzione sarà coordinata dall’imprenditore e costruttore italiano Luca Parnasi, seguendo un modello – investitori stranieri, coordinamento italiano – simile a quello utilizzato a Milano per le nuove di costruzioni di Porta Nuova: sarà quindi praticamente impossibile che il comune finisca per metterci i soldi, anche perché finora la proprietà americana della Roma non ha mai dimostrato di avere problemi economici, anzi.
Le critiche più circostanziate sembrano concentrarsi sulla zona scelta dalla Roma per costruire lo stadio e il quartiere attiguo, cioè quella di Tor di Valle, e le dimensioni e la natura del progetto. I suoi critici sostengono che la scelta dei costruttori sia stata sbagliata per una serie di ragioni: su tutte il fatto che l’area sia di interesse naturalistico e culturale, e che sia considerata a rischio idrogeologico, cioè possa subire delle inondazioni. Riguardo il primo punto, in molti fanno notare che nel piano regolatore la zona sia segnalata come “verde privato attrezzato” e che si parlava da tempo dell’opportunità di trasformarlo in un parco o di una zona di impianti sportivi a basso impatto ambientale (al contrario di quanto ne avrebbe uno stadio o i tre grattacieli previsti dal progetto iniziale). Chi difende il progetto fa notare che oggi non esistono progetti seri per riqualificare quella zona, che è in stato di completo abbandono da anni, e che il progetto è composto per 89 ettari da verde all’interno del complesso e per 53 ettari da verde pubblico. La Roma dice che il progetto prevede che siano piantati 9.100 nuovi alberi e 140.000 nuovi arbusti, riqualificando un’area che sarà aperta al pubblico – con piste ciclabili, viali, illuminazione – e che prevederà anche un anfiteatro sul piano di una collina, per organizzare eventi all’aperto.
Esiste poi un rischio idrogeologico: non di un’esondazione del Tevere, che pure scorre intorno all’area, ma di un piccolo fosso chiamato Vallerano che si trova vicino alla fermata della ferrovia di Tor di Valle (quindi non nella zona dello stadio). In un documento dell’Ufficio Pianificazione e Progettazione Generale del Comune, buona parte dell’area è marcata con la sigla R3, che significa “rischio elevato” di inondazione (il massimo della scala è il 4). La delibera della giunta Marino del 2014 per questo inseriva tra le condizioni vincolanti la “sistemazione del Vallerano e il consolidamento dell’argine del Tevere” e la Roma nel suo progetto ha previsto una serie di interventi nell’area per metterla in sicurezza, e ha spiegato di avere esaminato l’impatto geologico dell’opera per quasi un anno: i critici sostengono che prima di iniziare i lavori bisognerebbe mettere in sicurezza proprio quest’area, per rimuovere i rischi idrogeologici; una perizia affidata dalla Roma a un gruppo di esperti internazionali sostiene che “lo Stadio della Roma e l’area di Tor di Valle sono da ritenersi sicuri da un punto di vista idrogeologico”.
L’area di Tor di Valle secondo il documento del dell’Ufficio Pianificazione e Progettazione Generale del Comune di Roma: è quella colorata in giallo chiaro in alto a sinistra rispetto alla zona rossa (il quartiere Decima)
Poi c’è la discussa questione dell’importanza “culturale” della zona. La struttura più importante del quartiere è l’ippodromo locale, costruito nel 1959 dal noto architetto spagnolo Julio Lafuente ma chiuso quattro anni fa quando già si vociferava che il terreno sarebbe stato venduto per costruire il nuovo stadio della Roma. Nei giorni scorsi la Soprintendenza all’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma ha annunciato di aver iniziato il “procedimento di dichiarazione di interesse culturale” per proteggere l’ippodromo, e in particolare le sue tribune (che però sono parzialmente ricoperte di amianto, un materiale nocivo e che renderebbe necessaria una bonifica). Secondo Repubblica questo sviluppo potrebbe danneggiare seriamente il progetto, dato che se il vincolo fosse approvato «per il principio della “tutela indiretta” scatta l’assoluta inedificabilità anche di tutta la zona intorno». Allo scopo di mostrare l’attuale livello di abbandono e degrado dell’ippodromo, la Roma ha girato questo video con un drone e lo ha diffuso oggi.
