Beppe Sala si è disautosospeso
Il sindaco di Milano ha scritto su Facebook che torna a fare il sindaco di Milano, anche se l'indagine resta
Beppe Sala, sindaco di Milano, tornerà a ricoprire il suo incarico dopo alcuni giorni di “autosospensione”, seguita alla notizia di un’indagine sul suo conto della procura di Milano. Sala ha scritto su Facebook che non ha voluto dare una risposta «normale e scontata» a quella notizia e che non è normale che il sindaco di Milano apprenda di un’indagine dalla stampa. «Ho scelto una via diversa, irrituale. Ho deciso di autosospendermi poiché su un punto non si può transigere: un professionista, un uomo d’azienda e, tanto più, un amministratore pubblico hanno nell’integrità morale l’elemento insostituibile della propria credibilità. Ne va della dignità personale e della concreta possibilità di agire nell’esclusivo interesse dei cittadini». Sala ha aggiunto però di aver parlato con la procura, che ringrazia, e di aver fatto verifiche con i suoi legali che «hanno chiarito sufficientemente il merito dell’indagine e l’inesistenza di altri capi di imputazione». E per questo torna a fare il sindaco.
Giuseppe Sala aveva deciso di autosospendersi dalla carica di sindaco di Milano cinque giorni fa, dopo aver saputo sui giornali di essere stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura generale nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta “Piastra dei servizi”, un pacchetto di lavori preparatori per Expo 2015. Secondo diversi giornali, i reati che riguarderebbero Sala, ex commissario unico di Expo, sarebbero concorso in falso ideologico e falso materiale. L’autosospensione è prevista dal regolamento del comune ed è valida quando viene formalizzata con il Prefetto: l’autosospensione porta a una rinuncia da parte del sindaco ai suoi poteri, che passano al vicesindaco, ha una durata limitata nel tempo e permette di evitare lo scioglimento del Consiglio comunale (che viene invece causato dalle dimissioni del sindaco).
L’inchiesta è coordinata dal sostituto procuratore generale di Milano Felice Isnardi, dopo che a fine ottobre la procura generale aveva assunto la competenza dell’indagine iniziata nel 2012 togliendola alla procura, che invece ne aveva chiesto l’archiviazione. La richiesta di archiviazione non era stata accolta dal gip Andrea Ghinetti, che aveva deciso di convocare le parti per la discussione e poi stabilire se archiviare o chiedere ulteriori indagini. La procura generale aveva poi avocato il fascicolo ottenendo un mese di tempo per un primo approfondimento, e chiedendone qualche giorno fa altri sei per fare nuove indagini. Il prolungamento dell’indagine ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di altre persone, tra cui Giuseppe Sala.
L’inchiesta riguarda in particolare l’aggiudicazione all’impresa Mantovani, con un ribasso del 42 per cento rispetto alla base d’asta che era di 272 milioni di euro, dell’appalto per i lavori preparatori sull’area di Expo necessari per poi costruire i padiglioni. L’impresa Mantovani si era aggiudicata la gara per 149 milioni di euro, cifra che secondo la Procura non era congrua con i prezzi di mercato. Nel 2014 gli investigatori del Nucleo di polizia tributaria avevano scritto nel fascicolo delle indagini che l’assegnazione dell’appalto era avvenuta «in un contesto di evidente illegalità». I reati contestati a Giuseppe Sala, falso materiale e falso ideologico, riguardano l’alterazione o contraffazione di atti pubblici, nel primo caso, e l’attestazione in atti pubblici (che quindi non risultano alterati) di fatti non veritieri, nel secondo.
Il Corriere della Sera aveva ricostruito concretamente qual è l’accusa che viene fatta a Sala:
Il sostituto procuratore generale Felice Isnardi indaga Sala per quella ipotesi di falso che già anni fa era stata proposta da un rapporto della Guardia di finanza sulle modalità-lampo con le quali Expo nel maggio 2012 sostituì un componente della commissione aggiudicatrice dell’appalto sulla «Piastra» a causa di un potenziale profilo di incompatibilità: modalità-lampo finalizzate ad abbreviare la tempistica che altrimenti, con una procedura standard, avrebbe fatto slittare fuori tempo massimo l’avvio dei lavori, e conseguentemente messo a repentaglio l’apertura di tutta Expo 2015. Gli investigatori avevano cioè evidenziato la difformità tra una serie di telefonate intercettate il 30 maggio 2012 su come sostituire quel membro, e invece la data apparente del provvedimento di annullamento della nomina dei commissari, 17 maggio 2012, «giacché è palese — scriveva la Gdf — la retrodatazione».
Ma i pm non avevano indagato né Sala né altri per questa vicenda ritenendo che la retrodatazione costituisse una sorta di «falso innocuo», che cioè non avrebbe né sfavorito né favorito alcuno dei partecipanti.