Dormiamo per dimenticare?
Ci sono nuove conferme sulla capacità del nostro cervello di riorganizzare le sinapsi mentre dormiamo, conservando solo le informazioni rilevanti
C’è una cosa che ci tiene impegnati per quasi un terzo della nostra intera esistenza: dormire. Sappiamo che è fondamentale per recuperare le energie, per mantenere la concentrazione durante la giornata e non finire per addormentarsi sul banco di scuola, in ufficio o peggio ancora al volante. Eppure, dopo decenni di ricerche, studi e analisi, non siamo ancora riusciti a comprendere l’utilità del sonno nella sua interezza, né i meccanismi che lo governano e che si innescano nel nostro cervello quando stiamo dormendo. Una delle teorie più affascinanti per spiegare l’utilità del sonno è quella secondo cui dormiamo per dimenticare parte delle cose che apprendiamo ogni giorno: una sorta di sistema per rimettere in ordine i pensieri e mantenere solo le informazioni rilevanti. Due ricerche pubblicate in questi giorni portano nuovi elementi a sostegno di questa teoria, ancora molto discussa tra chi si occupa dello studio del sonno.
Semplificando molto, i processi di apprendimento avvengono attraverso la creazione di collegamenti (sinapsi) tra i neuroni del cervello. Le sinapsi sono responsabili della trasmissione degli impulsi nervosi tra i neuroni, in reti molto intricate di connessioni che rendono possibile la memorizzazione di un’informazione. Nel cervello di ognuno di noi si creano di continuo nuovi collegamenti, con una tale frequenza e velocità da fare ipotizzare ad alcuni ricercatori che ci sia una fase in cui la confusione viene risolta smantellando parte delle sinapsi, durante il sonno.
Tra i principali studiosi dell’”ipotesi dell’omeostasi sinaptica” ci sono i ricercatori italiani Giulio Tononi e Chiara Cirelli, attualmente impegnati presso la University of Wisconsin-Madison negli Stati Uniti. I loro primi studi sul rapporto tra sonno e sinapsi risalgono a circa 15 anni fa: da allora hanno eseguito studi, test e ricerche che stanno aiutando a comprendere meglio gli effetti del sonno sul cervello. I risultati di alcuni loro studi hanno portato negli anni a conferme, per lo meno indirette, sull’ipotesi dell’omeostasi sinaptica. In un esperimento, per esempio, hanno dimostrato che irrorando i neuroni con particolari principi attivi si può stimolare un’ulteriore produzione di sinapsi rispetto a quella normale. Passato l’effetto del principio attivo, i neuroni riducono autonomamente il numero di sinapsi.
Lo studio da poco pubblicato su Science, e realizzato dalla ricercatrice Luisa de Vivo nel laboratorio di Tononi e Cirelli, spiega come sia stato utilizzato un microscopio elettronico a scansione per osservare direttamente le sinapsi nel cervello di alcuni topi di laboratorio prima e dopo il sonno. Attraverso un’analisi di centinaia di campioni, de Vivo e colleghi hanno notato che le sinapsi nei topi addormentati erano del 18 per cento più piccole rispetto a quelle degli altri, svegli. Questa condizione potrebbe essere un nuovo indizio a conferma dell’ipotesi dell’omeostasi sinaptica.
Il ricercatore Graham H. Diering, della Johns Hopkins University (Stati Uniti), ha seguito un approccio diverso concentrandosi sullo studio di alcune proteine che regolano il funzionamento dei neuroni, utilizzando sempre topi di laboratorio. Diering ha trovato il modo di osservare parte del cervello dei topi per rilevare i cambiamenti durante il ciclo sonno-veglia. In seguito ha iniettato una sostanza per attivare un tipo di proteine sulle sinapsi, scoprendo che il loro numero diminuiva nelle fasi di sonno. La riduzione è compatibile con l’ipotesi della modifica al numero delle sinapsi quando si dorme.
In una seconda fase della loro ricerca, Diering e colleghi hanno notato che durante il sonno ci sono centinaia di tipi diversi di proteine che aumentano o diminuiscono all’interno delle sinapsi. L’analisi si è però concentrata su Homer1A, una vecchia conoscenza dei ricercatori: è una proteina che in alcuni test di laboratorio in vitro, quindi non direttamente su cavie, ha dimostrato di avere la capacità di ridurre il numero delle sinapsi tra neuroni. Per i nuovi test, i ricercatori hanno utilizzato topi modificati geneticamente per renderli incapaci di produrre la proteina Homer1A. Dormivano normalmente, ma senza cambiamenti rilevanti nel numero delle altre proteine sulle sinapsi, come osservato nei precedenti test sui topi non geneticamente modificati. È possibile che i neuroni producano Homer1A e li inviino verso le sinapsi, col compito di ridurle quando arriva il sonno.
Come spiega Carl Zimmer sul New York Times, Diering e colleghi si sono poi chiesti se l’impossibilità di fare ordine tra le sinapsi porti a svantaggi cognitivi evidenti, e quindi misurabili in ambiente di laboratorio. Hanno messo alcuni topi in una stanza dove era stata applicata una piastra di metallo su parte del pavimento: camminandoci sopra si riceveva un lieve shock elettrico. Prima di mettere a dormire le cavie, i ricercatori hanno iniettato nel cervello di alcune un composto chimico noto per inibire la riduzione delle sinapsi da parte dei neuroni. Al loro risveglio, tutti i topi hanno passato buona parte del loro tempo restando fermi nella loro stanza, temendo di fare qualche passo falso e finire di nuovo sulla piastra e prendere la scossa.
I topi sono stati poi inseriti in un altro ambiente, e qui il loro comportamento è cambiato sensibilmente. Quelli che non erano stati sottoposti all’iniezione hanno esplorato la nuova stanza, senza particolari preoccupazioni legate a prendere la scossa. L’altro gruppo di topi ha invece ripetuto il comportamento tenuto nella stanza precedente, temendo di potere prendere di nuovo la scossa, anche se l’ambiente era cambiato. Diering ipotizza che, inibendo la riorganizzazione delle sinapsi, i topi abbiano conservato in modo sbagliato il ricordo dell’evento traumatico dello shock, incapaci di legarlo solo a un ambiente e non agli altri, dove effettivamente il pericolo non c’era.
Le nuove ricerche sono state accolte con grande interesse da chi si occupa dello studio del sonno e dei suoi meccanismi, anche se serviranno altri approfondimenti per confermare con certezza l’ipotesi dell’omeostasi sinaptica. Scoperte di questo tipo potrebbero portare alla creazione di farmaci di nuova generazione per trattare i disturbi del sonno.