Come hanno fatto a girare QUELLE scene di “Rogue One”?
E soprattutto quali sono le loro implicazioni etiche, secondo i critici che hanno visto l'ultimo film di Star Wars
Uno degli aspetti più discussi di Rogue One, il primo spinoff della saga di Star Wars uscito la settimana scorsa nei cinema italiani, è la presenza nel cast principale di un attore morto da tempo (attenzione: spoiler per chi ancora non ha visto il film). Uno degli antagonisti del film è infatti il generale Wilhuff Tarkin, che compariva già nel primissimo film della saga, interpretato dall’attore britannico Peter Cushing: che però è morto nel 1994. Le sue sembianze sono state ricreate al computer a partire dalle scene di Una nuova speranza in cui era presente, e poi applicate sui movimenti dell’attore che ha materialmente recitato il ruolo sul set (il britannico Guy Henry). Il risultato è impressionante: a meno di essere attenti a certi movimenti del viso, molte persone – se non sanno che Cushing è morto – non si accorgono che Tarkin non è interpretato da una persona vera (come il critico del New Yorker che ha scritto la recensione/stroncatura di Rogue One, come ha ammesso di recente).
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Al di là della realizzazione pratica – su cui i critici non hanno un parere unanime – quasi tutti sono d’accordo nel dire che la scelta della Disney, che possiede i diritti per la saga di Star Wars, apre tutta una serie di domande sul futuro del cinema: è lecito utilizzare le sembianze di un certo attore nonostante sia morto da tempo (e nonostante la casa di produzione abbia ottenuto il consenso della fondazione che ne gestisce i diritti, come nel caso di Disney con Cushing)? Bisogna chiedere il permesso a qualcuno? Bisogna pagare i suoi eredi? Come si valuta la sua recitazione? Qual è il limite?
Come hanno fatto, innanzitutto
Gareth Edwards, il regista di Rogue One, ha detto che ricreare Tarkin con la computer grafica è stata una decisione di John Knoll, esperto di effetti speciali che nel 2007 ha vinto l’Oscar per quelli di Pirati dei Caraibi – La maledizione del forziere fantasma, e che di Rogue One è anche produttore esecutivo. Parlando con Radio Times, Edwards ha raccontato che in fase di pre-produzione c’erano molti dubbi su come coinvolgere personaggi presenti in Una nuova speranza, il film cronologicamente più vicino a Rogue One nella storia di Star Wars.
«Le domande che giravano erano: “come facciamo? Prendiamo degli attori che gli somiglino? Li escludiamo dal film? Li sentiamo solo parlare?”. L’approccio di John è sempre stato: “ce la possiamo fare”. Era molto determinato, anche se molte persone sono state sempre nervose per questa scelta. E a un certo punto abbiamo deciso di andare fino in fondo».
Non è chiarissimo in che modo materialmente è stata realizzata la figura di Tarkin: il Guardian ha scritto che la Disney e la Lucasfilm, la casa di produzione che si occupa di Star Wars, hanno la «bocca sigillata» su come ci sono riusciti. La Industrial Light and Magic, una divisione della Lucasfilm fra le più famose aziende che si occupano di effetti speciali, ha detto a Gizmodo che non ne parleranno fino a gennaio.
Secondo Time, la produzione di Rogue One non ha “riciclato” delle vecchie immagini con Cushing: sembra invece che Guy Henry abbia lavorato più o meno come Andy Serkis, l’attore che “interpreta” Gollum nella saga del Signore degli Anelli (e il Leader Supremo Snoke nel settimo film di Star Wars, Il Risveglio della Forza). Serkis recitava con dei sensori che ne rilevavano il movimento degli arti e del viso, a partire dei quali veniva costruito un personaggio totalmente nuovo grazie alla computer grafica. È andata così anche con Tarkin, anche se probabilmente è stato necessario lavorare solo sul viso (la corporatura dei due attori è piuttosto simile, anche se Henry è più alto di circa 10 centimetri). Probabilmente se ne saprà di più quando Rogue One uscirà in edizione blu-ray, che per i film di Star Wars contiene quasi sempre approfondimenti e dietro-le-quinte inediti.
Anche l’ultima scena, in cui si vede brevemente la principessa Leia, è stata “corretta” con la computer grafica. Fino a pochi giorni fa si credeva che Carrie Fisher, che interpreta Leia nella trilogia originale, fosse stata “ringiovanita” dalla computer grafica; ora invece sappiamo che non ha recitato del tutto nel film. La sua parte è stata recitata dall’attrice norvegese Ingvild Deila, che l’ha raccontato su Twitter il 16 dicembre, un giorno dopo l’uscita del film. Il caso di Leia è comunque meno rilevante, ai fini del dibattito: Fisher è ancora in vita ed è plausibile pensare che prima di girare la scena finale la Lucasfilm abbia chiesto il suo consenso.
