Michael Flynn si è dimesso
Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca ha ammesso di aver trattato con la Russia prima che Trump si insediasse e aver mentito al vicepresidente Pence e all'FBI
Michael Flynn ha dato le dimissioni da consigliere per la sicurezza nazionale, uno degli incarichi più importanti della Casa Bianca, e ha ammesso di avere «inavvertitamente dato informazioni imprecise» al vicepresidente Mike Pence e alla stampa sulle sue conversazioni con l’ambasciatore della Russia negli Stati Uniti. Flynn, che era considerato una delle persone dalle idee più estremiste dentro la Casa Bianca, aveva discusso delle sanzioni approvate da Obama contro la Russia prima di prestare giuramento come membro del governo, quando era privato cittadino, promettendo che sarebbero state rimosse dall’amministrazione Trump e commettendo così un reato; successivamente lo aveva negato al vicepresidente Pence, facendolo mentire in tv, finché la stampa non ha scoperto che era una bugia.
O meglio, questa è la versione ufficiale, sulla base di quello che sappiamo oggi: ma c’è un’indagine dell’FBI in corso e i Democratici chiedono una commissione d’inchiesta al Congresso per verificare se Pence o lo stesso Trump sapessero che Flynn stesse mentendo o che non gli avessero chiesto loro stessi di mentire sui suoi rapporti con la Russia. O Flynn non ha detto a nessuno di aver parlato delle sanzioni con la Russia, e in quel caso problema chiuso; o lo ha detto a qualcuno, e sarà il caso di scoprire a chi lo ha detto; o lo ha detto a Trump e Pence, e in quel caso entrambi hanno mentito.
Tutto è cominciato con una serie di telefonate tra Flynn e l’ambasciatore russo negli Stati Uniti Sergey Kislyak. Il 29 dicembre 2016, il giorno in cui l’amministrazione di Barack Obama annunciò di avere imposto sanzioni contro la Russia e ordinato l’espulsione di 35 persone sospettate di essere agenti dell’intelligence russa in risposta agli attacchi informatici contro partiti statunitensi, Flynn parlò al telefono con Kislyak e, secondo nove funzionari governativi che hanno parlato con il Washington Post a patto di restare anonimi, discusse con lui delle sanzioni in modo esplicito. Secondo due delle fonti del Washington Post, Flynn chiese a Kislyak che la Russia non reagisse alle sanzioni – la Russia effettivamente non reagì – perché la questione sarebbe stata risolta una volta che Trump avesse preso il posto di Obama.
L’amministrazione Trump – compreso il vicepresidente Pence – e Flynn stesso avevano negato più volte che tra Flynn e Kislyak si fosse parlato delle sanzioni. Nel suo ultimo commento sulla vicenda, arrivato dopo il più recente articolo del Washington Post, il portavoce di Flynn aveva però un po’ cambiato la sua versione dei fatti: Flynn disse di non ricordare di aver parlato delle sanzioni con Kislyak ma di non essere più certo che l’argomento non fosse mai stato affrontato. L’ultima smentita sulla vicenda era arrivata lunedì dal portavoce del governo russo Dimitry Peskov, che aveva detto che Flynn e Kislyak non discussero della rimozione delle sanzioni da parte di Trump.
Flynn potrebbe aver violato la legge due volte. La prima interferendo con la politica estera del governo americano quando ancora non ne faceva parte, dato che una legge del 1799 che si chiama Logan Act vieta alle persone che non fanno parte del governo – il 29 dicembre Flynn era ancora un privato cittadino – di fare accordi o discutere questioni diplomatiche con altri paesi al posto del governo americano. La seconda mentendo all’FBI sul contenuto delle telefonate con Kislyak: c’è infatti un’indagine della polizia federale in corso sulla questione delle telefonate e se Flynn ha detto all’FBI le stesse cose che ha detto nelle interviste – cioè che non discusse delle sanzioni con l’ambasciatore russo – allora avrebbe detto il falso agli investigatori, e questo è un reato.
