Le dirette degli sport estremi sono diventate troppo pericolose
Alcuni atleti sono morti "in diretta", a volte perché distratti dalle riprese che stavano facendo
Outline è un nuovo sito di news diretto dal giornalista Joshua Topolsky, che ha collaborato con Bloomberg ed è stato uno dei fondatori di The Verge. Outline esiste da inizio dicembre e ha lo scopo di raccontare «il potere (chi ce l’ha, chi lo vuole, e cosa ci fanno dopo averlo ottenuto), la cultura (il modo in cui viviamo e comunichiamo) e il futuro (dove stiamo andando)». Uno dei primi articoli di Outline – e uno di quelli che sta avendo più successo – è intitolato “Live, for the moment” (“Dal vivo, per ora”) e spiega come la possibilità di fare video in diretta mentre si fanno sport estremi sta rendendo la vita di questi atleti sempre più pericolosa, fino al punto che alcuni atleti sono morti durante le loro dirette, in certi casi proprio a causa di quelle riprese. Da qualche tempo sempre più persone praticano sport estremi, e molte di loro cercano di compiere imprese sempre più difficili, per fare video sorprendenti, avere più visualizzazioni online e soddisfare gli sponsor.
L’articolo di Outline inizia raccontando la storia di Armin Schmieder, un atleta di sport estremi di 28 anni – originario di Merano, in Trentino-Alto Adige – morto il 26 agosto 2016 in Svizzera, durante un lancio con la tuta alare (o wingsuit). La stessa disciplina in cui pochi giorni prima era morto Uli Emanuele. Quel giorno Schmieder iniziò la sua diretta da circa 2.300 metri d’altezza: era sull’Alpschelehubel, una montagna del Cantone Berna, nel sud della Svizzera. Si mise casco, tuta e due GoPro in testa. Il cellulare da cui stava trasmettendo la diretta lo mise invece in tasca. Da quel momento si vide solo il viola della tuta in cui era stato messo; si sentì lui che si lanciava, il rumore del vento, un urlo e poi il rumore di un impatto. Chi stava guardando quella diretta – compresi i familiari di Schmieder – capì che probabilmente era morto. Facebook cancellò il video circa un giorno e mezzo dopo l’incidente (quelli delle dirette restano online anche dopo la fine della diretta), ma altre copie di quel video sono ancora in giro su internet, dove hanno avuto circa 2 milioni di visualizzazioni complessive.
Non ci sono prove del fatto che Schmieder morì perché distratto dalla diretta Facebook o per problemi legati alle GoPro che stava usando: il suo è però un recente e significativo esempio di una cosa più grande, ha scritto Outline. Secondo i dati raccolti dal sito di settore BLiINC, dal 1981 al 2004 sono morte 84 persone facendo BASE jumping, lo sport estremo che consiste in lanci con il paracadute o con tuta alare da montagne o costruzioni particolarmente alte. Dal 2004 a oggi le morti sono state 226. Erano 3,7 all’anno, ora sono 18,3. Il 2004 è l’anno in cui è stato fondato YouTube e quello in cui furono vendute le prime HERO, le videocamere indossabili di GoPro. Più in generale, negli ultimi anni la tecnologia ha reso migliori e più accessibili videocamere indossabili in ogni momento (le GoPro sono le più famose, ma non sono le uniche) e nello stesso periodo sono anche arrivate le possibilità di fare dirette su YouTube, su Facebook e da qualche mese su Instagram.
Le dirette video di cose estreme divennero famose soprattutto dopo che nel 2012 Red Bull – uno dei marchi che ha investito di più negli sport estremi – sponsorizzò il lancio di Felix Baumgartner, che si gettò da una capsula a 39 chilometri d’altezza e diventò il primo uomo a superare la barriera del suono a corpo libero (cioè fuori da un aeroplano), battendo il precedente record di altezza di un lancio in caduta libera. Il video fu registrato anche con alcune GoPro e fu visto in diretta online da più di otto milioni di persone.
