Ah, da quando Baggio non gioca più
Compie oggi 50 anni uno che ha segnato gol incredibili, ha cambiato molte squadre, ha sbagliato un rigore ed è tra i più amati e forti di sempre
Nel 2010 il Barcellona di Pep Guardiola si trovava nel mezzo del periodo più vincente della sua storia, e oltre ad avere in squadra una lunga serie di fuoriclasse cresciuti nelle giovanili del club, si stava godendo le prestazioni strabilianti di Lionel Messi, che in quegli anni non lasciava per strada nemmeno un trofeo, vincendo tutti i riconoscimenti più prestigiosi del calcio mondiale. La sera del 4 aprile del 2010 il Barcellona vinse 4-1 al Campo Nou contro l’Arsenal, qualificandosi per la semifinale della Champions League. In tribuna, a vedere Messi segnare tutti e quattro i gol del Barcellona, c’erano alcuni dei più grandi giocatori della storia del club, come Johan Cruijff, da poco nominato presidente onorario del club, e il Pallone d’Oro bulgaro Hristo Stoičkov. C’era anche Demetrio Albertini, che a Barcellona ci giocò nel 2005, e c’era Roberto Baggio, ospite d’eccezione al Camp Nou.
In occasione di quella partita, la Gazzetta dello Sport organizzò il viaggio di Baggio a Barcellona, durante il quale avrebbe potuto incontrare Pep Guardiola, suo amico fin da quando giocarono insieme nel Brescia, tra il 2001 e il 2003. Dopo aver assistito alla partita, Baggio incontrò Guardiola all’interno del Camp Nou. Parlarono di che giocatore incredibile fosse in quel periodo Lionel Messi, e di come riuscisse a trasportare l’intera squadra solo con la sua voglia di vincere. Poi arrivò Messi, timido come il suo solito. Dopo che Baggio tentò di rompere il ghiaccio parlando di un suo recente viaggio in Argentina — meta prediletta delle sue battute di caccia — Guardiola disse rivolgendosi a Messi: “Io ho avuto la fortuna di giocare con lui a 31 anni. Ha subito circa sette operazioni alle ginocchia. Gliel’ho detto: è il miglior giocatore con cui abbia mai giocato. Con sei o sette operazioni”. In carriera, Guardiola ha giocato tra gli altri con Romário, Stoichkov, Ronald Koeman, Michael Laudrup, Gheorghe Hagi, Robert Prosinecki, Luís Figo, Rivaldo, Patrick Kluivert, Puyol e Xavi.
Nato il 18 febbraio di cinquant’anni fa, Baggio ha giocato a calcio fino al 2004. Nella sua carriera — durata più di vent’anni — è stato in molte squadre: è partito dal Vicenza, la squadra del suo capoluogo, e poi è stato alla Fiorentina, alla Juventus, al Milan, al Bologna, all’Inter e al Brescia. In molte di queste squadre è arrivato accompagnato da mille celebrazioni, e ne ha lasciate altrettante scatenando un sacco di polemiche: a Firenze anche una specie di rivolta. Ma è ricordato bene ovunque, come tanti altri grandi campioni del passato.
In Serie A ha giocato 452 partite e segnato 205 gol. Se poi si aggiungono le partite di coppa si arriva a 519 partite e 235 gol. È stato un fantasista e una seconda punta. Michel Platini disse che era un “nove e mezzo”: un po’ attaccante, quindi numero “9”, e un po’ fantasista, e quindi numero “10”. È stato Pallone d’Oro nel 1993 ma non ha vinto molti trofei con le squadre di club in cui ha giocato, e mai nessuno con la nazionale italiana. Ma almeno nel 1994 avrebbe dovuto vincere i Mondiali.
Erano gli ottavi di finale dei Mondiali negli Stati Uniti, a cui l’Italia era arrivata dopo un girone in cui aveva giocato male e ottenuto poco. Nel primo tempo di quella partita, contro la Nigeria, la nazionale giocò decentemente ma subì un gol dopo un’azione confusionaria seguita a un calcio d’angolo. Nel secondo tempo l’arbitro espulse ingiustamente Gianfranco Zola, entrato in campo da pochi minuti, e l’Italia non riuscì più a essere pericolosa. La partita sembrava finita e l’Italia rovinosamente eliminata, quando a due minuti dalla fine Baggio segnò il gol del pareggio, nonché il suo primo gol in quei Mondiali. Si andò ai tempi supplementari con la Nigeria più riposata perché aveva difeso quasi per tutta la partita, e l’Italia stanchissima e con un uomo in meno. Ai supplementari però Baggio segnò di nuovo, stavolta su rigore, portando a termine una rimonta che mezz’ora prima sembrava impossibile.
