Ok, le bufale, ma poi c’è anche l’informazione tradizionale
Nonostante la tendenza a prendersela con i siti specializzati in notizie false, i giornali sono corresponsabili della disinformazione, scrive Barton Swaim sul Washington Post
di Barton Swaim – The Washington Post
Negli Stati Uniti l’arresto dell’uomo che era entrato armato nella pizzeria Comet di Washington, nella speranza di smascherare l’inesistente rete di pedofili del Partito Democratico americano al centro del cosiddetto “Pizzagate”, ha fatto diventare le notizie false una delle prime cose di cui preoccuparsi nella strana nuova era di Donald Trump. “Notizie false” è il termine con cui oggi molti giornalisti definiscono le storie inventate che circolano su Internet, molte delle quali nate su siti russi e dell’est Europa. Il caso della pizzeria ha spinto molti di loro a concludere che la diffusione di voci false online sia una minaccia alla repubblica.
Secondo quello che pare essere il ragionamento, per prima cosa questa nuova e creativa forma di disinformazione ci avrebbe dato Trump: tutte quelle storie su Facebook secondo cui Hillary Clinton sarebbe affetta dal morbo di Parkinson e Barack Obama sarebbe musulmano hanno avvelenato abbastanza menti da cambiare l’esito di un’elezione presidenziale. Come se tutto questo non fosse già abbastanza terribile, ora questo fenomeno spinge dei folli armati a entrare in pizzerie frequentate da bambini. Di sicuro, i timori intorno alle bugie nella nostra vita politica non sono infondati. Internet trabocca di invenzioni assurde, soprattutto in periodo di elezioni (“In un magazzino dell’Ohio sono state trovate delle scatole piene di voti contraffatti per Clinton!“; “La Casa Bianca dice ai reduci di Pearl Harbor di “farsene una ragione”), capaci di confondere persone benintenzionate.
Le notizie false sono un problema reale, certo, ma spesso l’ansia che hanno generato nei mezzi d’informazione sembra motivata da ragioni diverse da una semplice preoccupazione per la verità. Tormentandosi per le “notizie false”, spesso i giornalisti sembrano dare a persone senza nome la colpa dei fallimenti nel settore dell’informazione, ampiamente considerato inaffidabile. Non è colpa nostra – sembrano dire alcune persone nel settore – ma di alcuni truffatori adolescenti in Romania. Per contro, l’aggettivo qualificativo “false” suggerisce che le notizie che non sono “false” debbano essere automaticamente vere: autentiche, veritiere, basate sui fatti. Ma ovviamente le cose non stanno così. Chiunque di noi, a prescindere dalle sue posizioni politiche, ha letto notizie che considera sostanzialmente false, imprecise o avventate nelle fonti d’informazione tradizionali. Questo rende i giornalisti che hanno scritto quegli articoli autori di “notizie false” o “bufale”? No, dal momento che stavano provando, per quanto in modo imperfetto, a riportare la verità. Ma non è una gran consolazione per le persone e le istituzioni che sono state danneggiate da storie false o imprecise, che infatti hanno in un certo senso il diritto di deridere l’uso attuale dell’espressione “notizie false”.
Prendiamo in considerazione il problema con questa domanda: è più pericoloso l’articolo completamente inventato che quel vostro zio scontroso condivide su Facebook o l’articolo letto su una rispettabile fonte d’informazione che contiene un’affermazione pesante e sostanzialmente falsa? A modo suo la storia inventata che fa arrabbiare vostro zio è pericolosa, ma è poco probabile che influenzi l’opinione di qualcun altro su quell’argomento specifico. Le uniche persone inclini a credere al titolo-bufala “Trovato morto l’agente dell’FBI sospettato di aver trafugato le email di Hillary, in quello che sembra essere un omicidio-suicidio” sono quelle che già odiano Hillary Clinton. La storia potrebbe intensificare l’odio, ma probabilmente non altera opinioni o schieramenti. La notizia falsa o imprecisa pubblicata da un giornale tradizionale, invece, fa l’esatto contrario. È possibile che quell’articolo contenga in prevalenza affermazioni vere ma è comunque costruito su una premessa smaccatamente falsa. O forse in una riga chiave allude molto più di quanto consentano i fatti. O ne presenta un’interpretazione tendenziosa.
Prendete questa frase pubblicata la settimana scorsa dal New York Times sulla rottura tra i deputati Repubblicani e Donald Trump sulle politiche commerciali del nuovo presidente americano: «Trump ha ribadito ripetutamente che gli accordi commerciali hanno portato al licenziamento di lavoratori americani e hanno danneggiato l’economia, sovvertendo due secoli di politiche economiche americane che hanno presentato il commercio come una cosa positiva, una posizione che negli ultimi decenni è stata sostenuta dai Repubblicani». La seconda metà della frase (a) implica che Trump non sia contrario solamente agli accordi commerciali svantaggiosi per gli Stati Uniti, ma al commercio in sé, e (b) suggerisce che le politiche americane abbiano costantemente favorito il libero commercio negli ultimi 200 anni. Entrambe le affermazioni sono false, ma un lettore disattento potrebbe facilmente assorbirne una o entrambe senza rendersene conto, vista la sottigliezza dell’informazione sbagliata e l’autorevolezza della fonte.
Non conosco le opinioni della giornalista che ha scritto l’articolo in questione, ma il tono del pezzo mi porta a sospettare che la sua avversione per Trump l’abbia spinta a prendersi la licenza di interpretare le sue frasi nella peggiore luce possibile, anche a scapito del buon senso e della verità fondata sui fatti. Questo – il costante pericolo che deriva dal permettere alla nostre simpatie e antipatie di determinare le nostre interpretazioni dei fatti – è quello che i giornalisti tradizionali che si preoccupano delle “notizie false” non hanno ancora capito. La distinzione superficiale e netta tra quello che è vero e quello che è falso, i fatti e le invenzioni, la verità e le bugie, induce a pensare che i giornalisti tradizionali americani siano incapaci di cogliere l’importanza dell’interpretazione. Non esistono fatti che non vengano interpretati, e i giornalisti interpretano i fatti tanto quanto li riportano. Ho il sospetto che una delle ragioni principali per le quali così tanti americani prediligano voci sconvolgenti su internet alle notizie tradizionali sia la loro insofferenza verso la pretesa da parte dei giornalisti che le loro affermazioni implichino soltanto la verità, solo fatti che non sono stati mediati dalle opinioni o dalla faziosità. Gli americani potranno anche farsi ingannare di tanto in tanto, ma non sono così ingenui. L’ascesa delle notizie false, semmai, è un atto di accusa contro le redazioni americane: ma dubito che le redazioni la interpreteranno in questo modo.
© 2016 – The Washington Post