Molti hanno espresso perplessità per il fatto che la Soprintendenza si sia espressa soltanto adesso, visto che il progetto è in ballo dal 2012 ed è stato già abbondantemente discusso e persino approvato dal comune: la soprintendente Margherita Eichberg ha detto che nel primo progetto «l’ippodromo era descritto in maniera molto molto sommaria quindi non ci siamo accorti di quello che si trattava» e che l’ente ha «preso piena coscienza solo a fine settembre» della presunta importanza della struttura. In un comunicato stampa pubblicato dopo l’annuncio della Soprintendenza, la Roma ha scritto: «Siamo da sempre e in ogni caso disponibili a riqualificare le tribune, conservandone una parte in un’area dedicata, dopo averla naturalmente ristrutturata e messa in sicurezza, al fine di preservarne la memoria storica e come suggerito in precedenza dalla Soprintendenza stessa». Anche il ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia ha chiarito che in caso di ulteriori problemi, sarà il Ministero della Cultura a chiedere ulteriori pareri e decidere definitivamente sulla questione.
2. Il progetto
In breve, oltre allo stadio vero e proprio, il progetto comprende varie altre strutture e interventi urbani nel territorio circostante: ci sono i vari interventi per migliorare la viabilità della zona come la costruzione di due nuovi ponti sul Tevere, uno pedonale e uno carrabile, la realizzazione di un nuovo tronchetto della metropolitana B – che attualmente si ferma poco più a nord, nel quartiere Europa – un parco pubblico nell’area immediatamente a sud dell’ansa del Tevere ma soprattutto il cosiddetto “business park”, cioè i tre grattacieli progettati da Libeskind che idealmente dovrebbero ospitare degli uffici e che materialmente serviranno a “finanziare” l’intera opera (cioè ripagare i costruttori dell’investimento iniziale, e portare loro un guadagno).
Un grafico del progetto approvato dalla giunta Marino, elaborato da Next Quotidiano
Sullo stadio nessuno ha avuto molto da obiettare, se non per la relativa altezza che lo renderebbe uno degli edifici più alti del circondario: anche i più critici dicono che alla Roma serve un nuovo stadio, così come a quasi tutte le squadre di calcio italiane. Le critiche si concentrano soprattutto sulle tre “torri” di Libeskind, che i più contrari definiscono semplicemente “colata di cemento”, mentre i critici più moderati un’opera ad alto impatto ambientale e che c’entra molto poco con il contesto ambientale e urbanistico del quartiere.
La versione della giunta Marino, esposta da una recente intervista dell’ex assessore all’Urbanistica Giovanni Caudo al Fatto Quotidiano, è che il comune abbia chiesto alla Roma sia di realizzare lo stadio sia di farsi carico delle opere pubbliche necessarie a sostenerlo, e quindi infrastrutture e parco pubblico. Caudo spiega che sommando gli interventi immobiliari fra stadio e opere pubbliche collegate, il progetto arrivava a coprire i 112mila metri quadrati: a quel punto il comune ha calcolato che per rientrare da questa spesa, il costruttore avrebbe dovuto avere a disposizione altri 242mila metri quadri per costruire delle strutture – le tre torri, in questo caso – per finanziare lo stadio e le opere pubbliche. Di nuovo, è la legge sugli stadi che prevede un meccanismo del genere, per favorire la costruzione di nuovi impianti sportivi privati in un paese di impianti obsoleti e fatiscenti.
Caudo spiega che in questo ragionamento c’entrava anche il cosiddetto “contributo straordinario di urbanizzazione”, cioè una misura contenuta nel PGR del 2008 dell’allora giunta di centrosinistra di Walter Veltroni secondo cui – semplificando molto – il 66 per cento dell’utile che un costruttore privato realizza costruendo e vendendo strutture su un certo terreno vanno reinvestite in opere di interesse pubblico. Il ragionamento dell’amministrazione Marino, quindi, è stato: aumentiamo pure la superficie costruibile, basta che gli interventi a favore dell’interesse pubblico siano effettivamente molto consistenti (e lo sono le molte infrastrutture pubbliche per i trasporti e il parco che saranno costruiti con i soldi della Roma, e che l’indebitato comune di Roma altrimenti non potrebbe permettersi).
Domenico Cecchini, urbanista ed ex assessore all’Urbanistica della giunta di centrosinistra di Francesco Rutelli, ha spiegato al Post che secondo lui la misura del “contributo straordinario di urbanizzazione” è stata usata come un “grimaldello” dai costruttori per realizzare le tre torri, cioè quelle che secondo lui sono il vero obiettivo del progetto. Dice Cecchini: «il privato propone di fare lo stadio, ma servono nuove infrastrutture. Allora il comune ci conceda una quantità edificabile tale per cui “pagando” il 66 per cento [cioè destinando il 66 per cento dell’utile a opere come infrastrutture e parchi] si possono pagare le opere». Per Cecchini è l’esatto opposto dell’obiettivo che si proponeva originariamente il “contributo straordinario di urbanizzazione”, cioè rendere sostenibili le opere private costringendo il privato a investire nel pubblico: in questo caso, secondo lui, i costruttori della Roma hanno promesso un ampio spazio alle opere pubbliche con lo scopo di poter costruire le torri, il vero centro dell’opera (lo stadio occupa solo una piccola parte del costruito, circa il 14 per cento della superficie totale).
