Quelli che si addestrano alla guerra, in Russia
Civili di qualsiasi tipo e con motivazioni molto diverse si iscrivono ai corsi di addestramento militare, per prepararsi a qualsiasi cosa, dicono
di Andrew Roth – The Washington Post
In uno scantinato poco illuminato in una strada poco trafficata di San Pietroburgo, 18 uomini con in mano delle repliche di pistole makarov si esercitavano in modo goffo, portando indietro i carrelli delle armi, mirando a un obiettivo e sparando. Clic, clic, clic, clic, clic. E poi ripetere. Denis Gariev, il loro istruttore, li ha chiamati per interrompere l’esercitazione. Non voleva esternare le sue opinioni politiche, un nazionalismo etnico così crudo che lo posiziona molto più a destra del presidente russo Vladimir Putin. Gariev voleva invece inveire contro il rammollimento della società . «Oggi ai bambini che iniziano l’asilo dicono tutti: “Non comportarti in modo aggressivo, sii più furbo”», ha detto, facendo il verso alla voce di un bambino , «Li trasformiamo in ortaggi senza nessuna aggressività». L’obiettivo di Gariev è ripristinare l’aggressività. «In generale, qui impariamo a uccidere», ha detto ai suoi uomini, che erano arrivati al club militare-patriottico “Riserva” per partecipare a un corso paramilitare di una settimana chiamato “Partigiano”. «Speriamo che non succeda mai, di non dover mai far del male a una creatura vivente. Ma se saremo costretti a farlo, allora dovremo essere pronti».
I “cadetti” che ascoltavano Gariev erano per lo più impiegati e lavoratori autonomi arrivati da diverse città della Russia, uomini motivati non tanto dall’ideologia quanto dalla “mentalità dell’assedio” – la cui diffusione nel paese è aumentata dall’inizio delle guerre in Ucraina e in Siria – e dalla convinzione che oggi i russi debbano essere pronti a combattere. Questi uomini si sono iscritti a un addestramento di almeno 12 ore al giorno, che fa parte di un corso in stile militare di una settimana che promette di aumentare le probabilità di sopravvivenza «nel caso di una guerra o del crollo totale della società moderna».
«Le nubi della tempesta si stanno addensando», ha detto Alexei, un ex lottatore greco-romano di 38 anni che viene dalla città di Samara, sul fiume Volga, e che come molti altri partecipanti al corso non ha voluto dire il suo cognome. Alexei ha detto di essere stato spinto dalla sensazione di instabilità dovuta alla minaccia del terrorismo e alla guerra in Ucraina. «Se mai ci dovesse essere una mobilitazione, sarò pronto. Non sarò il tipo di persona che urla “Urrà” quando riceve un fucile, per poi farsi abbattere dopo aver fatto due o tre passi, ha detto. Gran parte del corso si svolge fuori dal centro di San Pietroburgo, in terreni abbandonati e all’interno di palazzi che vengono usati per giocare a softair, un gioco di guerra simulata in cui le pistole usate sparano pallini di plastica. Per poter maneggiare un’arma da fuoco bisogna essere «al massimo dell’aggressività», ha detto Gariev. Gli uomini imparano a usare kalashnikov e makarov, a legare un laccio emostatico e a fare irruzione in una stanza in formazione tattica. Imparano a calarsi con una corda all’interno di edifici abbandonati e a mantenere in posizione il fucile, pronti a fare fuoco, mentre caricano attraversando un campo paludoso. Durante le brevi pause si mettono in posa per farsi dei selfie in passamontagna, i souvenir della loro settimana lontana dalla routine quotidiana.
La politica viene lasciata di proposito fuori dal corso, ha raccontato Gariev, che però crede che i suoi cadetti saranno degli alleati naturali nell’imminente scontro di civiltà. Per questo si rifiuta di addestrare musulmani. «La vittoria è una questione di spirito. Funziona così da chissà quando, dai tempi di Akhenaton, fino a Putin e Obama. Non è cambiato niente», ha detto agli uomini nello scantinato. Il discorso ha sortito il suo effetto. Gli uomini hanno raddrizzato la schiena. Diciotto paia di mani si sono rimesse al lavoro, ora con uno scopo. Clic, clic, clic, clic, clic.
