In difesa dei voucher
Alessandro De Nicola su Repubblica ha cercato di confutare le critiche più diffuse ai buoni per pagare i lavori occasionali
Alessandro De Nicola, editorialista di Repubblica e professore di Diritto commerciale alla Bocconi, ha scritto su Repubblica un articolo in difesa dei “voucher”, uno strumento per pagare il lavoro occasionale introdotto in Italia nel 2003. Di recente si è tornati a parlare dei voucher perché nel 2015 e nel 2016 il loro utilizzo è molto aumentato rispetto agli anni precedenti: diversi pezzi della sinistra parlamentare – la stessa parte politica a cui è vicina Repubblica – ritengono che la diffusione dei voucher alimenti il precariato e nasconda una gran quantità di lavori a tempo pieno che le aziende non vogliono stabilizzare con un contratto “vero”. De Nicola è del parere opposto: sostiene infatti che l’utilizzo del voucher è «una opzione migliore» rispetto «all’inattività o il lavoro nero», che i voucher hanno fatto emergere, e che in generale più di tre quarti di chi li riceve sono studenti o pensionati, e quindi realmente impiegati in lavori occasionali.
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L’Italia ristagna, le banche devono essere salvate con soldi pubblici, nessuno dei nodi che ci attanagliano — scarsa qualità dell’istruzione, bassa competitività, inefficienza della Pubblica amministrazione, debito pubblico — viene sciolto, eppure sembra che il problema principale del Belpaese siano diventati i voucher. In effetti, la Cgil ha raccolto le firme per tenere un referendum abrogativo dell’istituto (il quesito è al vaglio della Corte Costituzionale) e il governo, impaurito, ha allo studio modifiche “restrittive”.
Come funzionano i buoni? Le norme sul lavoro accessorio sono miracolosamente semplici per un ordinamento giuridico votato alla complicazione come il nostro. I soggetti che possono usufruire dei buoni-lavoro sono pensionati, disoccupati, lavoratori part-time, studenti nei periodi di vacanza, percettori di prestazioni integrative del salario (ad esempio cassintegrati o titolari di indennità Aspi). Ogni voucher ha il valore di 10 euro lordi di cui 7,5 netti (il compenso minimo orario) per il lavoratore e altri 2,5 per i contributi Inps e Inail. Le prestazioni sono solo a favore direttamente del committente e quindi non si può adoperare questa forma di lavoro ad esempio negli appalti. Inoltre, salvo alcune regole ad hoc nel settore agricolo e per i cassintegrati, nessun individuo può superare il tetto di 2.000 euro netti annui per datore di lavoro (per evitare che il voucher rimpiazzi ingiustificatamente il lavoro dipendente) e i 7.000 euro complessivi. Infine, il committente ha l’obbligo di comunicare l’inizio della prestazione all’Inps (la famosa “tracciabilità”) e il non superamento del tetto di ore da parte del prestatore a pena di sanzioni abbastanza severe.
In Germania, i mini- job, che coinvolgono 7 milioni di persone e che servono a integrare quel che si riceve anche in termini di assistenza sociale, non funzionano in modo poi tanto diverso. Eppure, agitando lo spettro del “precariato” e della “sostituzione surrettizia” del “buon” lavoro dipendente con i voucher, la Cgil, indispettita dalla perdita di potere di interdizione causata dai buoni- lavoro, ne reclama l’abolizione e molti politici e commentatori parlano di “abusi”.