Cecchini ha anche diversi dubbi sul fatto che gli interventi che modificano la viabilità della zona siano davvero di utilità pubblica, sostanzialmente perché realizzati in funzione di chi frequenterà lo stadio e basta: e inoltre ha diversi dubbi sull’effettiva utilità di alcune infrastrutture, che a suo dire potevano essere tagliate dal progetto originale.
3. Il contorno
Secondo Cecchini, il progetto dev’essere spogliato di due infrastrutture ridondanti: il ponte carrabile sul Tevere che collegherebbe lo stadio a Fiumicino e il prolungamento della Linea B della metro. Il ponte carrabile – che secondo alcune stime dovrebbe costare più di 93 milioni di euro – sarebbe un doppione, perché nel 2015 il decreto del governo Sblocca-Italia conteneva già i fondi per costruire un ponte a circa 1,5 chilometri più a nord, che collegherebbe i quartieri EUR e Magliana: è il cosiddetto Ponte dei Congressi, di cui a Roma si parla praticamente da una ventina d’anni, ma la cui realizzazione non è mai iniziata (e il cui progetto va rivisto, secondo una recente decisione del Consiglio Superiore dei lavori pubblici). Secondo Cecchini, una volta costruito, questo ponte servirebbe agilmente la zona del futuro stadio, e in più «se non si fa la gara entro quest’anno c’è il rischio di perdere i finanziamenti».
Un discorso a parte merita il trasporto pubblico: secondo Cecchini il prolungamento della metropolitana B sarebbe tutto da dimostrare. Anche la giunta Raggi è sulla stessa lunghezza d’onda: già da qualche mese sembra infatti che sia contraria alla sua costruzione perché costringerebbe il comune a potenziare la linea per garantire un servizio regolare, cosa che non ha i soldi per fare. Secondo Cecchini e altri va invece potenziata la ferrovia Roma-Lido, che ferma proprio a Tor di Valle, e che è una delle reti principali di comunicazione fra Roma e la sua periferia sud. Cecchini ha spiegato anche che il progetto dello stadio e del suo quartiere è simbolico di un problema molto comune nell’urbanistica a Roma: «ogni progetto guarda se stesso e basta, non si occupa del contesto».
Questi due punti, comunque, sono quelli su cui la Roma sembra più disponibile a trovare un compromesso, a leggere i giornali: ridurre le dimensioni delle torri “abbassandole”, rinunciare al ponte pedonale e al prolungamento della metro.
Il tragitto della Roma-Lido
Ma quindi questo stadio si fa o no?
Al momento nessuno ha davvero chiaro se e quanto sia compromessa la situazione: la Conferenza dei Servizi si è riunita per la prima volta il 3 novembre 2016 e si è impegnata a fornire un parere entro inizio febbraio: il comune però ha chiesto e ottenuto una proroga di 30 giorni – che scadrà il 3 marzo – probabilmente per chiudere definitivamente la trattativa con la Roma sulle modifiche al progetto. Nel frattempo però è spuntata fuori la decisione della Soprintendenza di porre un vincolo sull’ippodromo – e Raggi ha ammesso che quindi sono emersi “nuovi elementi che incidono sulla valutazione e realizzazione del progetto” – ma al contempo ci sono state anche le dimissioni di Berdini, uno dei critici più intransigenti del progetto dello stadio.
Qualche giorno fa Daniele Frongia, assessore allo Sport ed ex vicesindaco della giunta Raggi, ha spiegato per esempio che «Una certezza ce l’abbiamo: la delibera di Marino che è molto precisa certamente non verrà portata avanti così com’è». In molti temono che se la delibera di Marino verrà effettivamente messa da parte, e il progetto quindi ripartirà da capo o quasi, la Roma e i costruttori potrebbero fare causa al comune: la Roma stessa in un comunicato del 18 febbraio ha velatamente fatto intendere che è una possibilità («avvieremo ogni possibile azione a tutela del nostro Progetto, di tutti gli investitori e pubblici azionisti della As Roma e naturalmente di tutti i tifosi»). Ma le dichiarazioni di Frongia possono anche voler dire che il progetto contenuto nella delibera subirà delle modifiche senza per questo essere abbandonato.
Se tutto andrà per il verso giusto e il 3 marzo AS Roma e comune dovessero mettersi d’accordo, il progetto sarebbe definitivamente approvato con una mera ratifica del consiglio regionale. I lavori potrebbero cominciare ufficialmente una volta che il comune avrà recepito l’approvazione finale, e durare circa due anni e mezzo. Nel caso Roma e comune non raggiungessero un accordo, invece, sarebbe praticamente tutto da rifare.