Il migliore di tutti a fare il peggior lavoro del mondo
La storia di Robert Jensen e della sua società, specializzata nel recuperare i resti delle persone morte in disastri aerei, naturali e attentati
Robert Jensen è l’amministratore delegato e il direttore di Kenyon International Emergency Services, una società che si occupa di recuperare i resti e gli effetti personali delle persone che muoiono negli incidenti aerei, nei disastri naturali e nei grandi attacchi terroristici, considerata tra le migliori e più affidabili. Nel 2016 la Kenyon ha lavorato sui siti di nove eventi disastrosi in tutto il mondo, in alcuni anni sono stati anche una ventina; in passato ha collaborato al recupero di cadaveri delle persone morte nell’attentato al Pentagono dell’11 settembre 2001 e di quelle morte a causa dell’uragano Katrina. Il lavoro di Jensen è difficile: occuparsi di tutto ciò che resta di una persona dopo un evento tragico e violento e poi consegnare ai familiari tutto ciò che è stato recuperato. Sull’edizione americana di GQ la giornalista Lauren Larson ha raccontato come si svolge il lavoro di Jensen e quali sono i compiti più difficili che deve affrontare.
Robert Jensen, a destra, stringe la mano al diplomatico thailandese Pracha Gunakasem; al centro l’ambasciatore australiano in Thailandia William Paterson, il 22 agosto 2005, a Bangkok, dopo che Kenyon e l’Australia ebbero regalato delle attrezzature per il riconoscimento delle vittime di tsunami alla Thailandia (AP Photo/Sakchai Lalit)
La Kenyon International Emergency Services ha una lunga storia, che si può far risalire al 1906, quando ai fratelli inglesi Harold ed Herbert Kenyon, figli di un impresario di pompe funebri, fu chiesto di aiutare la polizia a identificare e rimpatriare 28 corpi di persone di nazionalità americana morte in un incidente ferroviario avvenuto vicino a Salisbury, in Inghilterra. Da allora i fratelli si specializzarono in lavori di questo genere e nel tempo la società da loro fondata ha accumulato una grande esperienza, aumentata negli anni anche grazie alle nuove tecnologie, prima fra tutte l’analisi del DNA.
Oltre a recuperare i resti dei morti e a identificarli, Kenyon gestisce i call center che rispondono ai parenti delle vittime e organizza sepolture e celebrazioni in memoria. La prima fase del lavoro comunque è sempre quella sul campo e inizia non appena a Jensen e ai suoi collaboratori viene affidato un nuovo lavoro. A seconda delle circostanze una squadra più o meno numerosa si reca sul posto dell’incidente dalla sede di Kenyon a Bracknell, una cittadina a un’ora di Londra, vicina all’aeroporto di Heathrow. Delle squadre di lavoro fanno parte investigatori, antropologi forensi e archeologi: raccolgono tutti i detriti che trovano dove è avvenuto un disastro e li ripongono in secchi che poi vengono passati ad archeologi incaricati di riconoscere i frammenti ossei.
Nel caso dello schianto di un elicottero sulle montagne del Perù in cui sono morte dieci persone, Jensen e la sua squadra hanno recuperato 110 frammenti di ossa che sono poi stati divisi grazie all’analisi del DNA. Kenyon ha 27 dipendenti a tempo pieno e in caso di necessità può chiamare altri 900 specialisti indipendenti, a seconda della gravità della situazione. Non è il numero di morti a determinare la difficoltà del lavoro, ma piuttosto il modo in cui è avvenuto il disastro, che determina le condizioni in cui si trovano i resti.
La sede di Kenyon a Bracknell è fatta di un palazzo di uffici e di un grosso magazzino dove vengono portati tutti gli oggetti recuperati sui luoghi dei disastri per essere fotografati, identificati e conservati in attesa di essere consegnati alle famiglie delle persone a cui appartenevano o di essere distrutti. Nel grosso magazzino ci sono ordinati scaffali metallici dove sono disposti gli strumenti di lavoro dei dipendenti di Kenyon: vestiti e oggetti vari che potrebbero essere utili in diverse località geografiche divisi in buste sigillate, kit di primo soccorso per eventuali emergenze, giubbotti antiproiettili per quando Kenyon è chiamata a intervenire in zone di guerra, una specie di obitorio portatile (che comprende un refrigeratore), una cassa che contiene tappeti per la preghiera per familiari di religione musulmana e un’altra che contiene orsetti di peluche. La Kenyon si occupa anche di spiegare alle famiglie dei morti cosa è successo negli ultimi momenti delle vite dei loro cari e di aiutarli ad accettare il modo in cui la loro vita è cambiata. È in questo che, secondo Lauren Larson, Jensen è davvero il migliore al mondo nel peggiore dei lavori del mondo. La caratteristica che lui e i dipendenti di Kenyon condividono è l’essere molto empatici e al tempo stesso riuscire a mantenere una distanza emotiva dalle vittime e dai loro familiari.