Tutta la storia dall’inizio
L’articolo del Washington Post secondo cui Flynn ha discusso delle sanzioni con Kislyak è del 9 febbraio, ma già dal 12 gennaio si parlava della faccenda. Il primo a scriverne fu l’editorialista del Washington Post David Ignatius, che riportò che, secondo un funzionario dell’amministrazione Obama, Flynn aveva telefonato più volte all’ambasciatore russo il 29 dicembre. La squadra di transizione di Trump – che corrisponde più o meno all’attuale amministrazione – rispose all’articolo di Ignatius dicendo che Flynn e Kislyak si erano parlati al telefono ma non avevano parlato delle sanzioni imposte da Obama alla Russia, anche perché le chiamate erano avvenute prima che le sanzioni fossero annunciate. Molti esperti di politica russa però notarono che, diversamente dal solito, Putin non aveva annunciato nessuna risposta alle nuove sanzioni decise da Obama: un atteggiamento comprensibile se effettivamente Flynn promise a Kislyak che l’amministrazione Trump avrebbe velocemente cancellato le sanzioni.
Dopo le prime smentite al Washington Post, il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer disse in una conferenza stampa che Flynn e Kislyak si erano sentiti in seguito a una precedente telefonata di auguri per Natale, anche se il Natale ortodosso si celebra il 9 gennaio. Poi, il 15 gennaio, il vicepresidente Mike Pence difese Flynn pubblicamente sia in un programma di Fox che in uno di CBS. Pence ripeté quanto detto da Spicer, e aggiunse che Flynn aveva voluto esprimere la sua solidarietà a Kislyak per l’incidente dell’aereo russo su cui si trovava il Coro dell’Armata Rossa. Pence ha anche detto che non ci furono contatti tra la futura amministrazione Trump e rappresentanti della Russia prima delle elezioni dell’8 novembre: pare che questo non sia vero. Secondo le fonti del Washington Post e stando a quanto affermato dallo stesso Kislyak, i contatti tra Flynn e l’ambasciatore russo, che si conoscono dal 2013, erano iniziati prima che Trump fosse eletto presidente.
Il 23 gennaio uscì un altro articolo del Washington Post sulla vicenda, da cui emerse che l’FBI stava investigando sulle telefonate – che erano state registrate dai servizi di intelligence, come ogni comunicazione tra l’ambasciatore russo e membri importanti della politica americana – ma che per il momento non aveva scoperto nulla di illecito. A quel punto sembrava che ci fosse stato molto rumore per nulla. Con l’articolo del 9 febbraio, quello delle nove fonti anonime secondo cui Flynn e Kislyak parlarono delle sanzioni in modo esplicito, la questione è tornata a essere discussa e ora sembra più grave. L’indagine dell’FBI è tuttora in corso. In tutto ciò, le sanzioni imposte alla Russia dall’amministrazione Obama per gli attacchi informatici non sono ancora state eliminate dall’amministrazione Trump.
Cosa potrebbe succedere adesso
Nessuno è mai stato condannato per aver violato il Logan Act. Secondo i media americani che si sono occupati della vicenda delle telefonate di Flynn a Kislyak, è improbabile che accada stavolta: non ci sono precedenti da seguire. Se Flynn dovesse aver mentito all’FBI – al momento non si sa se sia successo – sarebbe però comunque in un grosso guaio.
Michael Flynn, che è un ex generale ed è stato a capo della Defense Intelligence Agency (la principale agenzia militare d’intelligence per l’estero) dal 2012 al 2014, era già malvisto da alcuni collaboratori di Trump sia per la sua dispotica gestione del Consiglio per la sicurezza nazionale (nelle nomine dei suoi collaboratori ha privilegiato membri dell’esercito a civili che gli erano stati segnalati) sia per le sue opinioni sulla Russia. Flynn ha sempre parlato delle prospettiva di collaborare con il governo di Vladimir Putin per combattere il terrorismo ed è stato intervistato più volte da RT, la tv e il sito di notizie in lingua inglese controllati dal governo russo. Nel 2015 tenne addirittura un discorso a pagamento alla festa per il decimo anniversario di RT, durante la quale era seduto vicino a Putin. In risposta alle critiche per la sua partecipazione all’evento, Flynn disse che non c’erano differenze tra RT e una qualsiasi rete televisiva americana, CNN compresa (di Flynn si è parlato anche perché suo figlio è un super-complottista, e collaborava con Trump).