I primi giorni di Trump sono molto Trump
Il nuovo presidente degli Stati Uniti ha preso le prime decisioni – per esempio ritirandosi da un grande accordo commerciale – ma con i soliti inciampi
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato tre ordini esecutivi, provvedimenti di efficacia immediata (quindi che non devono passare dal Congresso), su alcuni temi su cui aveva puntato molto in campagna elettorale. Trump ha firmato un ordine esecutivo per ritirare formalmente gli Stati Uniti dal Trans-Pacific Partnership (TPP), un grande trattato commerciale internazionale fra 12 dei paesi affacciati sul Pacifico, uno per interrompere le assunzioni nel governo federale – un tema molto caro ai Repubblicani, che vogliono un governo federale più piccolo e debole e governi statali più influenti – e uno per tagliare i fondi federali alle associazioni non governative che promuovono o praticano le interruzioni di gravidanza fuori dagli Stati Uniti (altro tema molto caro alla base Repubblicana, soprattutto quella religiosa). Gli ordini esecutivi di oggi sono solo una della serie di iniziative prese da Trump in questi primi giorni da presidente.
La prima settimana di lavoro del nuovo presidente degli Stati Uniti è spesso piena e quasi caotica, ma dalle limitate conseguenze pratiche. Dato che le riforme più complesse e i più importanti accordi internazionali hanno bisogno di mesi o anni per essere studiati e approvati, i primi atti da presidente sono molto spesso programmatici o puramente simbolici: servono a dare un’idea delle intenzioni della nuova amministrazione (oltre che per continuare a far parlare di sé sui giornali). Al di là della preventivata decisione sul TPP, Trump sta seguendo questa strada: i temi su cui si sta concentrando – importanti per capire in che direzione si muoverà l’amministrazione, almeno all’inizio – sembrano essere soprattutto la riforma sanitaria, il lavoro e la politica estera. I primi giorni della sua amministrazione sono stati però appesantiti da diverse polemiche che ne hanno un po’ rallentato i programmi (più o meno come in campagna elettorale).
Gli ordini esecutivi
Nel gennaio del 2001, nei suoi primi giorni di governo, George W. Bush istituì un comitato speciale per coordinare e promuovere le associazioni religiose (quindi cristiane, quindi perlopiù legate ai Repubblicani). Nel 2009, due giorni dopo essersi insediato, Barack Obama annunciò la chiusura della controversa prigione di Guantanamo nel giro di un anno. I provvedimenti di Bush e Obama erano contenuti in altrettanti ordini esecutivi, uno strumento molto utilizzato dai presidenti nei loro primi giorni. Anche Donald Trump, che da tre giorni è il nuovo presidente americano, ne ha fatto e ne farà uso: venerdì 20 ha firmato un ordine esecutivo in cui annuncia il futuro smantellamento della riforma sanitaria dell’amministrazione Obama e ha in programma di approvarne diversi altri.
Oltre all’ordine esecutivo su Obamacare – che in realtà ha avuto un valore sostanzialmente simbolico, dato che per smantellarla sarà necessario un percorso legislativo già iniziato dai Repubblicani – Trump ne ha firmati tre solamente oggi. Due di questi sono legati a temi molto cari ai Repubblicani conservatori – quelli sugli impiegati federali e i fondi alle ONG che si occupano di aborto – mentre il terzo, quello sul TPP, era dato per scontato da settimane, dopo che Trump aveva promesso di abolirlo più volte durante la campagna elettorale (l’accordo era di fatto morto, dato che Obama l’aveva negoziato ma il Congresso a maggioranza Repubblicana si era già rifiutato di ratificarlo). Secondo il Financial Times, inoltre, Trump dovrebbe annunciare anche i piani per rinegoziare l’accordo commerciale North American Free Trade Agreement (NAFTA) con Canada e Messico, entrato in vigore nel 1994 e molto criticato da Trump in campagna elettorale; non è chiaro se lo farà nella forma di un ordine esecutivo.
Il resto
Reince Priebus, il capo dello staff della Casa Bianca, ha detto che Trump avrà «una settimana piena», e in effetti oltre agli ordini esecutivi farà anche cose più concrete: lunedì mattina ha incontrato diversi imprenditori per parlare di lavoro, mercoledì incontrerà i leader dei Repubblicani sia della Camera sia del Senato, mentre venerdì incontrerà a Washington il primo ministro britannico Theresa May, che sarà il primo leader straniero ad essere ufficialmente ricevuto dalla nuova amministrazione. May ha detto che lei e Trump parleranno di NATO, Siria e commercio internazionale. Martedì 31 gennaio, inoltre, Trump incontrerà alla Casa Bianca il presidente messicano Enrique Peña Nieto, che aveva già incontrato in campagna elettorale durante una sua bizzarra visita in Messico.
