Quanto c’entra Anis Amri con l’ISIS
Molto, dicono alcuni documenti investigativi tedeschi ottenuti da CNN: sembra che l'attentatore di Berlino facesse parte di un'estesa rete di sostenitori dell'ISIS in Germania
Nelle ultime ore sono emersi nuovi particolari su Anis Amri, l’uomo che lunedì 19 dicembre ha investito la folla a un mercatino di Natale di Berlino e ha ucciso 12 persone. Amri, che è stato ricercato per quattro giorni dalla polizia di mezza Europa, è stato ucciso nella notte tra giovedì e venerdì da due poliziotti italiani a Sesto San Giovanni, un comune nella periferia di Milano. Nonostante ci siano ancora diversi dettagli da chiarire – come gli ultimi spostamenti di Amri dalla Germania all’Italia (il Foglio per esempio sostiene che stesse cercando di raggiungere la zona del bergamasco, dove poteva contare su una rete di supporto legata alla piccola criminalità locale, e che i servizi segreti lo stessero aspettando) – qualcosa su di lui si può già dire. Si sa per esempio che Amri non era un estremista religioso prima di arrivare in Europa: sembra si sia progressivamente radicalizzato prima durante i quattro anni passati carcere in Italia e poi in una rete di islamisti radicali in Germania. Dalle ultime informazioni disponibili, si può dire inoltre che Amri non abbia agito completamente da solo a Berlino, come si pensava inizialmente: in Germania era entrato in contatto con un gruppo guidato da un predicatore di origine irachena considerato molto vicino allo Stato Islamico e già da tempo era sorvegliato dall’intelligence tedesca perché sospettato di voler ottenere illegalmente delle armi.
Il ministro degli Interni italiano Marco Minniti, a sinistra, e il capo della polizia Franco Gabrielli durante la conferenza stampa tenuta venerdì a Roma, dopo l’uccisione di Anis Amri (AP Photo/Gregorio Borgia)
Ma quanto c’entrava Anis Amri con lo Stato Islamico? Ecco cosa sappiamo di lui, messo in ordine.
Chi era Anis Amri
Amri era nato a Oueslatia, una piccola città della Tunisia, il 22 dicembre del 1992. Fin da giovane, ha raccontato la sua famiglia al Wall Street Journal, Amri dava qualche problema: saltava in continuazione la scuola e stava a casa senza fare niente. Nel marzo 2011, a 18 anni, Amri lasciò la Tunisia e insieme a tre suoi amici riuscì ad arrivare a Lampedusa usando una delle imbarcazioni messe a disposizione dai trafficanti di essere umani. A ottobre dello stesso anno fu arrestato e fu condannato a quattro anni di carcere per avere causato un incendio e per avere danneggiato delle proprietà nel centro di accoglienza di Belpasso, un piccolo comune vicino a Catania. Scontò quasi tutta la pena in sei carceri diverse: Enna, Sciacca, Agrigento, Palermo – prima al Pagliarelli e poi all’Ucciardone – e Caltanissetta (al CIE, il centro di identificazione ed espulsione). Quando uscì fu emesso nei suoi confronti un provvedimento di espulsione, che però non fu mai attuato. Nel luglio 2015 Amri entrò in Germania.
Ralf Jäger, il ministro degli Interni della Renania Vestfalia-Settentrionale, ha detto che nei mesi successivi al suo arrivo in Germania Amri si spostò molto, prima di fermarsi a Berlino nel febbraio 2016. Fu in quel periodo che attirò le attenzioni dell’antiterrorismo tedesco. A marzo le autorità di Berlino indagarono su di lui perché sospettato di pianificare un furto per rubare i soldi che gli sarebbero serviti per comprare delle armi automatiche da usare in un attacco terroristico. Sembra che in quel periodo Amri fosse entrato anche in qualche giro di droga. Ayman, un trafficante di droga tunisino che vive a Berlino, ha raccontato al Wall Street Journal di avere visto spesso Amri vendere cocaina nel quartiere Kreuzberg: «Amava i soldi e se gli rubavi uno dei suoi clienti diventava matto». Amri fu messo sotto sorveglianza e ad aprile fece richiesta formale di asilo politico in Germania. La richiesta naturalmente gli fu rifiutata e a giugno fu decisa la sua espulsione, mai realizzata perché Amri era sprovvisto di documento valido e non poteva essere rimpatriato. A settembre la sorveglianza si concluse, non si sa bene perché; nel frattempo Amri era anche stato inserito nella “no fly list” degli Stati Uniti, cioè quella lista stilata dal governo che impedisce alle persone che ne fanno parte di imbarcarsi su un aereo commerciale in entrata o uscita da un aeroporto statunitense.
