La Casa Bianca dopo il caso Flynn
La storia che ha portato alle dimissioni del consigliere Michael Flynn potrebbe non essere finita qui, e ha dimostrato che c'è confusione e competizione tra i funzionari della Casa Bianca
La sera del 13 febbraio il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Michael Flynn si è dimesso ammettendo di avere «inavvertitamente dato informazioni imprecise» al vicepresidente Mike Pence e alla stampa sulle sue conversazioni con l’ambasciatore della Russia negli Stati Uniti, Sergey Kislyak. In alcune telefonate avvenute prima dell’insediamento del presidente Donald Trump, Flynn ha parlato con Kislyak delle sanzioni alla Russia decise da Obama, sebbene all’epoca fosse ancora un semplice privato cittadino, e poi lo aveva nascosto a Pence e alla stampa, almeno per quel che ne sappiamo adesso. La vicenda che ha portato alle dimissioni di Flynn è abbastanza complicata, soprattutto perché per circa cinque giorni non si capiva cosa sarebbe successo: da un lato la posizione di Flynn, che era passato dal negare di aver parlato con Kislyak delle sanzioni a dire che non ricordava bene se ne avessero parlato, sembrava sempre più precaria; dall’altra Trump non si era mai pronunciato sulla questione, probabilmente indeciso se premiare la lealtà di Flynn nonostante tutto o tirarsi fuori dai guai licenziandolo.
Le analisi che i principali giornali americani hanno fatto su questa situazione suggeriscono che all’interno dell’amministrazione Trump ci sia molta confusione e che il fatto che la storia di Flynn sia andata avanti per molto tempo – l’articolo del Washington Post che ha portato alle dimissioni è del 9 febbraio – è dovuta al fatto che c’è molta competizione tra i membri dell’amministrazione. Sempre il Washington Post dopo le dimissioni di Flynn ha pubblicato un articolo intitolato “Upheaval is now standard operating procedure inside the White House”, cioè “Gli scontri ora sono la procedura operativa standard all’interno della Casa Bianca”.
Trump ha ordinato un’indagine interna per capire chi, da dentro l’amministrazione, diffonde informazioni in modo anonimo ai giornali sulle sue telefonate con i leader di altri paesi e su altre questioni di sicurezza nazionale. Secondo l’articolo del Washington Post, i membri dell’amministrazione hanno così paura di essere accusati di aver parlato con i giornalisti che alcuni hanno cominciato a usare una app di messaggistica che cancella i messaggi non appena vengono letti dal destinatario, Confide.
Per quanto riguarda il posto di consigliere per la sicurezza nazionale che era di Michael Flynn, l’incarico è stato temporaneamente affidato all’ex generale dell’esercito e veterano della Guerra in Vietnam Keith Kellogg, stretto collaboratore di Flynn. Secondo varie fonti dei giornali americani all’interno dell’amministrazione, però, Kellogg sarà probabilmente sostituito da qualcun altro. Il nome che si fa di più è quello del viceammiraglio dei marine Robert Harward, vicino al segretario della Difesa James N. Mattis. Harward è stato direttore degli affari di strategia e difesa all’interno del Consiglio per la sicurezza nazionale durante l’amministrazione di George W. Bush e ha lavorato nel National Counterterrorism Center nel 2005. Un altro candidato per prendere il posto di Flynn è David Petraeus, il generale ed ex direttore della CIA che nel 2012 fu protagonista di un complicato scandalo che riguardava una sua relazione extraconiugale e documenti riservati. Tuttavia, proprio per via di questo scandalo, è difficile che Petraeus riceva l’incarico. Trump lo incontrerà questa settimana.
Della storia di Flynn comunque è probabile che si parli ancora per un po’, perché un altro articolo del Washington Post ha rivelato che l’amministrazione Trump era stata informata dell’indagine sulle telefonate tra Flynn e Kislyak dal dipartimento della Giustizia quando era ancora guidato da Sally Yates, cioè la procuratrice generale “facente funzione” licenziata dal presidente per essersi rifiutata di difendere l’ordine esecutivo sui limiti all’immigrazione di fronte ai ricorsi legali. Oggi il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer ha confermato che Trump sapeva dell’indagine dallo scorso 26 gennaio (fino al 13 febbraio, però, Flynn ha continuato ad avere accesso alle informazioni di livello superiore). Spicer ha poi detto che il presidente «non ha mai dato istruzioni» all’ex consigliere per la sicurezza nazionale di parlare di sanzioni con la Russia. Il portavoce ha infine spiegato che sebbene non ci sia stata alcuna violazione della legge non c’era più un rapporto di fiducia con Flynn.
Secondo Politico quest’ultimo articolo del Washington Post è la cosa più dannosa che sia capitata all’amministrazione Trump finora. I servizi di intelligence americani avevano cominciato a indagare sulle telefonate di Kislyak per capire se c’entrassero qualcosa con l’insolita decisione del presidente russo Vladimir Putin di non fare nulla come ritorsione contro le sanzioni imposte alla Russia da Obama: a partire dalle conversazioni con Flynn l’FBI aveva realizzato un rapporto. Basandosi sul rapporto, Yates rese noto all’amministrazione Trump che pensava che Flynn avesse mentito al vicepresidente Pence in merito alle sue comunicazioni con l’ambasciatore russo e temeva che il consigliere potesse essere ricattato dalla Russia, dato che ovviamente il governo russo sapeva benissimo cosa lui e Kislyak si fossero detti.
Inoltre, alcuni parlamentari Democratici stanno chiedendo che il Congresso apra una commissione d’inchiesta sul caso Flynn, per verificare i suoi contatti con i russi precedenti all’elezione di Trump – Flynn è stato spesso accusato di essere amico di Putin e in passato partecipò a Mosca, seduto proprio accanto a Putin, a una cena organizzata dalla tv di stato RT – e se Trump sapesse di questi contatti o addirittura gli avesse chiesto di parlare delle sanzioni con l’ambasciatore Kislyak. Anche tre senatori Repubblicani hanno detto che dovrebbe essere aperta un’inchiesta. I Repubblicani hanno comunque la maggioranza sia alla Camera che al Senato, però, e quindi è difficile che questa richiesta venga esaudita a meno che dall’indagine dell’FBI non vengano fuori altre informazioni.
Secondo i dati dell’istituto di sondaggi Gallup, il 27 gennaio, cioè il settimo giorno della nuova amministrazione, la percentuale di americani che disapprova il lavoro di Trump da presidente ha raggiunto il 50 per cento; Barack Obama aveva raggiunto questo picco dopo 929 giorni di presidenza, George W. Bush dopo 1.205 giorni. Intanto Trump deve ancora nominare il direttore delle comunicazioni della Casa Bianca e mancano ancora molti sottosegretari in varie agenzie del governo e la maggior parte degli ambasciatori nel mondo. Secondo lo stratega Repubblicano Steve Schmidt, funzionario della Casa Bianca durante l’amministrazione Bush molto critico con Trump, che ha parlato con il Washington Post, l’amministrazione Trump non è stata gestita in modo normale finora: «L’incompetenza, la negligenza e le fughe di notizie sono senza precedenti». In particolare Schmidt è molto critico sia sulle informazioni false date dalla Casa Bianca che sul discusso divieto di ingresso negli Stati Uniti per i cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana. Secondo il consigliere della Casa Bianca ai tempi di Ronald Reagan Edward J. Rollins, il problema dell’amministrazione Trump è che ne fanno parte molte persone famose a livello nazionale, per cui «tutto quello che fanno è amplificato».