Busy week planned with a heavy focus on jobs and national security. Top executives coming in at 9:00 A.M. to talk manufacturing in America.
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 23, 2017
Molti degli incontri e dei provvedimenti di Trump, almeno in questa settimana, hanno a che fare con il lavoro e il commercio. Nel discorso di insediamento, così come in molte altre occasioni durante la campagna elettorale, Trump ha annunciato una nuova politica di protezionismo per i lavoratori e le aziende americane: il ritiro dal TPP e la sospensione delle assunzioni per il governo federale, i nuovi negoziati sul NAFTA e gli incontri con gli imprenditori sembrano andare in questa direzione.
Ma nei primi giorni di Trump c’è stata e ci sarà anche parecchia politica estera: ed è stata significativa la scelta di invitare May, il primo ministro del paese che sta per compiere probabilmente la scelta più protezionista disponibile lasciando l’Unione Europea, così come la scelta di avere una lunga conversazione telefonica col primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, avvenuta domenica. Alcuni consiglieri di Trump, fra cui l’ambasciatore americano in Israele scelto dalla sua amministrazione, hanno legami con la destra radicale israeliana. In seguito alla telefonata il capo dell’ufficio stampa alla Casa Bianca Sean Spicer ha fatto sapere che l’amministrazione ha iniziato a considerare l’idea di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme: una decisione molto controversa a causa della delicatezza del tema, e giudicata sostanzialmente una sciocchezza dal punto di vista strategico da diversi esperti. Dopo aver sentito Trump, Netanyahu ha detto di essere stato invitato alla Casa Bianca a febbraio.
I had a very warm conversation on the phone tonight with President Donald Trump. He invited me to meet him in February. pic.twitter.com/wEbVZPmTIa
— Benjamin Netanyahu – בנימין נתניהו (@netanyahu) January 22, 2017
Gli inciampi
La settimana non è iniziata proprio bene. Diversi membri del governo scelti da Trump non se la sono cavata benissimo nelle audizioni per la loro conferma al Senato: la più criticata è stata Betsy DeVos, nominata da Trump per il dipartimento dell’Istruzione, che ha dimostrato di non sapere padroneggiare bene il lessico dei problemi della scuola e dell’istruzione in generale. Altre audizioni si sono tenute in ritardo perché secondo il Wall Street Journal l’amministrazione non ha consegnato in tempo la documentazione necessaria: il segretario al Lavoro scelto da Trump, l’imprenditore Andrew Puzder, sarà sentito dal Senato solamente il 2 febbraio. Questa settimana il Senato dovrebbe confermare le nomine di Ben Carson come segretario alla Casa, di Nikki Haley come ambasciatrice all’ONU e di Rick Perry come segretario all’Energia, ma per esempio per Rex Tillerson – nominato segretario di Stato – ci vorrà ancora un po’.
Lo staff di Trump ci ha messo del suo per aggiungere confusione: sabato Trump, durante la sua prima importante visita alla sede della CIA da presidente, ha criticato i giornali per come si sono occupati della partecipazione alla cerimonia di insediamento, ripetendo bugie diffuse dal suo staff nei giorni precedenti (per esempio che alla cerimonia ci fossero più di un milione di persone). In molti, compreso il direttore uscente della CIA John Brennan, hanno criticato il comportamento di Trump, considerato inutilmente polemico e irrispettoso. Domenica il capo ufficio stampa alla Casa Bianca Sean Spicer ha ripreso le dichiarazioni di Trump affermando – mentendo – che la folla presente a Washington il 20 gennaio «era la più ampia mai presente a un’inaugurazione». Poche ore dopo la consigliera di Trump ed ex capo della sua campagna elettorale, Kellyanne Conway, ha detto che Spicer non ha detto una cosa falsa ma ha solamente «dato dei fatti alternativi». Entrambe le dichiarazioni sono state molto prese in giro sui social network.
Guess the number of jelly beans.
Me: 87
Wife: 134
Sean Spicer: 1.5 million #spicerfacts pic.twitter.com/dq7MmhgG3H— 𝕞𝕒𝕣𝕜 𝕫𝕠𝕙𝕒𝕣 (@markzohar) January 22, 2017
"The rebels didn't blow up the Death Star. Period. " #SeanSpicerSays pic.twitter.com/TKN4ZLmRIk
— The One Who Writes (@KwamWrites) January 22, 2017
“I ribelli non hanno fatto saltare la Morte Nera. Punto” (un riferimento al primo film di Star Wars)
Make Formula 1 great again! My new R.S.16 is ready for the @F1 season! #alternativefacts @RenaultSportF1 🏆💪🏻🔝 pic.twitter.com/Q8RVyaqaHg
— Nico Hülkenberg (@HulkHulkenberg) January 23, 2017