I migliori dischi del 2016

Abbiamo messo insieme le scelte e le classifiche dei più importanti siti di musica internazionali, tutti abbastanza d'accordo

Le classifiche dei migliori dischi dell’anno dei principali siti di musica internazionali sono piuttosto attese dagli addetti ai lavori, e sono soprattutto un ottimo momento per appassionati e lettori per fare il punto della situazione sulle uscite musicali dell’anno, sui musicisti e cantanti che si conoscono poco, magari perché fanno un genere diverso da quello che si ascolta normalmente, ma di cui si è parlato e si continua a parlare. Solitamente sono classifiche di 50 o 100 dischi, messi insieme da più critici, e quindi piene di spunti per cose nuove da ascoltare: ed è sempre divertente vedere qual è il cantante o il gruppo che non si conosce – ci sono sempre – più in alto in classifica.

Il 2016 è stato un anno particolare, perché sono usciti i dischi di alcuni degli artisti più di successo al mondo, tutti insieme: Beyoncé, Rihanna, Kanye West, Drake. E sono usciti anche i dischi di due dei più grandi cantanti rock di sempre, David Bowie e Leonard Cohen, che quest’anno sono anche morti. Le classifiche del 2016 quindi sono piene di “istituzioni”, ma contengono comunque alcune sorprese: Views di Drake per esempio non è stato messo ai primi posti da quasi nessuno, mentre praticamente tutti hanno messo tra i primi venti un disco di una cantante 26enne di origini giapponesi che conoscete solo se seguite con attenzione le nuove uscite musicali.

Abbiamo fatto una sintesi di quello che dicono i più autorevoli siti americani e britannici sui dischi dell’anno, e quindi abbiamo preso in considerazione le liste di PitchforkSpinNoisey, Rolling Stone, Consequence of SoundGuardian New York Times (che ne ha pubblicate tre, di tre critici diversi), e abbiamo calcolato quali sono i venti dischi che sono piaciuti di più su questi sette siti. Le sorprese e gli artisti che forse non conoscete – o conoscete poco – le trovate all’inizio, mentre dalla decima posizione in poi la lista comincia ad affollarsi di pesi massimi. Menzioni speciali per i dischi che non ce l’hanno fatta a entrare, ma di poco: Malibu di Anderson.Paak, untitled unmastered di Kendrick Lamar, Sirens di Nicolas Jaar, Hero di Maren Morris, The Weight On These Wings di Miranda Lambert, 99,9% di Kaytranada.

20. Young Thug, Jeffery 

Young Thug è il nome da rapper di Jeffery Lamar Williams, 25enne di Atlanta che ha iniziato a farsi notare nel 2014 per la sua voce particolare e per il suo approccio distintivo al genere: usa metriche spesso insolite, e varia molto il timbro che usa nelle canzoni. I suoi testi sono talvolta incomprensibili, perché si concentra più sulla musicalità dei versi che sul loro significato. Ha uno stile eccentrico e per la copertina del suo ultimo disco Jeffery ha indossato un abito da donna: una scelta insolita per l’hip hop, un genere che solo recentemente ha iniziato a superare i suoi problemi di maschilismo (presente comunque in alcuni testi di Young Thug, che per questo è stato accusato di incoerenza). Spin ha scritto che «quando Young Thug è al massimo della forma, esplodendo in ritornelli strillati, urlati e scoppiettanti, è puro e immediato con le sue esplosioni di energia. Forse non è mai stato così imprevedibile, e certamente non è mai stato così ispirato».

19. The 1975, I Like It When You Sleep, For You Are So Beautiful Yet So Unaware Of It

I 1975 sono una band di Manchester che suona insieme da quasi quindici anni e ha registrato il primo disco, The 1975, nel 2013. Allora girò soprattutto nel Regno Unito, ma con I Like It When You Sleep, For You Are So Beautiful Yet So Unaware Of It, uscito a febbraio, sono entrati nella classifica di Billboard. Le loro canzoni sono un po’ pop, un po’ rock, un po’ funk, con influenze soprattutto negli anni Ottanta, dai Talking Heads ai Police. Rolling Stone li ha definiti «gli INXS della generazione di Snapchat», spiegando che «i testi ammiccanti del leader Matthew Healy e la capacità degli altri membri della band di tenere gli occhi sulla melodia, anche quando passano da un genere all’altro, li rendono particolarmente frizzanti».

