“La La Land” ha qualcosa che non torna
Un pianista bianco che spiega a un nero (e a una donna) che il vero jazz è solo quello vecchio: quante cose vi fanno dire "mmmh"?
La La Land è il film più discusso della stagione cinematografica più importante dell’anno, quella che precede la cerimonia degli Oscar: ha ricevuto moltissime recensioni positive, ha punteggi altissimi sui siti di cinema e vincerà probabilmente molti dei 14 premi Oscar a cui è candidato. Ma nel generale entusiasmo, c’è chi ha trovato diversi punti deboli nel film, performance non eccezionali dei protagonisti Ryan Gosling e Emma Stone nelle scene di canto e ballo, e il fatto che secondo alcuni a tratti il film è un po’ noioso. In mezzo al generico dibattito sul film, però, ne è nato uno più specifico e concreto, che riguarda la rappresentazione che dà La La Land del suo tema centrale: il jazz.
Da qui in avanti ci sono spoiler per chi non ha visto il film.
Il protagonista maschile del film, interpretato da Ryan Gosling, si chiama Sebastian ed è un pianista jazz di Los Angeles, molto appassionato e talentuoso ma costretto per sopravvivere a suonare canzoni natalizie nei ristoranti o i sintetizzatori in cover band anni Ottanta. Sebastian conosce Mia, interpretata da Emma Stone, un’aspirante attrice il cui talento, all’inizio del film, è più che dubbio, e le spiega la sua idea di jazz: lui ama quello che chiama il “vero jazz”, che si suonava molti anni fa e che secondo lui “sta morendo”. Il suo sogno è aprire un locale in cui suonare solo il jazz che gli piace, ma per avere un lavoro stabile si unisce a un gruppo di un suo vecchio amico, che suona una specie di pop con sonorità funky e che ha molto successo. Mia, che all’inizio non amava il jazz, a un certo punto critica questa sua scelta, cosa che in parte determina la loro separazione. Alla fine del film Sebastian, dopo essersi lasciato con Mia – che diventa un’attrice famosa – riesce ad aprire il locale dei suoi sogni.
Il jazz non è quella cosa lì, e non lo è mai stato
Dal film si capisce che l’idea che Sebastian ha del “vero jazz” corrisponde all’incirca al neo-bop, un genere musicale che si basa sull’imitazione e sulla riproduzione del jazz suonato prima della metà degli anni Sessanta: cioè prima che altri due generi, il free jazz e la fusion, cambiassero radicalmente il jazz, che pure era stato un genere in continua evoluzione fin dalla sua nascita. In quel periodo vennero introdotti gli strumenti elettrici e sonorità più libere e creative, anche a discapito della musicalità: il jazz diventò un genere meno orecchiabile e più sperimentale. Dall’avversione di Sebastian per le tastiere, e dalla musica che suona ogni volta che è seduto a un pianoforte, si capisce che la sua idea di jazz corrisponde a quello che c’era prima questa rivoluzione: alla musica cioè delle big band di swing, ma anche del be-bop, il genere suonato negli anni Quaranta e il cui esponente principale fu Charlie Parker.
Qui c’è il primo problema che ha attirato molte critiche nei confronti di Damien Chazelle, il regista del film: il jazz, fin dalla sua nascita, è sempre stato un genere che ha cercato di innovarsi, e non ha mai guardato al proprio passato per capire quale direzione prendere. Se negli anni Venti e Trenta le trasformazioni nel jazz sono state più limitate, a partire dagli anni Quaranta tutti i principali jazzisti si sono dedicati non tanto a produrre musica orecchiabile e fruibile, quanto a spostare in avanti il genere. Questo dipende in larga parte dall’importanza che assunse con il be-bop l’improvvisazione dal vivo, il momento in cui i jazzisti erano obbligati a sperimentare cose nuove per poter fare concerti diversi ogni sera. Per questo l’atteggiamento retrogrado di Sebastian nel film ha poco a che fare con il jazz: in più occasioni dice con certezza cosa dovrebbe essere e cosa non dovrebbe essere il jazz, anche se questo limite non è praticamente mai esistito. O meglio: chi ha provato a fissarlo, storicamente, è sempre stato smentito dai fatti. La sua diffidenza verso le tastiere elettriche ricorda quella che ebbe il pianista Keith Jarrett quando Miles Davis lo costrinse a suonare il pianoforte elettrico Fender Rhodes nel suo gruppo: solo che in quel caso era il 1968. Insomma: il personaggio di Sebastian, presentato genericamente come un grande appassionato di jazz, è più precisamente un ultraconservatore dalle posizioni minoritarie e sconfitte, nella storia del jazz.
