In Romania non è finita, per ora
Si è dimesso il ministro della Giustizia, principale responsabile della contestata legge sulla corruzione: ma le proteste di piazza continuano
Giovedì 9 febbraio il ministro della Giustizia romeno Florin Iordache si è dimesso, dopo il decimo giorno di proteste di piazza organizzate contro la legge per ridurre le pene per corruzione, della quale Iordache era il principale responsabile. La legge, che avrebbe potuto favorire alcuni leader politici ed era stata per questo contestata, era stata ritirata domenica, dopo che le proteste erano diventate le più grandi nel paese dai tempi della caduta del comunismo. Questo non ha però fermato i manifestanti, che hanno continuato a riunirsi a Bucarest e in altre città romene per protestare contro il governo, accusato di aver preso provvedimenti troppo deboli per rispondere alle manifestazioni.
Anche dopo le dimissioni di Iordache, giovedì sera, le proteste sono continuate in piazza della Vittoria a Bucarest e anche davanti al palazzo presidenziale, dove vive Klaus Iohannis, oppositore di centrodestra eletto nel 2014 e sostenitore delle manifestazioni. Iordache, che appartiene al Partito Social Democratico, ha difeso la legalità della legge per ridurre le pene per corruzione, che era stata motivata come necessaria per riallineare il paese alla sua costituzione. Il primo ministro Sorin Grindeanu aveva però dato a Iordache la colpa per non aver saputo spiegare ai cittadini romeni il contenuto e i fini della legge. Le dimissioni di Iordache non sono arrivate a sorpresa, ed erano state anticipate da Grindenau mercoledì. Già la scorsa settimana Florin Jianu, ministro per gli Affari e il Commercio, si era dimesso parlando di “motivi etici”. I manifestanti però continuano a chiedere che a dimettersi sia l’intero governo, che però mercoledì è riuscito a ottenere la fiducia in parlamento, dopo un voto chiesto dall’opposizione. Non è facile prevedere se le dimissioni di Iordache siano sufficienti perché le manifestazioni gradualmente finiscano, e se il governo romeno – che si è insediato circa un mese fa, dopo le elezioni dello scorso dicembre – riuscirà a sopravvivere a questa crisi politica. Lo stesso Iohannis ha detto qualche giorno fa che «le dimissioni di un ministro non saranno abbastanza».
Il decreto legge, approvato il 31 gennaio, decriminalizzava alcuni reati di corruzione e rendeva l’abuso di potere punibile con il carcere solo nel caso in cui fosse stato dimostrabile un danno per lo stato superiore a 44.000 euro. Secondo i critici della legge il principale beneficiario sarebbe stato Liviu Dragnea, leader del PSD: Dragnea sta affrontando un processo insieme ad altri politici di sinistra per abuso di potere. Il processo riguarda un presunto danno per lo stato di circa 24mila euro (quindi entro i limiti previsti dalla nuova legge). Da decenni la corruzione è un problema enorme in Romania, che è uno dei paesi più corrotti dell’Unione Europea, di cui fa parte dal 2007. Secondo uno studio del 2016, il 15 per cento dei parlamentari eletti nel 2012 era sotto indagine per corruzione, lo era stato o si era già dimesso in passato per accuse di questo tipo; negli ultimi anni, inoltre, centinaia di funzionari e politici sono stati arrestati per abuso di potere e corruzione. Da qualche tempo si erano visti però i primi sforzi per limitare il fenomeno, guidati soprattutto dal procuratore capo dell’agenzia nazionale anticorruzione Laura Codruta Kovesi. È anche per questo che il provvedimento del governo è stato accolto con tanta opposizione: è stato visto come un modo per colpire quanto di efficace era stato fatto negli ultimi anni.