C’è un nuovo vaccino per la malaria molto promettente
È una soluzione aggressiva – iniettare una versione vitale del parassita che la causa – ma sta dando buoni risultati
Un nuovo approccio alle vaccinazioni contro la malaria – piuttosto radicale e incisivo – ha dato esiti molto positivi in una prima serie di test su alcuni volontari umani. Il sistema consiste nell’iniettare una versione del parassita della malaria ancora nel suo stadio vitale e meno depotenziato, spingendo il sistema immunitario a imparare a tenerlo sotto controllo, con l’aiuto di alcuni farmaci per evitare che la malattia si sviluppi completamente. I risultati dei primi test, realizzati dai ricercatori della società farmaceutica Sanaria, sono stati illustrati sulla rivista scientifica Nature e stanno interessando molto gli epidemiologi e gli operatori sanitari.
La malaria è una delle malattie più diffuse al mondo, anche a causa della mancanza di un vaccino davvero efficace: l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che solo nel 2015 ci siano stati 212 milioni di casi di malaria in tutto il mondo, concentrati soprattutto nell’Africa sub-sahariana, e che le complicazioni dovute alla malattia abbiano causato 429mila morti. Tra il 2010 e il 2015 il tasso di mortalità tra le persone a rischio è diminuito di quasi un terzo, grazie a massicce campagne per trattare meglio la malattia e per prevenirla. La malaria si diffonde principalmente attraverso le punture di zanzara, quindi parte degli sforzi è tesa a ridurre la loro presenza nelle aree dove la malattia è più diffusa o a prevenire i contatti con la popolazione.
Semplificando molto, la maggior parte dei vaccini contiene una versione inattiva, quindi innocua, del virus o microrganismo che causa la malattia, dando la possibilità al sistema immunitario di chi la riceve di riconoscerla e sviluppare le risorse per affrontarla. Il sistema immunitario conserva l’informazione e la utilizza in seguito, nel caso di un’infezione vera e propria con l’entità biologica attiva. In alcuni casi la protezione dura per tutta la vita, in altri sono necessari dei richiami perché dopo qualche anno, in assenza di nuovi contagi, il sistema immunitario perde l’informazione. I vaccini per la malaria sperimentati finora hanno quasi sempre fallito, perché la versione inattiva del parassita che la causa (Plasmodium) non è sufficiente per stimolare una reazione immunitaria duratura.
I ricercatori di Sanaria a Rockville (Maryland, Stati Uniti) hanno testato, insieme ai loro colleghi dell’Università di Tubinga (Germania), un sistema più incisivo e aggressivo: iniettare parti vitali del Plasmodium, cioè gli sporozoiti, direttamente nell’organismo di 9 volontari, per tre volte a distanza di un mese tra una somministrazione e l’altra. Prima e dopo la ricezione del vaccino, i volontari hanno assunto la clorochina, un farmaco utilizzato per prevenire e trattare la malaria (anche se negli ultimi anni di meno, perché alcuni ceppi di Plasmodium hanno dimostrato una resistenza al farmaco). La clorochina ha tenuto sotto controllo il parassita, proteggendo soprattutto il fegato dei volontari, mentre intanto il sistema immunitario sviluppava le risorse per affrontare il Plasmodium.
Al termine del trattamento, i ricercatori hanno nuovamente somministrato ai pazienti una dose di sporozoiti, ma senza dare loro la clorochina: nessuno dei partecipanti ha sviluppato sintomi gravi e riconducibili alla malaria. Il gruppo di ricerca ha anche infettato 13 volontari che non avevano ricevuto alcun tipo di vaccino o trattamento, e nel sangue di tutti è stata rilevata la presenza del parassita; sono stati poi sottoposti ai classici trattamenti contro la malaria, impedendo alla malattia di svilupparsi.
Risultati analoghi erano stati già raggiunti da un altro gruppo di ricercatori nel 2009, ma in quel caso il parassita non era stato iniettato direttamente nelle vene dei volontari. Il test era stato eseguito utilizzando direttamente le zanzare infettate con il Plasmodium falciparum, facendo in modo che mordessero i partecipanti all’esperimento. Si era però concluso che usare direttamente le zanzare per somministrare il vaccino non era una strada facilmente percorribile. I ricercatori di Sanaria per realizzare il loro nuovo vaccino CVac hanno estratto gli sporozoiti dalle ghiandole salivari delle zanzare.
I risultati degli esperimenti con CVac sono molto incoraggianti, ma mancano ancora diversi pezzi per parlare di un successo. I ricercatori non sanno per esempio quanto possa durare l’effetto dopo la sua somministrazione. Le persone che si ammalano di malaria e sopravvivono sviluppano una resistenza immunitaria alla malattia, che però si perde dopo qualche anno se si spostano in altre aree, dove non è comune la trasmissione della malaria.
Secondo i modelli matematici preparati da Sanaria, se il 90 per cento della popolazione – nelle aree dove è diffusa la malaria – ricevesse il vaccino e un trattamento adeguato con clorochina (o altri farmaci) per sei mesi, la malattia potrebbe essere fermata e il parassita eliminato. Non tutti sono però convinti della fattibilità di un piano vaccinale basato sul CVac. Il problema, che è poi lo stesso alla base del tasso di mortalità della malaria, riguarda l’estrema difficoltà nel seguire i pazienti e assicurarsi che assumano regolarmente la clorochina e gli altri farmaci di questo tipo.
La malaria è diffusa soprattutto nelle aree rurali dell’Africa, dove l’alfabetizzazione è bassa, i villaggi sono difficili da raggiungere e ancora più complicato è istruire la popolazione sul corretto utilizzo dei farmaci. In ambienti così difficili da controllare, ci potrebbe essere il rischio di diffondere ulteriormente il Plasmodium tramite il vaccino, senza che siano poi prese le giuste misure per tenerlo sotto controllo con i farmaci. Il CVac potrebbe comunque essere un’ottima risorsa per chi si reca per periodi di tempo di media durata in luoghi dove è alto il rischio malaria, come personale medico, volontari, missionari e militari.