Dopo quell’occasione ci sono stati altri casi famosi legati alla contemporanea presenza di nuove tecnologie per le riprese, nuovi strumenti per fare video in diretta e uno sponsor importante. A maggio National Geographic fece una diretta dalla (quasi) cima dell’Everest, GoPro ha sponsorizzato un volo con tuta alare sulla Grande muraglia cinese, a giugno gli alpinisti Adrian Ballinger e Cory Richards hanno raccontato su Snapchat la loro ascesa sull’Everest. Quasi ogni attività di sport estremo è ormai ripresa e in molti casi ben finanziata da importanti società. Per promuovere l’allora nuova possibilità di fare video in diretta, persino Facebook fece riferimento a un lancio con la tuta alare.
GoPro e RedBull sono le società che negli ultimi anni hanno investito di più nella ricerca, nella sponsorizzazione e nella produzione di video di sport estremi, ma anche altre importanti società – tra cui per esempio North Face e Mountain Dew – ci hanno messo sempre più soldi. I famosi atleti di sport estremi sono spesso chiamati “brand ambassador”, cioè portatori degli ideali “estremi” di quella società. Gli atleti meno famosi hanno capito che i video erano il modo migliore per costruirsi un seguito sui social, farsi notare e diventare quindi ipotetici “brand ambassador” a cui gli sponsor avrebbero potuto interessarsi. Come ha spiegato Rush Strugers, che ha 31 anni e si è fatto notare per i suoi video fatti mentre va con il kayak, spesso si può anche usare un video per far sembrare tutto più eclatante: «Alcuni degli atleti più seguiti in realtà sono solo quelli più bravi a creare contenuti. Alcuni sono bravissimi nell’illudere chi li segue, facendo credere di fare cose molto più fiche di quanto in realtà non facciano».
Ci sono quindi atleti che sembra facciano cose estreme e in realtà lo sono solo in parte, atleti che sono davvero esperti e fanno cose davvero estreme. Negli ultimi anni a loro si sono però aggiunti atleti non così eccezionali, che cercano di fare cose eccezionali per avere un seguito. Alcune società se ne sono accorte: nel 2014 Clif Bar – una società statunitense che vende cibi e bevande – smise di sponsorizzare atleti di arrampicata che erano noti per arrampicarsi senza imbracature e protezioni necessarie, spiegando: «Non ci sentiamo a posto nel trarre beneficio dalla quantità di rischio che certi atleti si stanno prendendo in certe aree dello sport in cui non c’è margine d’errore». Salomon, la società francese di attrezzature per lo sci e la montagna, ha da poco deciso di eliminare i meccanismi di pagamento basati sul numero di visualizzazioni dei video degli atleti che sponsorizza (che erano un incentivo a fare cose sempre più estreme).
Mick Knutson – che lavora per BLiINC e si occupa della lista dei morti durante il BASE jumping – ha spiegato a Outline che negli ultimi quattro anni almeno tre persone sono morte a causa delle videocamere (che hanno creato grovigli o complicazioni nel funzionamento e nell’apertura dei paracadute) e che in generale molti incidenti sono stati probabilmente causati dalla distrazione creata dal dover fare delle riprese durante il lancio. Secondo Knutson le dirette dei lanci hanno anche la colpa di far sembrare tutto facile: «Non hai la prospettiva [della preparazione e dell’esperienza necessarie al lancio], c’è solo il sensazionalismo».
Della questione si è occupato anche Jerry Isaak, professore della University of New York e autore di “Social Media and Decision Making in Avalanche Terrain“, un testo accademico che parla del «rapido avanzamento dei social media negli ambienti remoti» della conseguente «invisibile pressione, su molte persone dell’everywhereness». “Everywhereness” è una parola creata dallo scrittore Laurence Scott e si riferisce alla necessità di ubiquità, al desiderio di essere dappertutto, se necessario anche grazie alle tecnologie.