Si continua a negoziare su Aleppo
La battaglia è già stata vinta dal regime di Assad, ora governo e ribelli hanno trovato un nuovo accordo sui territori da evacuare
Sabato mattina è stato raggiunto un nuovo accordo – il terzo in pochi giorni – per completare l’evacuazione di quei pochi territori ad Aleppo orientale ancora sotto il controllo dei ribelli che combattono il regime del presidente siriano Bashar al Assad. La notizia è stata confermata sia dal governo siriano che dai ribelli. Non si conoscono con precisione i dettagli dell’accordo: Reuters scrive che è stata inclusa l’evacuazione di due città a maggioranza sciita che da tempo sono assediate dai ribelli – al Foua e Kefraya – e la possibilità per i feriti di due città assediate dalle forze alleate ad Assad vicino al confine con il Libano – Madaya e Zabadani – di avere un passaggio sicuro per andarsene. Il raggiungimento di un accordo che include al Foua e Kefraya è stato inoltre confermato dalla televisione legata ad Hezbollah, il gruppo sciita libanese che sta combattendo in Siria a fianco del regime di Assad.
Reuters ha scritto che il caos che si è creato attorno all’evacuazione di Aleppo orientale «riflette la complessità della guerra civile siriana», dove stanno combattendo moltissimi gruppi diversi, ciascuno con i propri interessi e i propri sponsor internazionali. L’ultimo accordo era stato sospeso venerdì mattina dopo diverse accuse reciproche tra ribelli e governo. Secondo i ribelli, le milizie sciite schierate con Assad – cioè quelle che hanno guidato le operazioni militari ad Aleppo ma che non sono formate da siriani – hanno sparato contro un convoglio che stava evacuando i civili. Un altro rappresentante ribelle, Farouk Abu Bakr, ha detto che le forze di Assad hanno fermato “centinaia di persone” che stavano cercando di lasciare la città. Secondo il governo, l’accordo precedente sarebbe saltato perché i ribelli avrebbero ricominciato a sparare contro le forze di Assad. Altre fonti hanno invece parlato di un rifiuto di Jabhat Fateh al Sham (il gruppo prima conosciuto come Jabhat al Nusra, la divisione siriana di al Qaida) di permettere l’evacuazione delle due cittadine sciite assediate dai ribelli, Fua e Kefraya, nella provincia di Idlib. L’Osservatorio siriano dei diritti umani, organizzazione filo-ribelli con sede a Londra, dice che in queste due cittadine ci sono circa 20mila civili e 4.500 combattenti filo-governativi.
Durante la conferenza di fine anno tenuta venerdì sera, Barack Obama ha detto che la guerra in Siria – iniziata quasi sei anni fa – è stata una delle questioni più difficili che ha dovuto affrontare durante gli anni della sua presidenza, ma ha anche difeso la sua scelta di non essere intervenuto in maniera più massiccia. Riferendosi ad Aleppo, il giornalista Ben Hubbard ha scritto sul New York Times: «Non è la prima vittoria che Assad si è garantito con una forza molto superiore nel conflitto siriano, ma il suo assoggettamento di Aleppo orientale ha risuonato in tutto il Medio Oriente e oltre, ha fatto vibrare le alleanze, ha provato l’efficacia della violenza ed evidenziato la riluttanza di molti paesi, tra i quali gli Stati Uniti, di farsi coinvolgere».
Nonostante gli appelli umanitari degli ultimi giorni per Aleppo, non sembra che ci siano paesi occidentali disposti a intervenire più massicciamente in quella parte di guerra siriana in cui non è coinvolto lo Stato Islamico, cioè quella che vede contrapporsi i ribelli con le forze alleate ad Assad. Da tempo ormai Stati Uniti ed Europa stanno concentrando i loro sforzi militari esclusivamente contro i miliziani dello Stato Islamico, individuandoli come minacce alla propria sicurezza: non ci sono governi occidentali che appoggiano apertamente Assad, ma finora nessuno ha mostrato di essere intenzionato a combattere le forze del regime, che includono anche i russi e le milizie sciite sostenute dall’Iran. La battaglia di Aleppo di fatto è già stata vinta dalle forze di Assad. Il regime si è ripreso il controllo di questi territori usando la forza militare, grazie soprattutto alle milizie sciite sostenute dall’Iran che hanno guidato le operazioni. Tutti i tentativi degli ultimi mesi di risolvere la crisi ad Aleppo tramite una tregua tra le parti erano falliti: le Nazioni Unite non erano state in grado di sostenere un’azione efficace a causa delle divisioni interne al Consiglio di Sicurezza, l’unico organo che ha i poteri per avviare un’azione militare, e le divergenze di obiettivi tra Russia e Stati Uniti non avevano permesso di raggiungere un accordo nemmeno fuori dall’ONU.