«Un uomo dovrebbe essere sempre pronto»
Gariev, che ha un laurea in storia e viene da San Pietroburgo, è un ex soldato, membro delle truppe missilistiche strategiche, e addestra i russi al combattimento da molto tempo. Nel 2009, deluso dall’attivismo puramente politico, aveva iniziato a incoraggiare gli uomini russi a comprare legalmente armi da fuoco e ad addestrarli per usarle. Da lì a poco aveva cominciato a tenere corsi rivolti ai civili. All’inizio della guerra in Ucraina, nel 2014, ha iniziato ad addestrare volontari russi per combattere al fianco della Legione Imperiale, il braccio militare del Movimento Imperialista Russo, un gruppo politico di destra unito dall’adorazione dell’Impero russo, dello zar e della Chiesa ortodossa russa. Gariev ha anche combattuto personalmente in Ucraina. Dai suoi corsi per volontari sono passati più di 300 uomini, alcuni dei quali avevano già completato il suo addestramento per civili. Le loro foto tappezzano i muri della palestra del club: gruppi formati da una decina di uomini in mimetica riuniti intorno alla bandiera blu e rossa dei separatisti.
Gariev è critico nei confronti di Putin. Pensa che il governo russo sia corrotto e che non faccia abbastanza per tutelare gli interessi delle persone di etnia russa. In passato questo atteggiamento ha reso il club di Gariev bersaglio dei raid delle forze dell’ordine russe. La guerra in Ucraina, però, ha avvicinato per una volta gli interessi del Cremlino a quelli dei nazionalisti russi. Gariev ha raccontato che quando lui e i suoi alleati hanno distolto l’attenzione dalla politica interna anche i raid della polizia sono diminuiti. «Non riceviamo nessun tipo di sostegno, ma allo stesso tempo siamo ostacolati» dalle autorità, ha detto l’anno scorso a una troupe della BBC Ruslan Starodubov, membro della Legione Imperiale.
Sull’Ucraina Gariev ha delle opinioni decisamente più aggressive ed estreme di quelle espresse dal Cremlino. Ha definito l’Ucraina una «psuedo-nazione inventata dai sovietici», incolpando la televisione russa di aver fomentato una guerra civile intorno a una distinzione etnica che secondo lui non esiste. «Per noi essere ucraini è come avere la rabbia», ha detto, «e quando una persona è malata o la si mette in quarantena o la si liquida, altrimenti infetterà tutti quanti». Gariev ce l’ha anche con l’Occidente. «L’obiettivo dell’Occidente è indebolirci spingendo i russi ad ammazzarsi tra di loro», ha detto, «ci stanno riuscendo». Insieme ad altri membri della Legione Imperiale, nel 2015 Gariev ha smesso di andare in Ucraina a combattere, perché credeva che il conflitto fosse stato cooptato dagli interessi del governo e degli oligarchi di Russia, Ucraina e Occidente. «In passato vedevamo la possibilità di cambiare la storia», ha raccontato, «ma al momento questa possibilità non esiste più».
I corsi “Partigiano” sono ricominciati sul serio. Gariev ha raccontato che dall’inizio della guerra in Ucraina i partecipanti sono triplicati. Corsi di addestramento simili, aperti a normali uomini russi, sono popolari tra i gruppi nazionalisti, ha detto Alexander Verkhovsky, capo del SOVA Center di Mosca, un’organizzazione che monitora gli estremismi. «Delle cose che fanno l’addestramento militare è l’unica a essere davvero attiva», ha detto Verkhovsky, «politicamente sono in declino. Ma le loro energie sono ancora concentrate su queste sessioni di addestramento». La sede del club di Gariev è piena di trofei della guerra in Ucraina e di cianfrusaglie militari. Ci sono decorazioni antiamericane, come uno zerbino con l’immagine di Obama all’ingresso della sala del ping-pong. Ci sono anche adesivi che raffigurano marce dell’opposizione, alcune delle quali hanno un’immagine di Putin e la didascalia «Un ladro dovrebbe starsene in prigione». «La cosa davvero interessante è il perché le autorità siano così tolleranti», ha detto Verkhovsky, «non me lo spiego».
