La storica visita di Shinzo Abe a Pearl Harbor
Il primo ministro giapponese ha visitato insieme a Barack Obama la base americana attaccata nel 1941, episodio che causò l'entrata in guerra degli Stati Uniti
Il 27 dicembre il primo ministro giapponese, il conservatore Shinzo Abe, ha visitato Pearl Harbor, nelle Hawaii, a 75 anni di distanza dal famoso e micidiale attacco a sorpresa della Marina Imperiale giapponese alla base militare americana, compiuto il 7 dicembre 1941. La visita di Abe, che si è tenuta alla presenza di Barack Obama, è già stata definita storica da molti esperti e analisti: anche se non è la prima in assoluto di un primo ministro giapponese alla base di Pearl Harbor (e anche questa è una storia nella storia), si può considerare la più importante mai avvenuta dalla Seconda guerra mondiale e l’unica finora a essere stata programmata insieme a un presidente americano. Lo stesso Obama aveva fatto una visita storica lo scorso maggio a Hiroshima, la città giapponese dove nel 1945 gli americani usarono per la prima volta nella loro storia la bomba atomica.
Durante la visita Obama ha detto che la presenza di Abe era la dimostrazione che “le guerre possono finire e i nemici diventare alleati”. Abe non ha chiesto scusa per l’attacco, ma ha detto che “non dobbiamo ripetere gli orrori della guerra di nuovo.” e ha reso omaggio agli “uomini e donne coraggiosi” che sono state uccisi, aggiungendo che era importante mostrare rispetto anche a un ex nemico.
L’attacco di Pearl Harbor cominciò alle 7.48 del 7 dicembre 1941, quando gli aerei giapponesi iniziarono a colpire la base militare americana, sede della Flotta del Pacifico della marina militare statunitense a Oahu, una delle otto isole principali delle Hawaii (qui c’è tutta la storia dell’attacco).
Alla fine del 1941 la Seconda guerra mondiale era già cominciata: la Germania nazista stava combattendo contro l’Unione Sovietica alle porte di Mosca e il Giappone stava continuando la sua politica di aggressione ed espansione nel sudest asiatico, minacciando le principali colonie occidentali nell’area (come l’attuale Malesia, allora britannica, e le Indie Orientali olandesi) dopo avere già occupato l’Indocina francese. Gli Stati Uniti però non erano ancora entrati in guerra, anche se un confronto militare con il Giappone era ampiamente previsto da molti osservatori. L’attacco a Pearl Harbor aveva l’obiettivo di rendere gli americani incapaci di reagire agli ulteriori attacchi giapponesi alle colonie in Indocina e nelle Filippine, aree necessarie al Giappone per il rifornimento delle materie prime. Gli aerei coinvolti nell’offensiva furono 350, divisi in due ondate, e colsero completamente di sorpresa gli americani: l’attaccò durò solamente un’ora e mezza, ma danneggiò e distrusse 18 navi, 188 aerei e fece 2.386 morti (di cui 55 civili) e 1.139 feriti. L’attacco è stato raccontato dal film “Pearl Harbor” del 2001 diretto da Michael Bay.
L’8 dicembre 1941, un giorno dopo l’attacco, l’allora presidente statunitense Franklin D. Roosevelt pronunciò un celebre discorso davanti al Congresso, dicendo che il 7 dicembre era stato «un giorno che vivrà nell’infamia». E così fu, in effetti. Per più di mezzo secolo l’attacco di Pearl Harbor è stato un argomento molto sensibile nelle relazioni tra Stati Uniti e Giappone, due paesi che dalla fine della Seconda guerra mondiale sono stati alleati; così sensibile che all’inizio di dicembre, quando Shinzo Abe ha annunciato che oggi sarebbe stato a Pearl Harbor, lo stesso ministro degli Esteri del suo governo si è riferito all’imminente evento come alla prima visita di un primo ministro giapponese alla base americana delle Hawaii. Ma no, non è così.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale a Pearl Harbor ci passarono ben tre primi ministri giapponesi, senza però essere troppo notati dalla stampa dei due paesi. Il primo fu Shigeru Yoshida nel 1951, che fece tappa alle Hawaii dopo una visita a San Francisco durante la quale firmò un trattato per normalizzare i rapporti tra il Giappone e le potenze vincitrici della guerra.
Durante il breve periodo passato all’isola di Oahu, Yoshida visitò ufficialmente il National Memorial Cemetery of the Pacific, un cimitero per i soldati americani morti durante il conflitto, e si fermò brevemente a Pearl Harbor. Non ci furono cerimonie né altri eventi pubblici, probabilmente per il timore che il risentimento per l’attacco di soli 10 anni prima provocasse proteste e critiche. La notizia fu riportata dal quotidiano giapponese Yomiuri Shimbun; Yoshida, che è morto nel 1967, disse a un giornalista di Yomiuri che stava viaggiando con lui di essere rimasto “scosso” dall’esperienza.
La scorsa settimana è venuto fuori che dopo Yoshida altri due primi ministri giapponesi visitarono Pearl Harbor. Un giornale delle Hawaii in lingua giapponese, lo Hawaii Hochi, ha scritto che Ichiro Hatoyama e Nobusuke Kishi (il nonno di Shinzo Abe) visitarono Pearl Harbor rispettivamente nel 1956 e nel 1957. Queste due visite sono anche state riconosciute negli ultimi giorni dal governo giapponese.
Il presidente statunitense Eisenhower e il primo ministro giapponese Kishi (il nonno di Shinzo Abe) alla Casa Bianca il 21 giugno 1957 (AP Photo)
Robert Dujarric, direttore dell’Istituto degli studi contemporanei asiatici all’Università di Tokyo, ha detto al New York Times che molti, lui compreso, non erano a conoscenza delle visite di Hatoyama e Kishi. Quando successe, i giornali statunitensi e giapponesi non diedero praticamente alcuna copertura a queste notizie e lo stesso Abe è sembrato ignaro che suo nonno fosse stato in visita a Pearl Harbor. Alcuni storici, ha scritto il New York Times, pensano che le visite dei primi ministri giapponesi alla base militare americana a Pearl Harbor negli anni Cinquanta non furono raccontate perché i due paesi stavano ancora stabilendo i termini della loro alleanza post-guerra. Le tensioni erano molte sia negli Stati Uniti che in Giappone. Gli americani avrebbero potuto difficilmente giustificare un atteggiamento morbido nei confronti dei giapponesi, dopo averli disumanizzati per le violenze compiute in guerra; e i giapponesi erano divisi tra la sinistra, che era molto critica verso l’alleanza con il governo americano, e la destra, che considerava l’attacco di Pearl Harbor come un atto di legittima difesa. Le cose sono cominciate a cambiare negli anni Ottanta, quando nei governi giapponesi è iniziata a farsi spazio la possibilità di offrire delle scuse, e cambieranno ulteriormente oggi, dopo la visita di Shinzo Abe nei posti dell’attacco.