Nel film c’è un personaggio che sembra un po’ bilanciare la posizione nostalgica di Sebastian, ed è Keith, il cantante interpretato da John Legend. Keith propone a Sebastian di unirsi al suo gruppo, e dopo le sue resistenze verso un genere così moderno e pop gli fa notare che i suoi idoli, come Thelonious Monk, erano rivoluzionari, e gli chiede come pensa di cambiare il jazz se lui è così tradizionalista. È una posizione ragionevole e che anticipa molte delle critiche fatte poi al film, ma non viene sviluppata più di tanto: Sebastian non dà una risposta e alla fine fa di testa sua. Keith è il leader di una band che nel film rappresenta il jazz contemporaneo, quello innovativo e odiato da Sebastian, e il suo ruolo nel film serve soprattutto a rafforzare l’idea di jazz di quest’ultimo. In realtà la band di Keith di jazz ha ben poco: suona un genere più vicino al pop e al funk, si esibisce in palazzetti giganteschi (cosa che non succede ai gruppi jazz) e ospita sul palco coreografie con ballerini (cosa che succede ancora meno ai gruppi jazz, se non altro perché non possono permetterseli).
Come ha notato su Vulture il critico musicale Seve Chambers, La La Land sbaglia completamente mira quando propone la soluzione per salvare il jazz. Il neo bop non ha prodotto nessun contributo significativo alla storia del genere, che ha avuto i suoi momenti di crisi proprio in quei periodi in cui non ha saputo trovare modi di innovarsi efficaci come lo erano stati il free jazz o la fusion. Paradossalmente uno dei miti di Sebastian, Miles Davis, fu accusato per tutta la carriera di voler distruggere il jazz con il suo approccio rivoluzionario. Quando per il disco Bitches Brew del 1969 usò una band elettrica e contaminò il jazz con il rock, molti pensarono che fosse un’eresia: oggi quel disco è considerato uno dei più importanti di sempre, ed è tra i più venduti della storia del jazz.
Fortunatamente, il jazz contemporaneo non assomiglia minimamente a quello che ha in testa Ryan Gosling in La La Land: è diviso in molti diversi sottogeneri, alcuni più tradizionali e altri più sperimentali, alcuni con una preferenza per gli strumenti acustici e altri esclusivamente elettrici, ma praticamente nessuno che abbia come modello di riferimento il jazz degli anni Quaranta e Cinquanta e basta. C’è chi è arrivato a essere tra i più apprezzati del mondo proponendo un jazz piuttosto classico, come il trombettista Wynton Marsalis, e rivendicando il legame con le origini del genere. Questa rigidità però gli ha attirato diverse critiche, e Marsalis è da anni al centro di un acceso dibattito: in molti gli riconoscono di aver riportato al grande pubblico un repertorio che era stato un po’ dimenticato, ma nessuno crede che la sua musica sia il jazz del futuro. Perfino Marsalis, in ogni caso, ha fatto un disco con il chitarrista Eric Clapton: perché la contaminazione del jazz con gli altri generi non è più messa in discussione da nessuno. Brad Mehldau, tra i jazzisti più famosi e di successo degli ultimi vent’anni, si è fatto conoscere fuori dalla nicchia del jazz proponendo tra le altre cose reinterpretazioni molto ricercate di famose canzoni rock, per esempio dei Radiohead.
In una delle sue espressioni più fortunate, il jazz contemporaneo ha trovato una nuova ragione e una nuova linfa dalla contaminazione con l’hip hop, che è allo stesso tempo sia il genere di maggior successo commerciale del momento sia quello che assomiglia di più al jazz, per la sua storia e le sue origini (entrambi sono nati nella comunità afroamericana e con obiettivi emancipatori). To Pimp a Butterfly, il disco del rapper americano Kendrick Lamar considerato uno dei più importanti degli ultimi anni, è un disco hip hop con moltissime influenze jazz. Tra i collaboratori che hanno lavorato al disco ci sono alcuni dei musicisti jazz che stanno facendo di più per rinnovare il genere, come il pianista Robert Glasper, il sassofonista Kamasi Washington o il bassista Thundercat.
