La storia dei tornelli all’università di Bologna
Dall'inizio: l'ateneo ha deciso di installare dei tornelli in una biblioteca, per far entrare solo gli studenti; collettivi e centri sociali protestano e ci sono stati scontri con la polizia
Da giorni sui principali quotidiani nazionali si parla di una cosa apparentemente molto piccola, che è successa e sta succedendo alla facoltà di Lettere dell’Università di Bologna. La storia ha a che fare con i tornelli messi dall’ateneo all’entrata della biblioteca di Discipline umanistiche che si trova al numero 36 di via Zamboni, per permettere l’ingresso solo agli studenti. Ci sono stati gesti di disobbedienza civile da parte di chi era contrario, poi un’occupazione, uno sgombero e infine diversi scontri con la polizia.
Com’è andata
A fine gennaio la dirigenza dell’Università di Bologna aveva deciso di installare e attivare un nuovo sistema di accesso alla biblioteca di via Zamboni che prevedeva si potesse entrare solo da una porta automatica che si apriva strisciando il badge dell’Università. Della possibile installazione si parlava da mesi, spiegandola con ragioni di sicurezza: la presidente del comitato scientifico della biblioteca, Francesca Tomasi, aveva spiegato per esempio che all’interno della biblioteca c’erano stati furti e episodi di spaccio e che sia il personale che gli studenti si lamentavano perché non si sentivano a loro agio all’interno della struttura: negli anni la biblioteca ha allungato il proprio orario di apertura prima oltre le 17 e poi fino a mezzanotte.
Il 23 gennaio il Collettivo Universitario Autonomo (CUA) – un gruppo di studenti di estrema sinistra – aveva organizzato una protesta: la porta di emergenza della biblioteca era stata aperta, per evitare il sistema dei tornelli e dunque un ingresso riservato, ed erano stati appesi dei cartelli con scritte come «Il 36 non è una banca», «No ai tornelli, viva il 36 libero». L’azione era stata ripetuta anche nei giorni seguenti e la direttrice del 36 era stata accusata dal collettivo di aver sospeso il prestito di libri a uno studente di Lettere che aveva preso parte alla manifestazione.
Il 27 gennaio l’università aveva segnalato in procura i disagi dovuti alle proteste del CUA. Nel frattempo un centinaio di studenti aveva consegnato all’ufficio del rettore dell’università più di 500 firme contro la decisione dei tornelli, e la prorettrice aveva fatto sapere: «Prendiamo atto delle vostre richieste, e porteremo le vostre istanze al Rettore a cui spetterà l’ultima parola sulla decisione della rimozione o meno dei tornelli». Il CUA aveva dato però un ultimatum all’Ateneo: «Avete 72 ore di tempo per rimuovere i tornelli dal 36 (…) I tornelli impediscono di entrare liberamente a chi è sprovvisto del badge universitario, ciò è inaccettabile per la natura di questo luogo di aggregazione e accoglienza. La situazione di poca sicurezza nei confronti degli studenti e dei lavoratori non si è mai verificata e siamo noi studenti a garantirla». Il collettivo si era cioè proposto come vigilante della biblioteca fino alla mezzanotte e aveva convocato un’assemblea per lunedì 6 febbraio, in cui aveva invitato anche la prorettrice.
Proprio il 6 febbraio una ventina di persone erano state segnalate in procura per le proteste. Il procuratore aggiunto Valter Giovannini, responsabile della sicurezza, aveva ipotizzato a vario titolo i reati di resistenza, oltraggio a pubblico ufficiale, minacce, interruzione di pubblico servizio, violenza privata e invasione di edifici. A quel punto c’era stata una svolta nelle proteste.
L’8 febbraio gli attivisti del collettivo, con l’aiuto di un gruppo di altri universitari che frequentavano il 36, avevano deciso di smontare i tornelli che regolavano l’accesso alla biblioteca e di portarli in Rettorato. L’Ateneo aveva risposto chiudendo la biblioteca e gli attivisti l’avevano riaperta e occupata. Siamo al 9 febbraio: poco dopo le 17.30 la polizia in tenuta antisommossa era stata autorizzata a entrare nella biblioteca rompendo il cordone degli studenti all’ingresso. All’interno c’erano stati lanci di oggetti e diverse cariche, qualche studente era riuscito a scappare, qualcun altro aveva iniziato a lanciare sedie e attaccapanni contro gli agenti. Gli scontri erano durati una decina di minuti, dopodiché le proteste erano proseguite in piazza Verdi, dove c’erano state altre cariche e altri scontri che erano durati fino a sera. Gli studenti del collettivo avevano accusato il rettore «di aver fatto entrare la celere all’università: avevamo chiesto un incontro e invece ci hanno fatto caricare».