Il club di Gariev non è propriamente un segreto. Durante l’addestramento di novembre un giornalista di un canale televisivo di San Pietroburgo ha seguito il gruppo per realizzare un pezzo in stile gonzo. Nel complesso Gariev ha detto che dal 2011 i suoi corsi sono stati seguiti da oltre 500 studenti. L’esperienza può davvero cambiare la vita: per partecipare al corso un uomo ha perso quasi 30 chili. A grandi linee i “cadetti” si dividono in due tipi: ci sono quelli che preferiscono stare all’aria aperta e dicono di voler mettere alla prova la loro tempra, mentre altri invece dicono di essere più interessati alla sicurezza e all’autodifesa. La maggior parte sembrava alla prese con un Kalashnikov per la prima volta, e nessuno di loro ha detto di avere intenzione di andare a combattere in Ucraina («Anche se fosse così non te lo direbbero», ha detto Gariev).
Timofey Filkin – un 30enne con la faccia da bambino che viene da Perm, una città industriale nei monti Urali – ha raccontato che negli ultimi tre anni ha passato 30 o 40 minuti al giorno su internet per raccogliere informazioni e «monitorare» il conflitto in Ucraina. Secondo Filkin il collasso sociale nel paese potrebbe estendersi anche alla Russia. «Se non avessi una famiglia a maggio o a giugno del 2014 avrei pensato seriamente di andare nel Donbass, anche se non sono sicuro che ne avrei avuto il coraggio», ha raccontato Filkin (la regione del Donbass è uno dei centri della lotta dei separatisti nell’Ucraina orientale). Filkin, che studia tutela ambientale al politecnico di Perm, ha detto di aver dovuto fare «grandi promesse» a sua moglie e ai suoi due figli per poter seguire il corso di addestramento a San Pietroburgo. «Ora che sono un padre di famiglia la mia strategia è un po’ cambiata: ora mi interessa difendere i posti vicino a casa», ha detto. Ha raccontato di non conoscere molto il Movimento Imperialista Russo, e di non considerarsi un nazionalista. «Sono un ortodosso, ma penso che probabilmente le nostre opinioni sul governo siano un po’ diverse», ha detto, «non posso dire di essere un monarchico o un nazionalista russo».
Un altro dei “cadetti”, Sergey Smirnov, fa l’imprenditore autonomo e il blogger. Viene da Chelyabinsk, nei monti Urali, e ha manifestato ancora meno interesse per la politica. «Mi interessano gli argomenti militari, hobby virili, cose difficili, toste, estreme, che richiedono di superare il dolore fisico», ha detto. A febbraio Smirnov ha in programma di scalare il Kilimanjaro. «Non avverto nessun tipo di pericolo», ha raccontato, «credo semplicemente che un uomo debba essere sempre pronto». La pensa così anche Andrei Timofeyev, un 33enne che si è descritto come un «manager annoiato», con una moglie che aveva iniziato a lamentarsi per la sua passione per gli sport estremi dopo la nascita della loro figlia. Sul corso paramilitare, però, Timofeyev e sua moglie sono riusciti a mettersi d’accordo. «Non condivido opinioni estreme di quel tipo», ha detto rispondendo a una domanda sul nazionalismo e il Movimento Imperialista Russo, «non vedo niente di sbagliato nel cercare di aiutare la propria nazione. Ma arrivare a certi estremi e avere posizioni radicali non va bene. Come anche essere ultranazionalisti o ultratolleranti». Per Gariev non ha importanza. «Ai cadetti non dico che devono entrare in questo o in quel gruppo politico», ha raccontato, «ma solo che siamo tutti russi e che nelle prossime guerre avremo bisogno di essere uniti: comunisti, pagani e ortodossi, tutti insieme».
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