18. Car Seat Headrest, Teens of Denial

I Car Seat Headrest sono una band americana, il cui leader è il 24enne Will Toledo. Suonano insieme da qualche anno e hanno già registrato molti dischi, ma si sono fatti un nome con l’ultimo Teens of Denials, che è finito al quarto posto della classifica di Rolling Stone, e che secondo Noisey piacerà allo stesso modo ai fan dei Talking Heads, dei Weezer e di Leonard Cohen, perché ha testi molto efficaci e originali, che vanno molto d’accordo con la musica. «Le canzoni tendono a espandersi, ma raramente sono ripetitive: non stufano mai e sono inaspettatamente stratificate e complesse: una traccia nascosta di chitarra slide, un’armonia distorta, o un terzo significato in qualche gioco di parole che probabilmente capirete solo quando avrete memorizzato i testi».

17. Blood Orange, Freetown Sound

Blood Orange è uno dei nomi con cui è conosciuto Dev Hynes, cantante e polistrumentista britannico che suonava nei Test Icicles, prima di iniziare la carriera solista con il nome Lightspeed Champion e poi Blood Orange, rimanendo sempre a metà tra il pop e l’R&B. È nei giri che contano da quasi dieci anni, e ha scritto canzoni per Solange Knowles, FKA twigs e per i Chemical Brothers, tra gli altri. Freetown Sound, secondo Pitchfork, è un disco che «ravviva generi ed epoche passate, persone emarginate e culture dimenticate». Consequence of Sound invece ha scritto che è un disco che «cammina in bilico» tra il tentativo di fare un’opera d’arte e l’album da classifiche, ma «non sembra mai ampolloso né schiacciato da se stesso».

16. Danny Brown, Atrocity Exhibition

Danny Brown è una figura atipica nell’hip hop contemporaneo: negli anni si è costruito l’immagine di rapper introverso e mezzo matto, con i suoi testi pessimisti ed espliciti, le basi complesse e a volte cacofoniche, e la sua voce stridula e strozzata. Atrocity Exhibition è il suo miglior disco finora, secondo la maggior parte dei critici, e uno dei migliori dischi hip hop dell’anno. Il Guardian dice che ha dimostrato di saper scrivere canzoni molto popolari ma anche di fare cose «che nessun altro rapper prova a fare», mentre secondo Pitchfork i suoi testi «che passano dallo humor nero all’horror fanno sentire meno solo chi li ascolta».

15. Mitski, Puberty 2 

Mitski è una cantante 26enne di origini giapponesi, che da piccola si è spostata per mezzo mondo con la sua famiglia, dalla Cina al Congo, prima di trasferirsi a New York. Del suo disco del 2014 Bury Me at Makeout Creek avevano parlato benissimo un sacco di siti e giornali, tra cui il New York TimesRolling Stone, e Puberty 2 è stato uno dei dischi più sorprendenti dell’anno. Secondo Pitchfork è un «caso di studio della condizione moderna», con i suoi «testi ovattati sull’instabilità emotiva e gli affitti non pagati». John Caramanica del New York Times l’ha definito «un disco punk commovente e a volte straziante, nel quale la meditazione incontra la distruzione».

14. Nick Cave and the Bad Seeds, Skeleton Tree

Durante le registrazioni di Skeleton Tree, il sedicesimo disco in studio di Nick Cave con i Bad Seeds, il figlio 15enne di Cave è morto cadendo da una scogliera. La maggior parte delle canzoni era già stata scritta, ma Cave ha cambiato diversi testi inserendo riferimenti al suo momento di lutto. Il disco è quindi molto cupo, anche nella musica, nella quale Cave ha usato sintetizzatori e drum machine. Pitchfork ha scritto che «con la sua arte, Cave ha provato a tirare fuori qualcosa di buono dal male. Una cosa non potrebbe esistere senza l’altra: questo suo disco, il più doloroso e umano, è pieno di amore e spiritualità».

