In Libia c’è il solito caos, ma ci riguarda
L'Italia – che ha grandi interessi economici e politici in Libia – sta cercando di arrivare a un accordo tra il governo locale e un generale appoggiato dalla Russia
Questa settimana si terranno due importanti incontri per il futuro della Libia e dell’Italia, il paese europeo più impegnato nello sforzo diplomatico per stabilizzare il paese. Giovedì a Bonn, in Germania, il ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano incontrerà il suo omologo russo, Sergei Lavrov, per discutere in particolare di Khalifa Haftar, l’ex generale dell’esercito libico che oggi è uno dei principali avversari del governo di unità nazionale appoggiato dall’Italia e dal resto della comunità internazionale. Lo stesso giorno il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni si incontrerà con il primo ministro britannico Theresa May per discutere dell’appoggio al capo del governo libico, Fayez al Sarraj.
Da tempo la Russia sta cercando di aumentare la sua influenza in Libia appoggiando il generale Haftar, che controlla la parte orientale del paese e ha la sua principale base a Tobruk. Haftar dice di essere l’unico nel paese ad avere la forza e la determinazione necessari a eliminare dalla Libia gli estremisti e i terroristi. Secondo molti esperti l’obiettivo della Russia è trasformare Haftar in un autocrate laico, come l’egiziano Abdel Fattah al-Sisi. In questo modo la Russia otterrebbe nella regione un secondo stato amico, come la Siria, dove truppe russe sono intervenute da oltre un anno a sostegno del presidente Bashar al Assad.
Italia ed Europa, invece, hanno puntato molto su Sarraj, nominato capo del governo grazie a un accordo tra fazioni libiche nel dicembre del 2015. Sarraj e il suo governo oggi controllano Tripoli e la parte occidentale del paese. All’inizio di febbraio Serraj e il governo italiano hanno firmato un accordo che ha lo scopo di limitare il flusso di migranti che dalla Libia arriva all’Italia (180 mila persone sono sbarcate nel nostro paese nel corso del 2016). I punti principali dell’accordo prevedono che le autorità italiane forniscano «supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina», cioè fondamentalmente alla Guardia Costiera libica, e migliorino le condizioni dei centri di accoglienza in territorio libico, finanziando l’acquisto di medicine e attrezzature mediche e la formazione del personale che ci lavora.
In passato Haftar e il governo Sarraj si sono scontrati più volte con le armi, e ogni volta la diplomazia italiana ed europea ha cercato di far raggiungere alle parti un accordo. Il principale ostacolo è il ruolo di Haftar nella futura Libia. Il generale vuole essere nominato capo dell’esercito libico con ampi poteri, mentre i diplomatici europei vogliono fargli accettare di sottoporsi al potere del governo civile. Con l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, pensano molti, Haftar diventerà probabilmente ancora meno incline a un compromesso. Il nuovo governo americano ha già dato indicazioni che preferisce un uomo apparentemente forte come Haftar piuttosto che un governo incapace di esercitare il potere.
Come ha scritto il giornalista del Foglio Daniele Raineri, a Tripoli, la capitale del governo Sarraj, si vive in un clima da “colpo di stato permanente”, con milizie rivali che sembrano sempre pronte a marciare sui palazzi del governo. Ai problemi della sicurezza si aggiungono quelli economici. La Libia è colpita da frequenti blackout, oltre che dalla crisi economica e dalla scarsità di contante che molti attribuiscono all’incapacità dell’attuale governo.
Anche i rapporti migliori tra Stati Uniti e Russia sembra aumentare le possibilità di successo per Haftar, ma secondo molti diplomatici italiani Haftar ha molti avversari in Libia e per questo non è il candidato ideale a riunificare il paese: è compromesso con il regime di Gheddafi ed è un nemico dichiarato non solo del fondamentalismo ma anche dell’islam politico moderato, che in Libia è una forza politica importante e influente.