La bufala di Libero sulle “museruole islamiche”
Scrive in prima pagina di una nuova "trovata degli estremisti musulmani", ma è una storia completamente inventata
Oggi il quotidiano Libero ha pubblicato in prima pagina il richiamo a un articolo intitolato “L’evoluzione dell’Islam, dal burqa alla museruola”. L’articolo parla di un nuovo strumento che si starebbe diffondendo in alcuni paesi musulmani sunniti, e che servirebbe a impedire alle donne di parlare: una sorta di “museruola”, come la chiama il quotidiano. È una storia completamente inventata: quella fotografata non è una museruola, non è una nuova moda e non è usata in un paese sunnita, ma è un’antica tradizione tipica di una piccola popolazione che abita nel sud dell’Iran, un paese sciita, e ha tutt’altri origine e senso.
Il box in prima pagina rimanda a un articolo a pagina 4 scritto da Souad Sbai, ex parlamentare del Popolo della Libertà oggi iscritta alla Lega, dal titolo “L’Islam si evolve: dal burqa alla museruola”. Il sommario dice: “L’ultima trovata degli estremisti musulmani è un attrezzo in ottone per azzittire e umiliare le proprie donne, il tutto nel completo silenzio della stampa occidentale che preferisce continuare a straparlare di tolleranza”. Accanto ci sono altre fotografie con la descrizione:
Nelle immagini in alto due esempi su come togliere alle donne anche la voce e zittirle per sempre. Dopo il burqa, infatti, è arrivato il momento di mettere la museruola. Una “moda” che sta prendendo piede nei paesi dove dominano i fondamentalisti salafiti.
I salafiti sono una corrente dell’Islam sunnita particolarmente conservatrice e ortodossa. Sbai aveva già raccontato la stessa storia in un post su Facebook pochi giorni fa, in cui riprendeva una fotografia scattata da un’opinionista francese di solito molto critico con l’Islam.
Le fotografie usate da Libero, invece, sono state prese da un servizio del fotoreporter Eric Lafforgue in cui viene raccontata la tradizione del “boregheh”, una maschera utilizzata dai Bandari, una popolazione che vive nel sud dell’Iran. Le fotografie sono state scattate in alcuni villaggi rurali dell’isola di Qeshm, che si trova nello stretto di Hormuz. Il servizio è stato acquistato anche dal sito del Daily Mail, che a febbraio dell’anno scorso ha pubblicato il servizio riportando correttamente tutta la storia. I Bandari sono una piccola popolazione che parla un dialetto iraniano e ha tradizioni molto diverse dal resto del paese. Per esempio le donne utilizzano abiti molto colorati al posto del chador nero, e sul volto, al posto di un velo, indossano maschere di stoffa o di ottone, spesso molto decorate.
Le maschere non impediscono di parlare e sono utilizzate dagli abitanti dei villaggi sciiti, ma anche dai sunniti. In genere sono indossate solo dalle donne più anziane e, come tradizione, stanno oramai scomparendo. Versioni simili, con nomi diversi, sono utilizzate anche dall’altro lato del Golfo Persico, in Oman. In un altro servizio fotografico realizzato sui Bandari e pubblicato pochi giorni fa sul sito di BBC, il fotogiornalista Rodolfo Contreras, spiega che la tradizione dei “boregheh” è vecchia di secoli: «Nessuno ne conosce l’origine anche se alcuni sostengono che iniziò durante la dominazione portoghese, quando le donne cercavano di nascondersi agli schiavisti che andavano a caccia di donne di bell’aspetto». La maschera doveva servire a simulare la presenza dei baffi.