La comparsa del jazz nell’hip hop, fenomeno che solo negli ultimi anni ha raggiunto una vera maturità e consapevolezza, non è una cosa nuova: già negli anni Ottanta e Novanta band come gli A Tribe Called Quest, i Setsasonic e i Jungle Brothers avevano iniziato a campionare pezzi jazz nelle loro canzoni, in un periodo in cui i puristi del jazz non reputavano il rap un genere musicale vero. Uno dei dischi più belli del 2016, We Got It From Here… Thank You 4 Your Service proprio degli A Tribe Called Quest, è un altro esempio di come l’hip hop stia dando al jazz la possibilità di esprimersi in nuovi contesti musicali, consentendo la sperimentazione e la ricerca che da sempre sono stati una parte fondamentale del genere. Kendrick Lamar e gli A Tribe Called Quest sono solo alcuni esempi di artisti che propongono una versione di jazz che arriva a un grande pubblico: fino agli anni Sessanta il jazz è stato un genere molto popolare, ascoltato – almeno negli Stati Uniti – da persone di tutte le estrazioni sociali, suonato nei club per ricchi bianchi e nei locali di Harlem frequentati solo da afroamericani. «Come salverai il jazz se nessuno lo ascolta?», chiede a un certo punto Keith a Sebastian, che dice di fregarsene di cosa pensa la gente della sua idea di jazz.
Entrambi i film diretti da Chazelle prima di La La Land riguardavano il jazz. Whiplash, uscito nel 2014, parlava di uno studente di batteria di una prestigiosa scuola di musica e del cattivissimo direttore d’orchestra che provava a trasformarlo in un grande jazzista. Guy and Madeline on a Park Bench del 2009 invece raccontava di un trombettista e della sua relazione con una ragazza poco interessata al jazz. In nessuno dei due film precedenti, però, la visione del genere presentata era chiusa e limitata come in La La Land. Chazelle ha spesso raccontato che la passione per il jazz gli è stata trasmessa dal padre, e che lui stesso ha suonato a lungo la batteria. In un’intervista a Vulture, Chazelle ha risposto ad alcune delle critiche ricevute dal film: ha detto che la nostalgia del film si deve un po’ alla sua storia personale, e un po’ al fatto che voleva ricreare lo stretto legame del jazz classico con i musical di Hollywood. Chazelle ha spiegato che «la relazione testarda con il jazz e con il passato di Sebastian rispecchia la relazione del film con il passato. In un certo senso è la mia stessa relazione con il passato e con il jazz. Per quanto voglia aggiornare le cose ed essere contemporaneo, non posso fare finta di non avere un grande rispetto per la storia di quella musica».
Chazelle ha anche ammesso che l’idea di jazz e di arte del personaggio di John Legend «è difficile da contraddire», e che «quando una forma d’arte diventa incastonata nell’ambra, smette di essere una forma d’arte». Ciononostante ha detto di aver cercato di bilanciare nostalgia e modernità, e di avere ben chiara «la tentazione di romanticizzare il jazz: so che è una forma d’arte che ha attraversato dubbi sulla sua rilevanza più di altre». Chazelle ha spiegato sostanzialmente di avere provato a svecchiare il tema del film puntando sul passato: «Quando dici alle persone che farai un musical dove le persone cantano e ballano e si innamorano, c’è la sensazione che fondamentalmente vai verso il passato. Allora, invece di negarlo, volevo provare davvero a sottolineare gli elementi del passato (…). Capisco che le persone possano criticare il film perché sia troppo nostalgico, ma credo che sia davvero ok scrivere una lettera d’amore agli aspetti di una forma d’arte che ami anche se hanno 50 anni. È ok tornare indietro a queste tradizioni. (…) Vuoi espandere una tradizione, non solo ripeterla. Questo è l’obiettivo».
Un bianco che salva il jazz?
Il jazz è un genere nato tra gli afroamericani, suonato a lungo solo tra gli afroamericani, e fatto progredire quasi esclusivamente dagli afroamericani: tra i più grandi jazzisti di sempre, i bianchi sono una minoranza molto ristretta. Quei pochi bianchi che sono ormai riconosciuti come alcuni tra i più importanti musicisti jazz di sempre, per esempio il pianista Dave Brubeck, sono stati accusati da musicisti neri – in questo caso da Miles Davis – di aver rubato loro le idee. Più o meno dagli anni Settanta i musicisti bianchi hanno avuto sempre più importanza nel jazz, che tuttavia ancora oggi viene considerato un genere soprattutto nero come il blues o l’hip hop. Per questo molti addetti ai lavori hanno sostenuto che l’idea di un pianista bianco che vuole salvare il jazz riportandolo alla sua vecchia autenticità non sia realistica né rispettosa verso la storia del genere. Inoltre il personaggio di Gosling – convinto di essere l’unico a sapere cosa sia il “vero jazz” – a un certo punto spiega cosa dovrebbe suonare a un musicista nero, Keith.