Da lì in poi continuò a segnare: ai quarti di finale fece il gol che diede la vittoria all’Italia contro la Spagna, in semifinale i due gol decisivi contro la Bulgaria. Non segnò nella finale, a Pasadena contro il Brasile, e sbagliò il rigore decisivo.
A distanza di anni commentò quel suo errore dal dischetto dicendo:
Non avevo mai calciato un rigore sopra la traversa. Penso che quel giorno sia stato Ayrton Senna [il grandissimo pilota brasiliano di Formula 1, morto poche settimane prima], dal cielo, a spingere il pallone verso l’alto. È stato lui a far vincere il Brasile.
Sul momento avrei voluto scavare una buca e nascondermici dentro. Poi ho pensato che visto che il Brasile ha molti più abitanti dell’Italia, con quel mio errore avevo fatto felice molta più gente.
Anche prima di quei Mondiali — giocati da fuoriclasse — Baggio era già considerato uno dei giocatori più forti della sua epoca; conosciuto, seguito e tifato dal Giappone agli Stati Uniti. Fu uno dei pochissimi calciatori a impersonare sé stesso nel cartone animato giapponese Holly e Benji, senza sosia né storpiature nel nome. Per rendere meglio le dimensioni della sua fama. «Tu sei Roberto Baggio!».
A metà degli anni Novanta, Baggio aveva già superato per importanza tutti i più grandi calciatori della storia del calcio italiano, giocandosi il primato solo con Gianni Rivera.
Vinse poco perché nelle squadre in cui andò a giocare si ritrovò nel mezzo di periodi non molto fortunati, e solo alla Juventus riuscì a giocare regolarmente per qualche anno ai più alti livelli del calcio europeo. Si trovò poi spesso in contrasto con i progetti di dirigenti e allenatori, a volte anche con i compagni di squadra. Ebbe problemi con gli Agnelli alla Juventus, con Fabio Capello al Milan e con Marcello Lippi, prima alla Juventus e poi all’Inter. Nel 1997 Carlo Ancelotti preferì far continuare a giocare nel suo Parma Enrico Chiesa e Gianfranco Zola, rinunciando all’acquisto di Baggio. Per poi pentirsene.
Sette anni prima, nel 1990, la notizia del suo trasferimento ebbe ripercussioni sull’ordine pubblico di una delle più importanti città d’Italia. Dopo cinque anni passati a Firenze, infatti, la dirigenza lo vendette alla Juventus, storica rivale della Fiorentina. Più che con lui, i tifosi se la presero con Flavio Pontello, l’allora presidente e proprietario della squadra, accusato di aver allontanato Baggio da Firenze soltanto per una questione economica. Sull’edizione fiorentina della Repubblica del 19 maggio un articolo raccontò cosa successe quel giorno in città.
FIRENZE. Notte di scontri in città, con attacchi alla polizia e lanci di molotov, e gli ultrà che tornavano continuamente alla carica in nuovi punti, mentre risuonavano le ambulanze e il traffico impazziva. E il questore ha imposto la chiusura dei locali pubblici alle 22,30. E’ stata la guerriglia finale dopo un attimo di pausa che aveva seguito alla prima fase della guerra, quella iniziata nel pomeriggio. Erano le sei e mezza di sera e non s’ è capito più niente. In piazza Savonarola, davanti alla sede della Fiorentina, c’ erano quasi cinquecento persone tra tifosi e curiosi. I tifosi con le radio sopra le spalle ascoltavano un’ emittente privata che stava trasmettendo in diretta dalla sede la conferenza-stampa della società. Alle parole di Claudio Pontello: La nostra famiglia resterà sempre al comando della società, il finimondo. Prima urla, cori, lancio di monetine e di ghiaia verso il palazzo. Poi i quindici pochi poliziotti che si barricano dietro le macchine e cominciano a sparare lacrimogeni. Paura, confusione, parapiglia, fumo, la folla si ritira. I poliziotti si fanno avanti roteando i manganelli.
