I critici non sanno come prendere “The OA”
È la nuova serie di Netflix, di sicuro una delle più strane: anche quelli che lo fanno di lavoro hanno avuto difficoltà nel giudicarla
The OA è una serie tv di otto episodi, su Netflix dal 16 dicembre. Ci è arrivata pochi giorni dopo che il suo trailer è stato messo online a sorpresa: si sapeva che era in lavorazione ma non c’erano molte informazioni a riguardo e non ci si aspettava che la serie sarebbe stata disponibile così presto. The OA è stata creata da Brit Marling e Zal Batmanglij (il regista di The East, in cui Marling è co-sceneggiatrice e attrice protagonista) ed è molto, molto strana. Le premesse sono da thriller psicologico, gli sviluppi sono incasinati, strambi e variegati. The OA è così strana che molti critici hanno scritto di essersi trovati in difficoltà nel recensirla. Netflix ha scritto che The OA «offre agli spettatori un’esperienza unica, che reinventa il formato narrativo di lunga durata». Qui sotto trovate cose da sapere per decidere se vederla o no, SENZA SPOILER. Anche perché come capirete leggendo o guardandola, sarebbe una serie piuttosto difficile da spoilerare.
Le basi: i primi minuti del primo episodio
Brit Marling oltre che co-creatrice è anche la protagonista di The OA: interpreta Prairie Johnson, una ragazza cieca che dopo sette anni torna nel paese in cui era cresciuta, dopo aver riottenuto la vista. Non si sa cosa sia successo nel frattempo e lei non ha nessuna intenzione di parlarne; quando accenna delle risposte dice cose strane, che sembrano non avere senso. Prairie dice di chiamarsi “The OA” (PA in italiano): rifiuta però di spiegare il perché. Il primo episodio dura circa 70 minuti. Per darvi l’idea della stranezza della serie, gli episodi non hanno una durata fissa: l’ultimo episodio dura 50 minuti e il sesto 31. Tra l’altro il primo episodio inizia con delle sgranate riprese fatte da un cellulare, in verticale; i titoli di testa ci sono, ma non quando ve li aspettereste. Se invece siete curiosi di sapere qual è il film di cui si parla nel primo episodio è Delitto per delitto, un famoso film del 1951 di Alfred Hitchcock. Il titolo originale è Strangers on a Train.
Le recensioni
Dopo il primo episodio potrebbe capitarvi di voler vedere subito il secondo e se c’è tempo anche tutti gli altri, oppure già dal primo potreste iniziare a provare fastidio per le stranezze di The OA: in questo caso sappiate che più la serie va avanti e più quelle stranezze aumentano.
La maggior parte dei critici che ha recensito The OA ha avuto problemi anche solo a definirne il genere, a dire a cos’altro assomiglia. Dopo il trailer a qualcuno ha ricordato Stranger Things più che altro perché rientrava nella categoria “storia ambientata in un piccolo paesino degli Stati Uniti in cui improvvisamente succede qualcosa di strano e forse soprannaturale”. Nelle puntate successive qualcuno ha notato somiglianze con Black Mirror, perché inquietante e, per definizione di Netflix, “spiazzante”. Qualcuno vedendolo potrebbe pensare a Westworld, per il semplice fatto che non è una serie tv che si può guardare facendo altro e che dopo aver visto un episodio si deve convivere con un sacco di domande senza risposta.
Non è nessuna delle tre cose. Ma è comunque difficile dire cos’altro possa essere.