13. Angel Olsen, My Woman

Angel Olsen è una cantante americana di 29 anni, diventata famosa per il suo disco del 2014 Burn Your Fire for No Witness, che era stato apprezzato dalla critica. Con My Woman Olsen ha però rinnovato parecchio il suo stile, che prima era molto legato al folk e all’indie rock e ora è diventato invece molto più pop, a partire dal video di “Shut Up Kiss Me”. Questa trasformazione è stata affrontata con una certa autoironia dalla stessa Olsen, e ha funzionato: secondo la maggior parte dei critici My Woman è più centrato, ambizioso e coerente del disco precedente.

12. Rihanna, Anti

Secondo Pitchfork, con Anti Rihanna «ha fatto finalmente un grande disco, invece di una raccolta di hit contemporanee circondate da riempitivi». Anche a Noisey il disco è piaciuto particolarmente (l’ha messo al quarto posto della sua classifica), spiegando che le prime quattro canzoni (di cui una è teoricamente un interludio, un breve brano che collega due canzoni) «potrebbero essere il fulcro di qualsiasi altro disco». “Consideration”, “James Joint”, “Kiss It Better” e “Work” sono secondo Noisey «la miglior sequenza di canzoni di qualsiasi disco di quest’anno». Secondo il GuardianAnti è il primo disco con cui Rihanna «è riuscita ad allineare la sua musica alla sua vera natura ribelle».

11. Leonard Cohen, You Want it Darker

Leonard Cohen ha registrato You Want It Darker in casa, perché non poteva più entrare in uno studio a causa dei suoi problemi di salute. È morto lo scorso 7 novembre, per le conseguenze di una caduta, e secondo Rolling Stone il disco è «l’estremo e inquietante lavoro di un uomo che sa che la sua fine è vicina». I testi secondo il Guardian sono «affascinanti e contrastanti come non mai», e anche le sonorità sono a volte «portate in posti che Cohen non aveva mai esplorato». Jon Pareles del New York Times ha scritto che «tutti i versi potrebbero essere le sue ultime parole».

10. Bon Iver, 22, A Million

22, A Million è il terzo disco dei Bon Iver, la band del cantante americano Justin Vernon, ed è piuttosto diverso dai primi due: è meno acustico, più vario e con strumenti prima poco usati, come i synth e il vocoder, l’apparecchio digitale spesso usato per rendere “robotica” la voce dei cantanti. Secondo il Guardian, il disco «rappresenta il punto in cui queste idee più sperimentali [di Vernon] prendono completamente il controllo della sua musica». Pitchfork ha scritto che nonostante queste trasformazioni «le sue cifre stilistiche rimangono intatte anche nei punti più deformati del disco, specialmente la sua rara abilità di trasformare i ritmi naturali del respiro e dei discorsi in melodie intense».

9. ANOHNI, Hopelessness

https://www.youtube.com/watch?v=Fi0q0O4V5Qs

Anohni è il nome d’arte di Antony Hegarty, cantante transgender britannica conosciuta precedentemente come Antony and the Johnsons. Hopelessness è il primo disco che pubblica con il nome di Anohni, che usa da anni nella vita privata, ed è molto diverso dai dischi degli Antony and the Johnsons: le sonorità e i testi sono più aggressivi, e ci sono più influenze nella musica elettronica. Il disco parla di guerra con i droni, di Guantanamo, di pena di morte e dei cambiamenti climatici, e secondo il Guardian dimostra che «la musica politicizzata nel 2016 può essere stimolante e provocatoria».

