A Craig Sager gli si voleva bene
È morto una leggenda dello sport americano visto in tv, a cui tutti erano molto affezionati
Lo storico cronista sportivo statunitense Craig Sager è morto giovedì sera a 65 anni. Era malato di leucemia, che gli era stata diagnosticata nel 2014, ma nonostante le cure e le sue condizioni via via sempre più debilitate, Sager ha continuato a lavorare fino alle finali NBA di giugno, quando sapeva già che non avrebbe superato l’anno. È stato molto probabilmente il cronista sportivo più noto e apprezzato in America negli ultimi tempi: nel corso degli anni la sua faccia, accompagnata da completi coloratissimi e stravaganti, è stata associata specialmente all’NBA, di cui era diventato il cronista più amato, anche se nel corso della sua lunga carriera aveva coperto praticamente qualsiasi disciplina, dal baseball al calcio passando per golf, tennis e football americano. Sager era particolare e benvoluto perché era un persona positiva e sempre cordiale, e i suoi siparietti prima, dopo e durante le partite di NBA, sia con i giocatori che con gli allenatori, sono stati per anni un intrattenimento nell’intrattenimento.
Sager era nato a Batavia, in Illinois, nel 1951, mostrando da subito una certa vivacità espressa non attraverso comportamenti sopra le righe ma solamente con il suo modo di divertirsi e far divertire la gente. Nei primi anni Settanta frequentò la Northwestern University, in cui fu la mascotte della squadra di football fino al 1973, anno in cui si laureò. Da lì iniziò subito ad avere piccoli incarichi nel giornalismo sportivo, accompagnati da una serie di altri piccoli lavori che lo aiutavano economicamente. Iniziò a coprire le partite della MLB come cronista da bordocampo, ruolo che fin da subito sembrò quello più adatto alle sue caratteristiche, e nel 1981 venne assunto dalla CNN. Nella sua carriera ha lavorato anche per NBA TV e TNT, rete che fa parte del gruppo che controlla CNN.
Nel corso degli anni il suo ruolo da cronista a bordo campo è diventato sempre più una sorta di spettacolino, con varie scene che si ripetevano con diversi intervistati, ma in cui non mancavano discussioni sull’andamento della partita e delle squadre in campo. C’era chi si prendeva il suo fazzoletto da taschino per pulirsi il naso, chi come Kevin Garnett non riusciva a rispondere a nessuna domanda senza prima stupirsi del suo abbigliamento (tanto che una volta gli consigliò di prendere i suoi completi e andare a casa e bruciarli). Sager stava sempre al gioco, così come i giocatori, ma le sue interviste che verranno ricordate più a lungo saranno quelle realizzate con Gregg Popovich, storico allenatore dei San Antonio Spurs e prossimo allenatore della nazionale statunitense: un allenatore burbero e poco accomodante, soprattutto con i giornalisti. Popovich e Sager però erano amici, e nelle interviste che facevano insieme Popovich manteneva il suo ruolo da scorbutico – tranne che nelle partite finite male, quando era veramente irritato — mentre Sager faceva Sager.
Quando il mondo dell’NBA venne a sapere della sua malattia, tantissimi giocatori e allenatori gli mandarono messaggi e lo andarono a trovare a casa e in ospedale. Inizialmente venne sostituito da Craig Sager Jr., suo figlio, che riprese il suo ruolo da cronista a bordo campo. Sager Jr. era anche praticamente l’unico donatore di midollo osseo compatibile con il padre Craig, che si curò per tutto l’anno, si sottopose al trapianto di midollo osseo, seguì la riabilitazione e il 5 marzo tornò a bordo campo per la partita tra Chicago Bulls e Oklahoma City Thunder, dove venne accolto con affetto da tutti, dai dipendenti dell’arena ai tifosi.
Le cure non bastarono, e lo scorso marzo divenne chiaro che Sager era ancora malato e non avrebbe superato l’anno. Sager ha continuato comunque a lavorare per alcuni mesi, coprendo le finali dell’NCAA, i playoff NBA e una gara delle finali, per la prima volta nella sua carriera. A luglio ha ricevuto dal vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden, il “Jim Valvano Award for Perseverance”, un premio che annualmente viene assegnato da ESPN in collaborazione con la “V Foundation for Cancer Research”, una fondazione benefica che raccoglie soldi per la ricerca contro il cancro. Quello che ha pronunciato Sager dopo aver ricevuto il premio è già considerato uno dei discorsi più influenti nella storia dello sport americano.