Gli adolescenti impegnati fumano e bevono meno
Lo ha dimostrato l'Islanda con un programma di lungo periodo che ha avuto successo (anche grazie alla scarsa densità di popolazione del paese, però)
Vent’anni fa, in Islanda, quasi la metà dei ragazzi tra i 15 e 16 anni si ubriacava almeno una volta al mese; anche i dati relativi al fumo e all’assunzione di droghe erano preoccupanti, per quella fascia d’età. Oggi le cose sono cambiate, grazie a politiche che sono state capaci di controllare il fenomeno dando agli adolescenti delle alternative a queste forme di dipendenza. Il risultato si deve in buona parte ad Harvey Milkman, uno psicologo statunitense che negli anni Settanta studiò in modo approfondito il fenomeno della dipendenza andando a scoprire una parte importante del meccanismo cerebrale che la stessa dipendenza causa. Oltre a questo, si è intervenuti sensibilizzando i genitori sull’importanza di passare molto tempo con i figli. La combinazione di questi provvedimenti – dato anche il basso numero di abitanti del paese (323 mila, poco più degli abitanti di Catania) – ha fatto sì che l’Islanda sia oggi il primo paese europeo per la salute dei suoi adolescenti.
Il metodo adottato è semplice: offrire ai ragazzi un gran numero di attività extra scolastiche e fare in modo che i genitori passino più tempo con i loro figli, così da renderli molto impegnati e sempre sottoposti al controllo degli adulti. A queste regole – che possono sembrare di buon senso – si è invece arrivati attraverso uno studio sulla dipendenza condotto negli anni Settanta dal Metropolitan State College di Denver dove tra gli altri lavorava anche Harvey Milkman. Una delle scoperte dello studio fu capire che le dipendenze si sviluppano a causa dei cambiamenti chimici che le sostanze assunte generano all’interno del nostro cervello. La dipendenza era quindi legata a questo stato di “alterazione” che, si è scoperto, non è determinata esclusivamente dalle droghe o dall’alcol in sé, ma che si verifica anche praticando attività sportiva, suonando uno strumento, dipingendo, e così via.
L’idea, sperimentata in un primo momento a Denver nel 1992, fu fornire ai ragazzi delle attività che generassero una sensazione di ebbrezza, ma che fossero alternative all’assunzione di alcol e droghe o al fatto di commettere dei crimini. Il governo finanziò il progetto con 1,2 milioni di dollari, fondi che servirono a organizzare un gran numero di attività che potessero coinvolgere gli adolescenti. Negli stessi anni Milkman fu invitato più volte in Islanda a parlare del suo lavoro, diventando consulente del primo centro di cura per adolescenti tossicodipendenti del paese. Il suo modello convinse il governo e si cominciarono a condurre delle ricerche nella capitale Reykjavik per capire se e come applicarlo ai ragazzi islandesi.
Il quadro emerso dalle indagini fu abbastanza allarmante: il 25 per cento dei ragazzi fumava ogni giorno, il 40 per cento si era ubriacato almeno una volta nell’ultimo mese. Osservando con attenzione i dati si riuscì inoltre a individuare in che tipo di scuole ci fossero i problemi maggiori, rivelando chiare differenze tra il tipo di vita degli adolescenti che si drogavano rispetto a quello dei loro coetanei che invece praticavano uno sport tre o quattro volte alla settimana, che passavano del tempo con i genitori non soltanto nel weekend, che si preoccupavano di andare bene a scuola e non rimanevano fuori fino a tardi quando uscivano la sera. Il programma venne dunque avviato – si chiamava Youth in Iceland – ed estese a tutti i ragazzi la possibilità di essere impegnati in attività alternative. Anche i genitori vennero sensibilizzati sull’importanza di passare molto tempo con i figli, mettendo un po’ da parte la teoria secondo cui non è importante la quantità di ore, quanto il fatto che si tratti di un “tempo di qualità”. Allo stesso tempo vennero fatte delle modifiche legislative: si iniziò a vietare l’acquisto di tabacco sotto i 18 anni e di alcol sotto i 20 e vennero vietate le pubblicità di entrambi i prodotti. Fu introdotta inoltre una legge, tuttora vigente, che vieta ai ragazzi tra i 13 e i 16 anni di stare fuori da soli oltre le 22 durante l’inverno e dopo la mezzanotte in estate.
In Islanda il programma ha funzionato: tra il 1997 e il 2012 la percentuale di ragazzi tra i 15 e i 16 anni che trascorre il proprio tempo libero con i genitori è passata dal 23 al 46 per cento e quella di chi pratica regolarmente sport è cresciuta dal 24 al 42 per cento. Allo stesso tempo sono crollati i numeri relativi al consumo di alcol, cannabis e tabacco: i dati relativi al periodo 1998-2016 hanno mostrato un calo dal 42 al 5 per cento nel consumo di alcol, dal 17 al 7 per cento nel consumo della cannabis e dal 23 al 3 per cento nel consumo abituale di sigarette. Per fare un confronto con l’Italia: nel 2013, secondo i dati Istat, la percentuale di ragazzi tra gli 11 e i 17 anni che hanno consumato bevande alcoliche al di fuori dei pasti era intorno al 9,1 per cento, mentre il 33,2 per cento ha dichiarato di essersi ubriacato almeno una volta nel mese precedente al sondaggio. Questo mese è stata depositata la Relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze: si dice che, nel 2015, il 34 per cento degli studenti tra i 15 e i 19 anni ha utilizzato almeno una sostanza psicoattiva illegale nel corso della propria vita e circa il 27 per cento nel corso dell’ultimo anno.
Il successo del progetto islandese ha generato molto entusiasmo e interesse a riprodurlo in altri paesi. Ha detto Milkman: «Sembrava avessimo trovato il miglior programma del mondo; sono stato invitato due volte alla Casa Bianca per parlarne, abbiamo vinto premi nazionali e pensavo davvero che il metodo potesse essere replicato in altri paesi e città. Ma non era così». Secondo Milkman, uno dei fattori discriminanti rispetto alla riuscita o meno del programma dipende dalle risorse presenti in un luogo o dal fatto che esse siano predisposte nel momento in cui si decide di adottare politiche di questo tipo. Questo ha avvantaggiato l’Islanda, anche per via del basso numero di abitanti del paese. Un altro fattore importante legato al caso islandese è dovuto alla longevità dei progetti sociali nazionali, che sono programmati sul lungo periodo a differenza di quanto avviene nella maggior parte degli altri paesi.