Il 10 febbraio c’è stata una nuova manifestazione a cui hanno partecipato circa 800 studenti e a cui hanno aderito anche i centri sociali di Bologna: chiedevano le dimissioni del rettore Francesco Ubertini e del questore Ignazio Coccia. Anche in occasione di questo corteo ci sono stati scontri, lanci di fumogeni, cariche della polizia e danni, non solo nella zona universitaria ma in diverse altre zone della città. Due persone sono state arrestate e sono oggi in custodia cautelare ai domiciliari.
Nel frattempo più di 7 mila persone hanno firmato una petizione lanciata su Change.org per dissociarsi dalle azioni del Collettivo e a sostegno dell’Ateneo, e il 36 di via Zamboni è stato chiuso. Oggi, lunedì 13 febbraio, gli attivisti del Collettivo si sono presentati all’orario di apertura della biblioteca: «Volevamo riprenderci i nostri libri e i nostri appunti, cercare di rimediare ai danni fatti dalla polizia, ma non ci fanno entrare. Fanno entrare la Celere e non lasciano entrare noi studenti». I militanti del CUA hanno dunque chiesto e ottenuto per il pomeriggio un incontro con la responsabile della biblioteca, e domani si riuniranno in assemblea per decidere come proseguire le proteste.
Chi dice cosa
Il rettore dell’Università di Bologna Francesco Ubertini ha spiegato che ha deciso di installare i tornelli perché «la situazione al 36 è difficile, il personale è spaventato, ci sono grosse difficoltà a tenere aperto, c’è chi ha paura e gli studenti non si sentono di frequentare la biblioteca in queste condizioni». Sui social network ci sono diverse testimonianze a sostegno di questa tesi. Quella che è circolata di più è stata scritta su Facebook da Emilia Garuti, studentessa di Lettere e responsabile legalità e sicurezza per il PD dell’Emilia Romagna. Per sei mesi, fino al maggio scorso, Garuti ha lavorato come volontaria alla biblioteca di via Zamboni 36, e ora la frequenta in quanto iscritta alla laurea magistrale in arte visiva della facoltà di Lettere. Garuti ha spiegato che «non è voi studenti che i tornelli vogliono lasciare fuori, ma tutti quelli che usano la biblioteca come porcile per drogarsi e fare i propri comodi». Parla di siringhe nei bagni, di vetrine rotte e di una ragazza molestata.
Garuti – che ha ricevuto delle «intimidazioni» online per quanto ha raccontato – fa riferimento a un episodio dell’aprile del 2016, quando nella biblioteca un ragazzo si era masturbato vicino a una studentessa di 19 anni e le aveva eiaculato sulle gambe. Il CUA ha risposto che già al tempo aveva preso posizione contro quanto accaduto e ha ricordato «che quel gesto infame fu compiuto da uno studente, quindi munito di badge, a dimostrazione che non saranno i tornelli a prevenire questi comportamenti, cosa che invece può venire dalla partecipazione di quanti attraversano quei luoghi. Usare questa storia, e chi l’ha subita, per attaccare gli studenti e le studentesse è da sciacalli».
I motivi per cui il CUA si sta opponendo a questo nuovo sistema di controllo sono molti: uno di questi è il metodo che non ha tenuto conto «del contesto e dei bisogni sentiti dagli studenti che attraversano maggiormente quel posto. Non si tiene presente la natura di questa biblioteca, che negli anni si è rivelata un luogo pulsante della zona universitaria, attraversata da pratiche di autogestione e un luogo la cui identità è andata costruendosi lotta dopo lotta e che ora è un punto di riferimento di socialità e cultura». E ancora: «Dopo le due settimane di chiusura per ultimare i lavori (in pieno periodo d’esami) lo scenario con cui ci si è dovuti misurare è quello di barriere di vetro, dispositivi di controllo elettronico con tanto di telecamere. Un immaginario di blindatura che ricorda molto più una banca che un’aula studio, con tanto di agenti della Digos all’interno». Sostengono dunque che una biblioteca universitaria non possa essere preclusa a chi, anche non essendo uno studente, vuole accedervi. Sulla petizione lanciata su Change.org, il collettivo dice: «Lì può firmare chiunque e a nome di più persone contemporaneamente. Si tratta dell’ennesimo fasullo stratagemma per screditare chi di ragione ne ha da vendere».