L’idea di cedere ai rivali di sempre un giocatore in grado di segnare gol del genere non venne presa alla leggera.
La Juventus fu la squadra con la quale giocò più partite nella sua carriera, tra il 1990 e il 1995: se ne andò per problemi con la dirigenza, e fu ceduto al Milan, dove rimase per due stagioni. Nel suo ultimo anno alla Juventus e nel suo primo anno al Milan vinse i suoi unici due scudetti (con la Juventus vinse anche una Coppa Italia e una Coppa Uefa). Nel 1997 Baggio si trasferì per una stagione al Bologna, un club con ambizioni e progetti ben inferiori. Lì si rigenerò, e alla soglia dei trent’anni si guadagnò l’ultima grande possibilità della sua carriera: l’Inter. Ma tra gli anni Novanta e i primi Duemila l’Inter era una squadra e una società in stato confusionale, che otteneva scarsi risultati a fronte di grandi investimenti e cambiava continuamente allenatore.
A Milano il suo rendimento risentì molto della situazione della squadra, e riuscì a giocare al suo meglio solo in rare e isolate partite, come quella nei gironi di Champions League del 1998 contro il Real Madrid, in cui fece vincere la partita all’Inter in soli venti minuti. Poi si ritrovò come allenatore Marcello Lippi, avuto sei anni prima alla Juventus: già allora i rapporti fra i due non erano partiti con il piede giusto, e all’Inter furono ancora peggiori. La stagione successiva, 1999/2000, fu più frustrante della precedente dato che Lippi lo considerava più una riserva che un titolare. A metà stagione tutti s’immaginavano che Baggio avrebbe lasciato l’Inter a fine campionato, ma non si immaginavano come.
Dopo aver concluso il campionato al quarto posto a pari merito con il Parma, a maggio l’Inter dovette giocare uno spareggio per poter accedere alla Champions League. In caso di sconfitta la dirigenza dell’Inter avrebbe con ogni probabilità esonerato Lippi, aprendo anche una remota ipotesi di permanenza a Milano per Baggio. Diversamente, in caso di vittoria, Lippi sarebbe stato confermato, e Baggio se ne sarebbe andato senza pensarci un attimo.
Fu una partita molto combattuta – era il Parma di Buffon, Thuram, Cannavaro e Crespo — che l’Inter vinse proprio grazie a Baggio, il quale prima segnò con una punizione dal limite dell’area, cogliendo di sorpresa Buffon, e poi, nel secondo tempo, con un tiro al volo da fuori area. Poi segnò anche Ivan Zamorano e l’Inter se andò in Champions League vincendo 3-1.
Dopo aver dato un contributo decisivo alla vittoria, Baggio lasciò l’Inter e Lippi: tre mesi dopo la squadra subì una delle umiliazioni più grandi della sua storia venendo eliminata ai preliminari di Champions League dagli svedesi dell’Helsingborg. Cinque anni dopo, Baggio scrisse nella sua autobiografia: «[Lippi] Era un caudillo, ostentava una conduzione militaresca dello spogliatoio. Contro di me, ha usato tutto il potere di cui era in possesso, nella speranza di annientarmi».
A 33 anni e con parecchi problemi alle ginocchia, Baggio decise di avvicinarsi a casa per concludere la sua carriera, e firmò con il Brescia di Gino Corioni e Carlo Mazzone. Aveva un ginocchio pieno di cicatrici con del liquido al suo interno che andava un po’ dove voleva, e non gli permetteva più di fare certi movimenti.
Ma a trent’anni passati, e con delle ginocchia così mal ridotte, riuscì comunque a fare cose strabilianti, come questa.
E questa.
Portò il Brescia alla finale della Coppa Intertoto, poi persa contro il Paris Saint-Germain, e venne addirittura inserito fra i cinquanta giocatori nella lista del Pallone d’Oro del 2001, posizionandosi al 25esimo posto.
Giocò la sua ultima partita nel 2004: un Milan-Brescia in un San Siro completamente esaurito. Fabio Caressa, commentatore di Sky, accompagnò la sua ultima apparizione in un campo di Serie A così:
Si chiude qui una delle carriere più belle della storia del calcio italiano. Esce dal campo per l’ultima volta forse il giocatore più amato nella storia del calcio italiano. Sicuramente uno dei più forti di tutti i tempi.