In Irlanda si continua a discutere di aborto
Il Parlamento ha istituito un'assemblea che sta esaminando le questioni mediche, legali ed etiche, e potrebbe suggerire modifiche a una legislazione ancora molto severa
In questi mesi un’assemblea di cittadini e cittadine istituita dal Parlamento irlandese sta esaminando le questioni mediche, legali ed etiche legate all’aborto, che in Irlanda è ancora vietato tranne nel caso in cui la gravidanza metta a rischio la vita della donna. Dal 1983 la Costituzione irlandese impone alle donne il divieto quasi totale di interrompere volontariamente una gravidanza: fino al 2013, anno in cui è stata approvata la storica ma contestata legge che lo permette in casi estremi, il divieto era totale.
L’assemblea è stata creata nell’ottobre del 2016, è guidata da Mary Laffoy, una giudice della Corte Suprema ed è composta da cento persone selezionate a caso in modo di essere rappresentative dell’elettorato irlandese: entro la fine dell’anno dovrà presentare una relazione con conclusioni e raccomandazioni alle due camere del Parlamento, che apriranno a quel punto una discussione. Negli ultimi tre mesi il gruppo ha ricevuto più di 13.500 pareri, di cui oltre mille sono stati pubblicati on-line. Le osservazioni dell’assemblea non avranno il potere di cambiare la legge, ma il mandato ricevuto da parte del Parlamento suggerisce la volontà di rivedere la legislazione, che oggi è tra le più severe del cosiddetto mondo occidentale.
L’Irlanda aveva deciso di abolire l’interruzione di gravidanza nel 1983 con un referendum costituzionale che aveva introdotto il cosiddetto “ottavo emendamento”, che equiparava il “diritto alla vita del nascituro” al “diritto alla vita della madre”. Nel 1992 la Corte Suprema aveva stabilito un’unica eccezione: che l’interruzione potesse essere praticata nei casi in cui fosse «reale e sostanziale» il rischio per la vita della partoriente. Nonostante quella sentenza, fu introdotto solamente un emendamento alla Costituzione che permetteva alle donne di andare all’estero per abortire, ma non ebbe nessuna conseguenza pratica: in quegli anni la decisione se praticare o meno l’interruzione di gravidanza era sempre rimasta a discrezione dei medici, i quali sia per convinzioni religiose che per paura di conseguenze personali – a causa dell’incertezza legislativa – si erano rifiutati di eseguirla. Per queste ragioni nel 2010 l’Irlanda venne condannata da una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che chiese al paese di modificare la Costituzione in modo da garantire la protezione della salute della donna.
Nel 2013 il Parlamento ha approvato una legge che consente l’aborto nel caso in cui la gravidanza metta a rischio la vita della donna: tra i motivi di rischio era prevista anche la minaccia di suicidio e quindi il disagio psichico. Il provvedimento era stato chiamato “Protection of Life During Pregnancy Bill”, norme per la protezione della vita in gravidanza, e era arrivato dopo il caso di Savita Halappanavar, una dentista di 31 anni di origini indiane morta qualche mese prima all’Ospedale universitario di Galway per un’infezione al sangue, dopo che aveva chiesto di interrompere la gravidanza alla diciassettesima settimana. Halappanavar era stata ricoverata per un forte mal di schiena. I dottori avevano scoperto che stava per abortire spontaneamente, ma si erano rifiutati di rimuovere il feto perché il suo cuore continuava a battere.
Il “Protection of Life During Pregnancy Bill” è stato considerato molto importante per un paese in cui la religione cattolica è molto influente e radicata e in cui il divieto di abortire è addirittura scritto nella Costituzione. Ma la legge aveva trovato da subito forti opposizioni sia da parte di chi è genericamente contrario all’aborto, sia da parte di chi lo considera un diritto. La legge – tuttora in vigore – ha infatti un’applicazione molto limitata: non prevede per esempio la possibilità di interrompere la gravidanza in caso di stupro, di incesto o di anomalie del feto. La legge include tra i rischi che consentono il ricorso all’interruzione volontaria la minaccia di suicidio della donna, e quindi il disagio psichico; in quest’ultimo caso, però, l’iter per ottenere l’autorizzazione è molto difficile e prevede che la donna venga sottoposta, alla fine, a ben sette giudizi (tutto questo sempre mentre dice di volersi suicidare, e magari ci prova anche). La procedura era stata criticata dalle femministe e giudicata «scandalosa e paternalistica» anche da Johanna Westeson, direttrice regionale per l’Europa presso il “Center for Reproductive Rights” che aveva parlato di «una violazione assoluta delle norme internazionali sui diritti umani e sul diritto delle donne alla salute e alla dignità».
Visto questo divieto quasi totale, per le donne irlandesi che scelgono di abortire è comune recarsi in paesi come il Regno Unito o i Paesi Bassi. Secondo i dati del Servizio Sanitario Nazionale britannico, oltre 3.400 donne irlandesi hanno abortito negli ospedali britannici nel 2015. Lo scorso anno una commissione delle Nazioni Unite ha stabilito che l’Irlanda aveva violato i diritti di una donna costringendola a recarsi all’estero per interrompere una gravidanza, nonostante le fossero stati diagnosticati gravi difetti congeniti al feto. Un altro caso recente, che era stato raccontato dai giornali internazionali, aveva a che fare con una giovane donna di 18 anni rimasta incinta a seguito di uno stupro e che era stata spinta (contro la sua volontà) a far nascere il bambino con un taglio cesareo a 25 settimane di gravidanza.
L’ottavo emendamento è stato oggetto di molte battaglie legali e politiche, anche nel corso degli ultimi anni. Conor O’Mahony, docente di legge presso l’University College Cork intervistato dal New York Times, ha spiegato che l’ottavo emendamento non funziona come mezzo di regolamentazione dell’interruzione di gravidanza, sia che lo si consideri da una prospettiva anti-abortista sia che lo si guardi da quella dell’aborto come diritto: «La prova è che nessuna delle due parti è mai stata soddisfatta di come tale emendamento è stato interpretato ed applicato nel corso degli anni». O’Mahony ha anche detto che l’opinione pubblica si sta gradualmente spostando a favore della legalizzazione dell’aborto, in particolare nei casi di gravi anomalie fetali o nei casi di gravidanza conseguenza di stupro. Le sue dichiarazioni sono confermate dai sondaggi condotti su questo tema negli ultimi dieci anni: la tendenza è quella di un costante aumento del supporto per un maggiore accesso all’aborto in Irlanda (dove per esempio nel maggio del 2015 sono stati legalizzati i matrimoni gay, nonostante l’opposizione della Chiesa). L’ultima ricerca – condotta dell’ottobre del 2016, quando cioè è stata istituita l’Assemblea dei cittadini da parte del parlamento – dice che il 74 per cento degli intervistati sostiene l’abrogazione (in tutti i casi il 19 per cento, limitata ad alcuni casi il 55 per cento) dell’ottavo emendamento.