Il Canada dovrà risarcire migliaia di aborigeni separati dalle loro famiglie
Un giudice ha ritenuto il governo responsabile del "Sixties Scoop", la pratica di dare i bambini aborigeni in adozione alle famiglie bianche diffusa negli anni '60 e '80
Martedì 14 febbraio un giudice canadese ha stabilito che il governo del Canada è responsabile per i danni causati a migliaia di bambini aborigeni che tra gli anni Sessanta e Ottanta furono separati dalle loro famiglie per essere dati in adozione a famiglie bianche. Questa pratica è diventata conosciuta con il nome di “Sixties Scoop”, e andò avanti dal 1965 al 1984: coinvolse circa 16mila bambini aborigeni solo in Ontario – dove è stata presentata la causa – che furono dati in adozione solitamente a coppie bianche della classe media, oppure in case-famiglia. La causa era stata formalmente presentata lo scorso anno ma ha una storia cominciata otto anni fa, rallentata e ritardata da numerosi appelli del governo canadese. A fare causa al governo sono stati un gruppo di sopravvissuti del Sixties Scoop, che hanno chiesto un risarcimento di 1,3 miliardi di dollari: l’effettiva cifra che il governo dovrà pagare però deve ancora essere decisa dal tribunale. Carolyn Bennett, ministra canadese per gli Affari indigeni e del Nord, ha detto che il governo stavolta non farà ricorso contro la sentenza, e che ci sarà un incontro con i sopravvissuti entro fine mese per accordarsi sul risarcimento.
Edward Belobaba, il giudice che ha dato ragione ai sopravvissuti, ha stabilito che la separazione forzata delle migliaia di bambini aborigeni li ha privati delle loro radici culturali, e ha causato danni emotivi durati per generazioni. Il governo canadese è stato ritenuto responsabile per non aver discusso dell’educazione dei bambini aborigeni con le tribù delle Prime Nazioni, come sono chiamati i popoli indigeni del Canada. Nelle motivazioni, Belobaba ha scritto che «i bambini hanno perso i contatti con le loro famiglie», e che «non sono stati educati riguardo al loro patrimonio culturale aborigeno». La perdita della propria identità aborigena «ha lasciato i bambini fondamentalmente disorientati, che sono stati per questo meno capaci di condurre vite sane e realizzate». Belobaba ha collegato le rimozioni forzate alla diffusione di disturbi psichiatrici, dipendenze, disoccupazione, violenza e suicidi tra gli aborigeni.
Fin dalla fine dell’Ottocento, il governo canadese ha attuato pratiche coercitive per inserire i bambini aborigeni nel sistema scolastico gestito dalle chiese cristiane locali, convinto che fosse il modo migliore per favorire la loro integrazione. Ai bambini aborigeni che frequentavano le scuole dei coloni era spesso proibito parlare la loro lingua o mantenere qualsiasi altra tradizione del loro popolo, ed erano separati dalle famiglie per lunghi periodi. Questo sistema fu abbandonato negli anni Cinquanta, e sostituito in alcune aree del Canada dalla pratica della separazione forzata dalle famiglie: non fu però un programma studiato e realizzato in maniera sistematica, ma un insieme di rimozioni e deportazioni compiute da persone e organizzazioni diverse – assistenti sociali, enti religiosi, funzionari statali – per via della diffusa convinzione che fosse il modo migliore di aiutare e integrare gli aborigeni. È stato stimato che nel periodo del Sixties Scoop i bambini aborigeni avessero quasi cinque volte più probabilità di finire in adozione rispetto ai bambini bianchi.
Marcia Brown Martel, una dei principali firmatari della causa legale, ha detto che la sentenza è «un passo in più verso la riconciliazione», e ha spiegato di sentirsi sollevata perché «le nostre voci sono state finalmente ascoltate, il nostro dolore è stato riconosciuto. Spero che nessuno la veda come una sconfitta per il governo: è una vittoria per tutti». Il governo canadese non si è mai scusato pubblicamente per il Sixties Scoop. Oltre a quella portata in tribunale in Ontario, sono in corso nel paese altre cause legali sulle pratiche di separazione forzata dei bambini aborigeni.