Il primo processo contro i golpisti in Turchia
È cominciato oggi a Istanbul, in un tribunale già noto per avere giudicato i presunti responsabili di un altro colpo di stato: gli imputati sono 29 poliziotti
In Turchia è cominciato oggi il primo grande processo alle persone sospettate di avere partecipato al colpo di stato fallito dello scorso 15 luglio. Il processo si sta tenendo in un tribunale all’interno di un complesso carcerario nella periferia di Istanbul e i primi imputati sono 29 agenti di polizia accusati di avere avuto legami con Fethullah Gülen, il religioso turco che vive negli Stati Uniti e che è considerato dal governo l’organizzatore del golpe. I poliziotti sono anche accusati di avere cercato di convincere colleghi e cittadini a non unirsi alle manifestazioni a favore del governo che si tennero la notte del tentato colpo di stato. Le persone sospettate di avere guidato il golpe, i “capi”, saranno invece processati ad Ankara, probabilmente l’anno prossimo.
Come ha scritto il quotidiano turco Hurriyet, il tribunale nel quale è cominciato il processo è già molto noto in Turchia, perché nel 2013 si occupò di un altro tentato colpo di stato, conosciuto con il nome Ergenekon. È difficile definire Ergenekon e anzi la sua definizione è stata per molto tempo al centro di grandi dibattiti e controversie: secondo alcuni era un’associazione eversiva di militari, giornalisti, politici e intellettuali ultranazionalisti che avrebbe tentato di rovesciare il governo guidato da Erdoğan; secondo altri era un’invenzione dello stesso Erdoğan per eliminare i gruppi di opposizione. Il processo Ergenekon si tenne nel 2013 e 275 persone tra militari, giornalisti, avvocati e accademici furono condannate per avere cospirato contro il presidente. In quel processo ci fu un grande coinvolgimento di Gülen, che allora si poteva considerare un solido alleato di Erdoğan. La situazione era molto diversa da quella attuale: Erdoğan e Gülen condividevano l’obiettivo di istituire uno stato nazionalista e conservatore con una forte componente religiosa, ed entrambi erano interessati a eliminare i cosiddetti “kemalisti”, cioè i sostenitori delle idee di impronta laica del fondatore dello stato turco, Kemal Atatürk. I condannati in quel processo furono liberati l’anno successivo grazie a una sentenza della Corte Costituzionale turca, che tra le altre cose accusò Gülen di avere condizionato il processo fabbricando prove false per indurre il tribunale a condannare gli imputati.
Oggi Erdoğan e Gülen sono acerrimi nemici. Dopo il tentato golpe, in Turchia sono state arrestate 40mila persone, soprattutto militari e poliziotti, e moltissime altre sono state rimosse dal loro incarico, perché sospettate di avere partecipato al tentato golpe o di essere in contatto con Gülen (più di mille arresti sono stati compiuti nell’ultima settimana). Pochi giorni fa il governo ha ordinato l’ennesimo blocco ai social network in Turchia – YouTube, Twitter e Facebook – questa volta per evitare la diffusione di un video dello Stato Islamico che mostrava la brutale uccisione di due soldati turchi. Il governo ha anche accusato Gülen di essere dietro all’uccisione dell’ambasciatore russo durante l’inaugurazione di una mostra ad Ankara, nonostante l’attacco sia sembrato a diversi osservatori legato al radicalismo islamista, più che a motivazioni politiche interne della Turchia. Inoltre negli ultimi mesi diversi giornali considerati prima vicini all’opposizione – o a Gülen, come il quotidiano Zaman – sono stati chiusi o sono passati sotto il controllo del governo. Intanto Gülen si trova ancora negli Stati Uniti: finora l’amministrazione americana si è rifiutata di estradarlo, come chiesto invece dalla magistratura turca.