Cosa ne hanno detto i critici
Hanno occupato più o meno tutte le posizioni dello spettro che ha come estremi “geniale” e “ridicolo” (anche se la maggior parte tende verso il secondo). Quartz lo ha definito “una mostruosità”, Time ha scritto che ricorda più un personaggio di Polar Express che di Star Wars, mentre secondo la critica Kristy Puchko assomiglia invece a un cattivo dei film animati della Pixar. Lo Hollywood Reporter lo ha invece definito “impressionante”, e ha fatto notare che Rogue One è stato inserito nell’elenco dei 10 film candidati a vincere l’Oscar per i migliori effetti speciali.
Le implicazioni etiche
Per stabilire un termine di paragone, i critici hanno tirato in ballo diversi casi recenti di pesanti interventi in computer grafica nei film prodotti dall’industria cinematografica americana: le scene con Paul Walker girate dopo la sua morte e presenti nel settimo film della saga di Fast and Furious, l’esibizione di un ologramma del rapper Tupac durante il festival Coachella del 2012, o ancora il ringiovanimento di Robert Downey jr. in Captain America: Civil War e di Michael Douglas in Ant-Man.
Nessuno di questi però regge il confronto con la riproduzione di Peter Cushing – che era inglese e prima di Star Wars era noto perlopiù per film horror girati negli anni Cinquanta – in un film girato 22 anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1994.
Il consenso per usare le sembianze di Cushing è stato dato alla produzione da Joyce Broughton, la sua ex assistente personale, che è diventata proprietaria dei suoi diritti d’immagine dopo che l’attore inglese è morto senza avere eredi di sangue. Broughton, che era presente alla prima visione europea tenuta a Londra, ha detto di avere firmato un contratto con una clausola di riservatezza con la Disney, e di non poter dire molto. Non è nemmeno chiaro se sia stata pagata o meno, anche se sembra plausibile. Broughton ha comunque detto di essere molto soddisfatta del risultato finale. Parlando con Variety, ha spiegato: «Non sono una fanatica di Star Wars, ma credo che chiunque abbia svolto il lavoro sia stato fantastico».
Alcuni critici come Puchko sottolineano comunque che «è un fatto» che Cushing non abbia potuto rifiutare la parte, nonostante l’assenso di chi possiede i diritti della sua immagine. Cosa che potrebbe indurre l’industria cinematografica americana a insistere sempre di più con trovate del genere, dato che ora la tecnologia lo permette. «Vedremo di nuovo Marlon Brando, James Dean, Grace Kelly e altre icone di Hollywood, sullo schermo con Dwayne Johnson e Melissa McCarthy? Forse», ha scritto il Guardian. Altri la pensano più o meno nello stesso modo: Cushing non ha potuto dire la sua sul film, e quindi sarebbe stato meglio evitare.
Altri critici, come Brody del New Yorker e Mike Ryan di Uproxx, hanno un’opinione più sfumata: dal punto di vista etico, se le persone che detengono i diritti d’immagine sono d’accordo e sono state adeguatamente pagate, si può fare. Il tema vero, secondo questo filone, sono le conseguenze artistiche di questa innovazione: Brody spiega che, come ogni nuovo strumento del cinema, la computer grafica è «un trampolino per sviluppare l’invenzione, l’immaginazione e l’ispirazione» e non è necessariamente buona o cattiva. Germain Lussier di Gizmodo si spinge un po’ oltre, spiegando che la riproduzione di Cushing «mi sembra un’evoluzione di quella di Gollum, con cui molte persone non hanno problemi. Non ci sono attori ma c’è comunque un’arte dietro: non è un semplice lavoro di copia e incolla».
Variety ha inoltre raccontato che diversi attori si stanno già preparando al fatto che le loro sembianze verranno in futuro riprodotte in digitale. Richard W. Taylor II, un membro del sindacato dei registi di Hollywood ed ex vicepresidente di un’associazione di esperti di effetti speciali, ha raccontato che «c’è tutta una nuova moda per cui attori noti si fanno visionare da uno scanner al fine di essere ricreati in film futuri e lasciare “un’eredità” alla propria famiglia e al proprio fondo». Prima di morire, l’attore e comico americano Robin Williams ha fatto l’opposto: ha affidato a un fondo privato i diritti del suo nome, della sua firma e delle sue sembianze fino al 2039, di modo da controllarne rigidamente l’utilizzo.