Cosa contesta l’Europa all’Italia?
Perché la Commissione europea dice che l'Italia deve ridurre il deficit e cosa rischia il governo se non lo farà
Martedì è arrivata al governo italiano una lettera in cui la Commissione europea chiede una correzione alla legge di stabilità approvata dal governo Renzi e dal Parlamento lo scorso dicembre. La Commissione chiede all’Italia di ridurre il deficit (cioè quanto il governo spende più di quanto guadagna) di 3,4 miliardi di euro, cioè lo 0,2 per cento del PIL. Il governo ha tempo fino al primo febbraio, dice la lettera, per rispondere alla commissione elencando le misure correttive. Per il momento, scrivono i giornali italiani, la risposta del governo è “interlocutoria”: non è ancora stato deciso se adeguarsi alle richieste o respingerle. Molto probabilmente governo e Commissione continueranno a trattare per arrivare ad un accordo. Il ministero dell’Economia ha detto martedì sera che risponderà con una lettera in cui tornerà a sottolineare le condizioni straordinarie che, a suo avviso, consentono all’Italia di sforare i parametri europei.
Cosa contesta la Commissione?
I trattati europei stabiliscono una complessa serie di regole e di eccezioni su quello che gli stati possono e non possono fare con i loro bilanci. In sostanza uno Stato non può avere un deficit superiore al 3 per cento del PIL, e se ha un debito pubblico superiore al 60 per cento del PIL deve ridurlo di un ventesimo l’anno. In pratica, però, la situazione è molto più complessa e le regole sono molto più flessibili di come appaiono nei trattati. In questo caso all’Italia viene contestato di non aver rispettato le promesse sulla riduzione del deficit fatte nel corso del 2016 e degli anni precedenti. L’Italia è una delle più grandi economie e uno dei paesi più indebitati d’Europa: per questo la situazione dei suoi conti pubblici è tenuta sotto particolare osservazione da parte delle autorità europee.
Il governo italiano si era accordato con la Commissione per raggiungere nel 2017 un deficit strutturale dell’1,2 per cento (il deficit strutturale è un modo particolare di misurare il deficit, in cui tramite alcuni calcoli viene tenuto conto degli effetti della situazione economica generale). Lo scorso inverno il governo Renzi ha aumentato il deficit strutturale previsto per il 2017 portandolo all’1,6 per cento. La ragione, ha sostenuto il governo, sono le spese straordinarie sostenute a causa dei terremoti e dell’arrivo dei migranti. Da quel momento istituzioni europee e governo italiano hanno iniziato a trattare per ridurre questo sforamento. Ieri la Commissione ha inviato la sua risposta ufficiale: per rientrare nei parametri europei l’Italia deve abbassare il suo deficit strutturale dello 0,2 per cento del PIL, cioè di 3,4 miliardi di euro. In sostanza, deve trovare un modo per spendere 3,4 miliardi di euro in meno.
E la flessibilità?
Il governo Renzi ha sempre sostenuto che questo aumento del deficit fosse giustificato dalle spese straordinarie che ha dovuto sostenere il governo per situazioni straordinarie come quelle dei migranti e quelle causate dai terremoti in centro Italia. L’allora presidente del Consiglio ha spesso attaccato quelli che definisce i “burocrati di Bruxelles” per la loro insistenza nel voler imporre all’Italia modifiche dello “zero virgola” nei suoi conti pubblici. Raramente i commissari europei hanno risposto nel merito di queste accuse. I critici del governo Renzi, però, sottolineano spesso come non sembri esserci una corrispondenza precisa tra i maggiori margini di flessibilità chiesti dal governo e le spese sostenute per migranti e terremoto.
L’Italia gode da diversi anni di un atteggiamento abbastanza morbido da parte della Commissione, che in passato ha concesso al governo italiano tutta la flessibilità permessa dai trattati. Il deficit strutturale italiano negli ultimi anni è costantemente aumentato. Era dello 0,7 per cento nel 2015, è salito allo 1,2 nel 2016 e, come abbiamo visto, il governo punta a portarlo all’1,6 per cento nel 2017 (trovate qui tutti i numeri).
Cosa rischia l’Italia?
Nella sua lettera, la Commissione accenna alla possibilità che l’Italia possa andare incontro a una procedura d’infrazione, se il governo non rispetterà la richieste di riduzione del deficit. È una procedura lunga e complessa (l’avevamo spiegata qui) al termine della quale uno Stato membro può essere costretto a pagare una sorta di multa. L’ultima decisione spetta comunque al Consiglio dell’Unione Europea: è quindi una decisione politica, visto che nel Consiglio siedono i governi dei vari paesi membri (e non i membri della Commissione o del Parlamento europeo).
Negli ultimi anni quasi tutti i paesi hanno violato quella regola e sono stati oggetti di una procedura per eccesso di deficit (quella contro l’Italia è stata chiusa nel 2013). Attualmente sono aperte sei procedure per deficit eccessivo. Tra gli altri, il Regno Unito ha una procedura aperta da 9 anni, la Francia da 8. La natura politica della sanzione per deficit eccessivo, la lunghezza della procedura, la flessibilità e le varie “scappatoie” delle regole che riguardano il bilancio (in particolari quelle sulla riduzione del debito) hanno fatto sì che nessuno stato abbia subito sanzioni economiche in seguito a una procedura per deficit eccessivo.