Cos’è successo all’uomo arrestato per errore dopo l’attentato di Berlino
Non se la sta passando benissimo, purtroppo
Poco dopo l’attentato del 19 dicembre al mercatino di Natale di Berlino, in cui sono morte dodici persone, la polizia tedesca ha arrestato un richiedente asilo pakistano di nome Naveed Baloch. Non era lui il vero autore dell’attacco (si ritiene sia il tunisino Anis Amri, ucciso dalla polizia italiana il 23 dicembre), come si è capito nei giorni successivi, e in meno di 24 ore Baloch è stato liberato. Baloch era stato arrestato perché un testimone dell’attentato aveva visto la persona che aveva guidato il camion contro la folla e poi, dopo averla persa di vista per alcuni minuti, l’aveva confusa con Baloch. Come Amri, Baloch è nato nel 1992, ha la pelle un po’ scura e proviene da una famiglia di religione musulmana, ma qui si fermano le somiglianze: nonostante questo per diverse ore è stato indicato sui giornali e sui social network come il principale sospettato, se non addirittura il colpevole dell’attentato. Baloch ha raccontato al Guardian cosa è successo dopo che la polizia tedesca lo ha arrestato, come vive adesso, perché non si sente più al sicuro e quali sono i timori per la sua famiglia per quello che i media pakistani hanno scritto di lui.
Perché Naved Baloch è in Germania
Naveed Baloch proviene dal Belucistan, una regione meridionale del Pakistan. Come il Kurdistan, è una regione sovranazionale: ci sono minoranze beluci anche in Iran e in Afghanistan, due paesi che confinano con il Belucistan pakistano. La regione ha grandi risorse minerarie ma è una delle più povere del Pakistan. I pakistani di etnia beluci sono circa 13 milioni e molti vorrebbero l’indipendenza dal Pakistan. Il movimento separatista è rappresentato da due diversi partiti politici, il Partito Nazionale del Belucistan, di sinistra, e il Partito Nazionale, di centro-sinistra. C’è anche il Movimento Nazionale Beluci, di cui Naveed Baloch fa parte. Gli abitanti del Belucistan sono spesso attaccati dagli estremisti religiosi in Pakistan: per questo Baloch ha lasciato il paese e ha chiesto asilo politico in Germania.
Prima di scappare dal Pakistan, Baloch si è nascosto per due anni dall’esercito e dai servizi segreti pakistani, che a un certo punto lo hanno arrestato e torturato, secondo quanto ha raccontato al Guardian. Alcuni dei suoi cugini invece sarebbero stati addirittura uccisi. Temendo per la sua vita, Baloch è partito per raggiungere la Germania (scelta come meta dal trafficante di esseri umani che gli ha organizzato il viaggio, non da lui) e ci ha messo tre mesi per arrivare a Monaco, passando per il mare Arabico, l’Iran, la Turchia e la Grecia. Il viaggio è costato l’equivalente di 5.400 euro alla famiglia di Baloch, che ha dovuto chiedere in prestito un sesto del denaro. Baloch sa tuttora poche cose sulla Germania, ma vorrebbe imparare il tedesco e trovare un lavoro; la sua richiesta di asilo non è ancora stata esaminata per le difficoltà linguistiche dovute alla sua madrelingua, il beluci.
Baloch ha deciso di parlare con il Guardian per chiarire la sua posizione, dato che la sua famiglia (che vive tuttora in Pakistan, nel villaggio di Mand) ha ricevuto minacce: per come la stampa pakistana ha parlato dell’attacco di Berlino, qualcuno lo ha associato a una rivendicazione dei beluci. Tra le altre cose, i giornali pakistani si sono lamentati del fatto che il Pakistan fosse stato messo in cattiva luce dalle indagini, per il fatto che non era stato menzionato che il sospetto faceva parte della minoranza beluci (e non fosse quindi un “vero pakistano”). Il Guardian non ha potuto verificare la sua storia, ma organizzazioni umanitarie come Amnesty International e Human Rights Watch hanno documentato a lungo le persecuzioni subite dai beluci: molti nazionalisti sono stati uccisi dai servizi segreti pakistani e decine di persone sono morte per attacchi terroristici rivendicati dallo Stato Islamico e da altri gruppi jihadisti.