Il critico Ira Madison III ha paragonato il ruolo di Gosling in La La Land a quello di Matt Damon in The Great Wall, o a quello di Tom Cruise in L’ultimo samurai: l’occidentale bianco che salva una minoranza altrimenti impotente con cui non c’entra apparentemente niente. Entrambi i film, non a caso, sono stati accusati di whitewashing, la pratica di far fare ad attori bianchi ruoli di personaggi non bianchi. Anche in Whiplash i protagonisti erano tutti bianchi, mentre in Guy and Madeline on a Park Bench il trombettista era nero: quello però era un film a piccolo budget, mentre La La Land è una delle uscite cinematografiche più importanti dell’anno.
Nella scena finale (SPOILER) Sebastian sale sul palco del suo locale, dove sta suonando un pianista nero: con paternalismo gli dice che è molto bravo, quasi più bravo di lui, ma se lo fosse davvero il locale sarebbe suo. In certi momenti del film, poi, Keith è quasi ridicolizzato per il genere che suona, e l’idea che passa è che lui (nero) abbia tradito la vera identità del jazz, mentre Sebastian (bianco) è l’unico che può salvarlo. Madison ha anche notato che la scena iniziale di La La Land, quella sull’autostrada, sembra girata con una particolare attenzione per la rappresentazione delle diverse minoranze che vivono in America – il film inoltre è ambientato a Los Angeles, tra le città più multietniche degli Stati Uniti – ma è l’unico momento del film in cui apparentemente questo tema è stato considerato: «Quelle persone di colore che si sono scatenate nella sequenza iniziale, forse per ricordare a chi vota agli Oscar il musical Hamilton, che amano così tanto, sono presto tolte di mezzo, così il sing along caucasico può cominciare».
Un uomo che spiega a una donna il jazz?
In una scena di La La Land, Mia ammette a Sebastian che non ama il jazz. Lui allora la porta subito in un locale di jazz ad ascoltare un concerto, durante il quale gli spiega appassionatamente che cos’è, quali sono le sue cose più belle, e quali problemi ha. La scena secondo alcuni è un esempio di mansplaining, cioè una di quelle situazioni in cui un uomo spiega con toni paternalistici qualcosa a una donna, e perpetua un vecchio e diffuso stereotipo sessista della musica: quello secondo il quale le donne non capiscono il jazz. Come ha sintetizzato Anna Silman su The Cut, parlando di quella scena: «Ricordati di dire a un maschio nerd della musica che non ami la sua musica preferita solo se hai almeno quattro ore libere sulla tua agenda per farti spiegare esattamente perché hai torto».
Di per sé non è disdicevole che a una persona molto appassionata di qualcosa voglia raccontare e condividere la sua passione con le persone che ha più care, ma quello delle donne che non capiscono il jazz è uno stereotipo molto antico e radicato, nonostante alcuni dei più grandi interpreti di jazz di sempre, da Ella Fitzgerald a Etta James, siano state donne. Per decenni le musiciste donne nel jazz hanno avuto molta meno visibilità degli uomini, nonostante non siano mancate le grandi jazziste, come le pianiste Lovie Austin, Mary Lou Williams, Carla Bley, Alice Coltrane e Geri Allen, o la batterista Terri Lyne Carrington. Oggi una delle persone più importanti nel mondo del jazz, apprezzata dai critici e di grande successo commerciale, è la bassista e cantante Esperanza Spalding.
A guardare bene, tutti i film di Chazelle hanno un problema simile: sia in Whiplash sia in Guy and Madeline on a Park Bench il protagonista uomo deve fare i conti con una donna che non capisce la sua musica, o che non comprende fino in fondo la sua passione. Come scrive Silman, sembra che Chazelle «non voglia solo farci piacere il jazz, ma anche che voglia farci piacere uomini innamorati del loro amore per il jazz». In La La Land, poi, il ruolo di Sebastian come “uomo che spiega le cose alle donne” va oltre il jazz: è lui a portare Mia al cinema a vedere Gioventù bruciata, nonostante lei sia un’attrice e quindi dovrebbe conoscere il cinema meglio di lui. È sempre Sebastian a procurare a Mia l’audizione che le svolterà la carriera, o che la convince a fare un ultimo tentativo con la recitazione. Anche il finale del film conferma questa sensazione, ha notato Morgan Leigh Davis sulla Los Angeles Review of Books: Mia diventa un’attrice di successo ma viene mostrato poco del suo lavoro, e anzi la sua realizzazione personale è mostrata attraverso sua figlia, la sua casa lussuosa, le locandine per le strade, suo marito. Sebastian, invece, si realizza con le sue passioni, aprendo il suo locale dove si suona “il vero jazz” che lui conosce bene.