8. A Tribe Called Quest, We Got It From Here… Thank You 4 Your Service

Gli A Tribe Called Quest sono uno storico gruppo hip hop degli anni Novanta, che si era sciolto nel 1998 dopo diversi litigi tra alcuni dei membri. We Got It From Here… Thank You 4 Your Service, uscito a novembre, è il loro primo disco da allora; ci hanno lavorato un sacco di artisti famosi, da Jack White a André 3000 a Kendrick Lamar a Kanye West a Elton John, oltre ai membri storici Q-Tip, Jarobi White e Phife Dawg, che è morto a marzo, prima che il disco uscisse. Pitchfork l’ha definito «un miracolo che il 2016 forse non meritava», e «una cavalcata finale verso il tramonto, per il gruppo rap più amato di sempre». Sono piaciuti molto i testi attuali e impegnati, mentre dal punto di vista musicale il gruppo è rimasto soprattutto nel solco dei vecchi dischi (che sono considerati pilastri dell’hip hop).

7. Solange, A Seat at the Table

A Seat at the Table di Solange Knowles, la sorella minore di Beyoncé, è finito al primo posto delle classifiche di PitchforkSpinNPR. Il secondo ha scritto che «le principali artiste afroamericane hanno pubblicato progetti identitari nel 2016 – Beyoncé, Rihanna, Alicia Keys – ma è stata Solange che ha sommessamente stabilito un punto di riferimento al movimento, con un disco che è arrivato come un dono. In un anno in cui la stabilità emotiva è sembrata per lo più inafferrabile, e il pessimismo ha prevalso e ci ha trascinato, Solange ha offerto un sollievo senza tempo, in forma di terapia di gruppo». Secondo il Guardian il disco ha dimostrato che «il pop-R&B può contemporaneamente avere un messaggio e vendere», mentre Pitchfork ha scritto che «nel 2016, quando può sembrare un gesto radicale pubblicare un disco che cataloga le sfumature di essere una donna afroamericana, Solange lo ha fatto con un’onestà spiazzante».

6. Kanye West, The Life of Pablo

The Life of Pablo di Kanye West era uno dei dischi più attesi dell’anno, e come spesso è capitato con i progetti del rapper più famoso del mondo ha avuto una storia complicata. Pitchfork scrive che «potrebbe essere un capolavoro, ma se lo è, è un capolavoro sgraziato», citando «le canzoni troppo lunghe, quelle in cui Kanye a malapena si sente», ma anche i «momenti perfetti disseminati molto, molto profondi nella tracklist». Jon Caramanica del New York Times l’ha scelto come disco dell’anno, definendolo «un disco grandioso e caustico sulla grazia: sul trovarla, sul pregarla e sul perderla» e dicendo che West è l’unico rimasto che «di volta in volta fissa con risolutezza – a suo stesso pericolo – il prezzo dell’audacia». Secondo il GuardianThe Life of Pablo è un disco che rispecchia «quello che è sembrato essere lo spirito del 2016: volatile, inaspettato e storico. TLOP non è il disco più influente di West (808s & Heartbreak), né il suo più coerente (My Beautiful Dark Twisted Fantasy) o innovativo (Yeezus), ma è stata la cosa più vicina a un compendio perfetto della sua carriera che ci sia mai stata: un casino infinitamente affascinante, disseminato spesso di colpi di genio».

5. Radiohead, A Moon Shaped Pool

L’ultimo disco dei Radiohead, A Moon Shaped Pool, non è finito in cima a nessuna delle liste che abbiamo considerato, ma in quasi tutte è nelle prime posizioni. Secondo Rolling Stone «potrebbe essere il disco più affascinante dei Radiohead, pieno di pianoforti e violini e decorazioni di chitarre acustiche che sembrano uscite da Led Zeppelin III». Secondo Spin è stato il loro disco migliore in 15 anni, dai tempi di Kid A, mentre secondo Nate Chinen del New York Times il gruppo «raramente è sembrato così sicuro della sua forza», lodando gli arrangiamenti orchestrali a cui ha lavorato il chitarrista Jonny Greenwood. Pitchfork ha scritto che «dopo otto album di labirinti e paranoia e tane del coniglio, i Radiohead ci hanno finalmente fatti entrare».