Cosa è successo dopo l’arresto di Baloch
La sera del 19 dicembre Baloch si trovava nel centro di Berlino, dopo essere stato a casa di un amico. Stava camminando e dopo essersi accorto che un’automobile lo stava seguendo accelerò il passo, per poi fermarsi una volta resosi conto che era un’auto della polizia. I poliziotti gli chiesero i documenti e inizialmente lo lasciarono andare, per poi fermarlo di nuovo, mettergli le manette e portarlo in una stazione di polizia. Baloch ha raccontato che tra la notte tra il 19 e il 20 dicembre fu portato da una stazione di polizia all’altra, con gli occhi coperti e le mani legate. Due agenti di polizia gli pestarono intenzionalmente i piedi molto forte, e uno di loro «esercitò una forte pressione sul suo collo con la mano». Lo svestirono, gli fecero delle fotografie e presero tre campioni del suo sangue.
I media tedeschi e internazionali cominciarono a dire che la polizia aveva un sospettato per l’attentato, un pakistano di 24 anni proveniente dal Belucistan; dato che la polizia tedesca non rivela i nomi completi delle persone sospettate di aver commesso un crimine fino a che la loro responsabilità nell’atto non sia stata sufficientemente comprovata, fu chiamato solo “Naveed B.”, o come hanno scritto alcuni giornali, il Post compreso, “Navid B.”. Un’altra cosa che i giornali scrissero è che la polizia aveva difficolta a parlare con Baloch per via del beluci: l’interprete chiamato per comunicare con Baloch parlava altre due lingue comuni in Pakistan, l’urdu – che insieme all’inglese è la lingua ufficiale – e il punjabi. Baloch capisce un po’ l’urdu ma non è in grado di parlarlo bene.
Alle domande della polizia Baloch rispose dicendo di non sapere cosa fosse successo a Berlino; quando lo accusarono di aver guidato un camion contro la folla al mercatino di Natale, disse di non saper guidare e nemmeno avviare un’automobile. Tuttora Baloch non è sicuro che la polizia capisse le sue risposte, perché la comunicazione tra loro era molto strana. Cercò di spiegare di essere un pastore e di essere arrivato dal Belucistan in Germania lo scorso febbraio; disse anche di essere un devoto musulmano e di pregare cinque volte al giorno. Si preoccupò anche di una multa ancora da pagare per avere viaggiato senza biglietto su un mezzo pubblico. Quando la polizia gli disse «Ti preoccupi per il pagamento di una multa quando molte persone sono state uccise?» rispose che semplicemente non voleva mettersi nei guai.
Nei due giorni e una notte che ha trascorso con la polizia, a Baloch sono stati dati solo tè freddo e biscotti, «disgustosi» a suo dire. Lo hanno fatto dormire su un letto di legno senza materasso e con le mani legate dietro la schiena. Fin dall’inizio, comunque, la polizia aveva dubbi sulla sua colpevolezza: sui suoi vestiti non c’erano tracce di sangue e lui non era ferito. L’autore dell’attentato invece doveva essere sporco di sangue, per aver lottato con l’autista del camion e averlo poi ucciso. La polizia spiegò a Baloch di aver pensato che fosse un criminale perché stava correndo prima che lo arrestassero.
Come vive Baloch ora
Dopo averlo rilasciato, la polizia portò Baloch in un hotel e gli disse di non lasciarlo senza prima comunicarlo: non perché fosse ancora sospettato, ma per la sua sicurezza. Dal suo arrivo a Berlino Baloch aveva vissuto in un centro di accoglienza per richiedenti asilo allestito nell’aeroporto in disuso di Tempelhof, che si trova all’interno della città, nella parte meridionale. La polizia gli ha detto che la sua vita potrebbe essere in pericolo nel centro di accoglienza, perché persone provenienti dal Pakistan potrebbero considerarlo un nemico dello stato oppure potrebbe essere attaccato da estremisti di destra tedeschi: per questo ora Baloch vive in un posto segreto che la polizia gli ha messo a disposizione per i prossimi due mesi. Ma Baloch è preoccupato più che altro per la sua famiglia. Prima dell’attacco nessuno in Belucistan sapeva dove fosse; ora invece sanno tutti che ha chiesto asilo in Germania. Da quando è stato arrestato Baloch soffre di insonnia, si sente molto solo e ansioso, anche se riceve le visite di altri richiedenti asilo beluci. La sua unica consolazione, ha spiegato al Guardian, è che questa storia possa far conoscere al mondo la situazione del Belucistan e dei richiedenti asilo beluci che si trovano in Europa.