Daniel Fienberg di Hollywood Reporter ha scritto che gli ha ricordato un po’ Linea mortale – un film horror del 1990, con Julia Roberts e Kevin Bacon – e le cose più pretenziose di Sense8, la serie tv su otto personaggi che non si conoscono e vivono in diverse parti del mondo ma che scoprono di essere interconnessi a livello emotivo e sensoriale. Todd VanDerWerff di Vox ha scritto che la serie sembra una di quelle cose di cui si parla per scherzo durante BoJack Horseman, o una di quelle cose di cui Jack Donaghy parlerebbe in 30 Rock. «Altre volte sembra che i co-creatori Brit Marling e Zal Batmanglij abbiano parlato della trama di Lost con un viaggiatore nel tempo, in un parco a tema sul “mondo che finisce dopo l’anno 2000”, solo che Marling e Batmanglij erano strafatti e il giorno dopo si sono ricordati di scrivere solo parte della conversazione». Marina Pierri ha scritto su Wired :
The OA vi ricorderà “The Leftovers”, “Biancaneve e i sette nani”, il cinema gelido di David Fincher, “Westworld”, il cinema teso di Alfred Hitchcock, il cinema allucinato di Tim Burton, “Doctor Strange”, “Sense8”, “Frozen”, “Fringe”, “La vita è meravigliosa” e tutto quel che il vostro archivio audiovisivo mentale pertinente ai generi del dramma più duro e realistico, della fiaba, della fantascienza, del fantasy e del thriller riesce a evocare. Tutto assieme? Sì
Per chi dovesse essere comprensibilmente confuso, VanDerWerff ha anche scritto: «La cosa importante è che The OA non è descrivibile. Parlarne è come rubare un po’ della sua stramba forza. Non posso dirvi con precisione se questa serie mi è piaciuta o no. Non lo so nemmeno io. Ci sono cose che mi sono piaciute. Altre le ho odiate. Ma mi è piaciuto guardarla perché non riuscivo a credere che fosse una vera serie tv». VanDerWerff è anche entrato più nel dettaglio, spiegando le stramberie della trama (se non temete SPOILER o l’avete già vista tutta, sono qui). Prima di spiegare la trama si è però sentito in dovere di fare una precisazione: «Ve lo giuro. Anche quando sembra che mi stia inventando cose, non è così». In effetti se doveste vederla tutta e andare al bar a spiegarla a uno che non l’ha vista, sarebbe un’esperienza quantomeno bizzarra. VanDerWerff ha però scritto che la serie è troppo strana perché chi la guarda possa fare un’efficace “suspension of disbelief”, quella cosa che si studia nei corsi universitari di cinema e si riferisce, per farla breve, alla quantità di cose-strane a cui uno spettatore (o un lettore) può accettare per vere e in qualche strano modo percepire come plausibili.
L’Economist ha scritto che The OA mostra, insieme a Stranger Things, che Netflix ha una grande “ambizione creativa” ed ha apprezzato il fatto che la serie «oscilli tra l’essere fantascienza, horror, dramma familiare e storia romantica e adolescenziale». Secondo l’Economist è un bene che Netflix possa e voglia sfruttare la sua grandezza e la sua forza commerciale per permettersi di produrre anche cose di nicchia, e non solo cose costose e “per il grande pubblico” come The Crown. Anche Fienberg di Hollywood Reporter ha scritto che nonostante la visione della serie l’abbia lasciato “frustrato e infelice”, Netflix merita stima e complimenti per il coraggio avuto nel produrre The OA. Fienberg ha apprezzato molto che Netflix abbia «dato una manciata di soldi a una coppia di autori indie dicendogli “fateci qualcosa di strambo” senza nessuna garanzia su quello che avrebbe ottenuto”. Fienberg ha scritto:
E credetemi, quando guarderete The OA vi renderete conto che i dirigenti di Netflix hanno davvero chiuso i loro occhi e incrociato le dita sperando che quella cosa avrebbe funzionato. Per me non ha funzionato e non posso consigliarvi di vedere la serie tv, anche se so che c’è una nicchia di pubblico a cui piacerà tantissimo.
Sonia Saraiya di Variety è stata ancora più estrema e ha scritto che «non c’è niente nella serie che abbia senso», ma ha apprezzato la regia e la recitazione di molti dei sui attori. Secondo Saraiya, «The OA è eccitante come “esercizio visivo”, ma se la si tratta come quell’altra cosa che è – una serie tv – è un particolarmente criptico tentativo di dire qualcosa che abbia un senso».