I dati di Anis Amri, il presunto attentatore di Berlino (Police via AP)
Non è chiaro quando Amri cominciò a radicalizzarsi, cioè ad avvicinarsi a un’interpretazione molto radicale dell’Islam. Secondo la ricostruzione della Stampa, già durante il periodo che Amri passò nel carcere ad Agrigento le autorità notarono “atteggiamenti sospetti tendenti alla radicalizzazione” e nel gennaio 2015 Amri fu trasferito all’Ucciardone di Palermo per “gravi e comprovati motivi di sicurezza”. Il Corriere ha scritto che i comportamenti di Amri erano stati notati anche dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che aveva avvertito il Casa (Comitato di analisi strategica antiterrorismo, che include membri della polizia giudiziaria e dei servizi di intelligence). Sembra che l’avvicinamento all’Islam radicale si completò in Germania, quando Amri entrò in contatto con il più importante esponente dello Stato Islamico nel paese.
La rete dello Stato Islamico in Germania
CNN ha ottenuto un documento di 345 pagine dagli investigatori tedeschi relativo alla rete terroristica che sembra esserci dietro all’attentato di Berlino. Stando ai documenti, Amri faceva parte di un gruppo di persone che orbitava attorno ad Ahmad Abdelazziz, conosciuto anche come Abu Walaa, un predicatore di origine irachena arrestato a novembre nella città tedesca di Hildesheim con l’accusa di terrorismo. Walaa non è un predicatore qualsiasi: ha definito se stesso come il rappresentante dello Stato Islamico in Germania ed è considerato dagli investigatori come la figura centrale di una “rete nazionale di indottrinati salafiti-jihadisti che sono strettamente legati tra loro e operano dividendosi i compiti». Le finalità di questa rete – concentrata soprattutto negli stati tedeschi della Renania Settentrionale-Vestfalia e della Bassa Sassonia – sono due: il reclutamento e l’indottrinamento; i suoi membri comunicano tra loro usando Telegram e ottengono i fondi per finanziare il jihad (spesso i viaggi dei “foreign fighters”) tramite furti o truffe sui prestiti.
Secondo gli investigatori tedeschi, Anis Amri aveva avuto anche una specie di mentore nel gruppo di Walaa: Boban Simeonovic, un 36enne tedesco-serbo proveniente da Dortmund, (Renania Settentrionale-Vestfalia), e considerato molto radicale. Simeonovic, anche lui arrestato per terrorismo a novembre insieme a Walaa, aveva alcuni contatti diretti con diversi operativi tedeschi dello Stato Islamico in Siria. Alla fine del 2015, quando Amri si stava preparando ad andare in Siria per unirsi allo Stato Islamico, Simeonovic lo portò a fare lunghe escursioni per tenerlo in forma e si occupò di organizzare il suo viaggio tramite i contatti che aveva alla moschea di Hildesheim. Non è chiaro il motivo per cui alla fine Amri non partì. Grazie ai racconti di un informatore della polizia nella rete di Walaa, si sa però che Amri a un certo punto cominciò a pensare di compiere attacchi terroristici in Germania.
Non si conoscono ancora molti dettagli sul tipo di contatti che questa rete guidata da Walaa ha intrattenuto con i vertici dello Stato Islamico in Siria e in Iraq. Secondo le informazioni che un disertore dello Stato Islamico ha dato agli investigatori tedeschi, Abu Walaa aveva una certa influenza a Raqqa: un suo accolito era diventato capo della sezione tedesca del servizio di sicurezza dello Stato Islamico ed era in contatto con Abu Muhammad al Adnani, che fino alla sua morte è stato considerato il secondo uomo più potente del gruppo dopo Abu Bakr al Baghdadi. Anis Amri, l’attentatore di Berlino, era certamente parte di questa rete.