Il primo contatto che Jensen ha con i familiari delle vittime è quello in cui deve eliminare qualsiasi forma di speranza che ancora conservano sulla sorte dei loro cari. La prima cosa che dice loro è che gli parlerà in modo diretto e a quel punto se ci sono dei bambini i genitori li fanno allontanare. Poi Jensen spiega alle persone rimaste che i corpi dei loro cari hanno subito traumi che li hanno resi irriconoscibili e molto frammentati. Per Jensen e chi lavora con lui è importante riuscire a trovare qualcosa che le famiglie possano seppellire e che serva per non avere l’impressione che la persona che amavano sia scomparsa nel nulla. La maggior parte della famiglie non riceve né un corpo né dei resti per settimane dopo l’incidente o il tragico evento in cui è morto il proprio caro; alcune non ricevono nulla e questo è un problema sia perché la sepoltura è un passaggio importante per l’elaborazione del lutto sia per ragioni legate alle assicurazioni.
Per identificare i resti e gli oggetti personali trovati sui luoghi dei disastri, Kenyon chiede alle famiglie dei morti di poter accedere alle loro cartelle cliniche e alle impronte dentali; vengono svolte anche lunghe interviste con i familiari per ottenere informazioni utili all’identificazione. A volte le indagini sono molto complesse, ma Jensen va avanti fino a quando non ha identificato ogni oggetto. Nel caso del volo della compagnia Germanwings precipitato sulle Alpi francesi il 24 marzo 2015, Jensen ha scoperto a chi apparteneva la chiave di un’automobile parlando con un concessionario che gli ha saputo dire in che paese era stato immatricolato il veicolo a cui erano associate. Una volta recuperati gli oggetti personali delle vittime, i familiari devono poi decidere se li vogliono ricevere oppure no e, nel primo caso, se vogliono che Kenyon li pulisca prima di consegnarli oppure no: nei casi di disastri aerei i resti e gli oggetti che vengono recuperati sono spesso danneggiati dalle condizioni climatiche e dall’intervento dei pompieri e odorano di carburante per aerei o di decomposizione. Le famiglie devono anche scegliere se ricevere gli oggetti per posta (così decide la maggior parte delle persone) o farseli consegnare a mano.
Jensen ha spiegato a Lauren Larson che identificare gli oggetti personali mette più in difficoltà rispetto all’identificazione dei resti umani perché un corpo è solo un corpo, mentre gli oggetti personali sono il simbolo della vita di una persona. Per le persone che hanno perso un familiare in un disastro, gestire la questione degli effetti personali del morto aiuta a smorzare il proprio senso di impotenza.
Alcune famiglie dicono però di non essere interessate a recuperare gli oggetti personali. In questo caso ciò che è stato trovato viene conservato nel magazzino di Kenyon per almeno due anni, di più se c’è un’inchiesta sulle cause del disastro in corso, prima di essere distrutti. Alcuni oggetti non vengono immediatamente associati a una delle vittime e per questo vengono fotografati e inseriti in un catalogo online che i parenti dei morti possono consultare per vedere se riconoscono qualcosa. In passato i cataloghi erano cartacei e molto grandi.
Grazie al suol lavoro Jensen sa perché non bisogna gonfiare il proprio salvagente prima di uscire da un aeroplano che sta affondano (è d’impaccio quando si cerca di scendere, molte persone sono morte perché rimaste incastrate) e sa che non c’è ragione di passare la propria vita preoccupandosi di morire in un disastro di massa. Sa anche cosa vorrebbe che i suoi familiari ricevessero dopo la sua morte: anche suo marito, Brandon Jones, lavora per Kenyon, ed entrambi vorrebbero che l’altro potesse riavere gli anelli nuziali e i braccialetti di tessuto che si sono scambiati nel caso dovessero morire in un disastro.