4. Frank Ocean, Blonde

https://vimeo.com/179791907

Con un solo disco, channel ORANGE del 2012, Frank Ocean si è affermato come uno degli artisti più promettenti della scena hip hop e R&B: da allora però non ne aveva pubblicati altri, fino a quest’anno. È stato il disco dell’anno secondo Noisey, ed è arrivato secondo nelle classifiche di PitchforkGuardianSpin, che ha scritto che «campionando e ispirandosi a icone musicali di diverse generazioni, come David Bowie, i Beatles, Kanye West e Kendrick Lamar, si è rivelato dal punto di vista emotivo, mantenendo però un alone di mistero». Noisey invece ha scritto: «In un anno in cui è sembrato che niente fosse reale, Frank ha fatto un disco sul concetto di realtà. (…) Nei suoi alti e bassi, Blonde sembra semplicemente strano – una raccolta cucita insieme di mezzi pensieri e frasi dette attraverso differenti forme di voci processate. Non si preoccupa di dire cose piene di pathos o frasi a effetto, ma anzi mette insieme tutte le dissonanze che sente, offrendo un ritratto bizzarro di come funziona la mente umana, e in particolare la mente di un millennial».

3. Chance the Rapper, Coloring Book

Chance the Rapper (nome d’arte di Chancelor Johnathan Bennett) è stato probabilmente la più grande rivelazione dell’anno: è dal 2013 che si parla di lui, ma in pochi pensavano che potesse arrivare così in fretta a piazzare un suo disco ai primi posti di praticamente tutte le classifiche importanti. Ha 23 anni ed è di Chicago (è amico di famiglia di Barack Obama), e fa un rap molto soul e orecchiabile, ispirato a Kanye West e Frank Ocean. Per Coloring Book ha collaborato con lo stesso West e con altri importanti rapper, tra cui Lil Wayne e Young Thug. Spin ha scritto che «lo sfrenato ottimismo del disco non è nauseante, non ti lascia in imbarazzo per la sua ingenuità. Ti fa venire voglia di unirti a lui e di iniziare a ballare». Noisey ha fatto notare che a volte sembra che Chance the Rapper metta quattro idee diverse in una sola canzone, e scrive che è diventato una superstar senza neanche un contratto discografico (Coloring Book è tecnicamente un mixtape, cioè un album pubblicato più per autopromozione che per guadagnare).

2. David Bowie, Blackstar

L’ultimo disco di David Bowie è uscito due giorni prima della sua morte, ed è finito ai primi posti di praticamente tutte le classifiche, un po’ come tributo a uno degli artisti più importanti del Novecento un po’ perché è un gran disco. Jon Pareles ha scritto che non è una summa della sua carriera ma «un’ultima metamorfosi», mentre secondo Rolling Stone «non c’è mai stato un addio musicale come Blackstar». Pitchfork ha scritto che è uno dei migliori dischi di sempre di Bowie, mentre secondo Noisey il disco che esce in corrispondenza della morte sembra un cliché, ma solo perché «è stato lui a inventare i cliché».

1. Beyoncé, Lemonade

Lemonade è stato il disco dell’anno secondo Rolling Stone, il GuardianConsequence of Sound e secondo Jon Pareles del New York TimesPitchfork ha scritto che nonostante non sia un disco politico, come vorrebbe la tradizione alla “Blowing in the Wind”, «sembra comunque una chiamata alle armi». Secondo il Guardian il disco, insieme al film che lo ha accompagnato, è «un’opera audiovisiva mozzafiato», mentre Spin ha scritto che chi dice che Beyoncé ha iniziato a guadagnarsi meriti artistici solo con gli ultimi due dischi non si era accorto di quelli prima. Noisey ha scritto comunque che è il suo disco più personale, per via dei riferimenti al tradimento di suo marito Jay Z, e l’ha definito «provocatorio e politico, una riflessione sul suo essere afroamericana nell’attuale contesto culturale del pop, che esplora la storia dei neri in America attraverso il pop, il rock, il country e il blues». Secondo Rolling Stone, anche David Bowie sarebbe stato il primo a definirlo il disco dell’anno.