Sala si “autosospende” da sindaco di Milano
Lo ha annunciato poco dopo la notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati nell’inchiesta sugli appalti di Expo
Giuseppe Sala ha deciso di autosospendersi dalla carica di sindaco di Milano dopo aver saputo da fonti giornalistiche di essere stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura generale nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta “Piastra dei servizi”, un pacchetto di lavori preparatori per Expo 2015. Secondo diversi giornali, i reati che riguarderebbero Sala, ex commissario unico di Expo, sarebbero concorso in falso ideologico e falso materiale. L’autosospensione è prevista dal regolamento del comune ed è valida quando viene formalizzata con il Prefetto: l’autosospensione, porta a una rinuncia da parte del sindaco ai suoi poteri, che passano al vicesindaco, ha una durata limitata nel tempo, e permette di evitare lo scioglimento del Consiglio comunale (che viene invece causato dalle dimissioni del sindaco). L’ufficio stampa del comune di Milano ha diffuso una breve nota:
«Apprendo da fonti giornalistiche che sarei iscritto nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla piastra Expo. Pur non avendo la benché minima idea delle ipotesi investigative, ho deciso di autosospendermi dalla carica di Sindaco, determinazione che formalizzerò domani mattina nelle mani del Prefetto di Milano».
L’inchiesta è coordinata dal sostituto procuratore generale di Milano Felice Isnardi, dopo che a fine ottobre la Procura generale aveva assunto la competenza dell’indagine iniziata nel 2012 togliendola alla Procura che aveva invece chiesto l’archiviazione del fascicolo. La richiesta di archiviazione non era stata accolta dal gip Andrea Ghinetti che aveva deciso di convocare le parti per la discussione e poi stabilire se archiviare o chiedere ulteriori indagini. La Procura generale aveva poi avocato il fascicolo ottenendo un mese di tempo per un primo approfondimento e chiedendone qualche giorno fa altri sei per fare nuove indagini. Il prolungamento dell’indagine ha portato all”iscrizione nel registro degli indagati anche nuovi nomi, tra cui quello di Giuseppe Sala, oltre a quelli già presenti di Antonio Acerbo e Angelo Paris, manager di Expo, Piergiorgio Baita, amministratore delegato di Mantovani ed Erasmo Cinque e Ottavio Cinque, titolari di una delle società del consorzio che vinse l’appalto.
L’inchiesta riguarda in particolare l’aggiudicazione all’impresa Mantovani, con un ribasso del 42 per cento rispetto alla base d’asta che era di 272 milioni di euro, dell’appalto per i lavori preparatori sull’area di Expo necessari per poi costruire i padiglioni. L’impresa Mantovani si era aggiudicata la gara per 149 milioni di euro, cifra che secondo la Procura non era congrua con i prezzi di mercato. Nel 2014 gli investigatori del Nucleo di polizia tributaria avevano scritto nel fascicolo delle indagini che l’assegnazione dell’appalto era avvenuta «in un contesto di evidente illegalità». I reati contestati a Giuseppe Sala, falso materiale e falso ideologico, riguardano l’alterazione o contraffazione di atti pubblici, nel primo caso, e l’attestazione in atti pubblici (che quindi non risultano alterati) di fatti non veritieri, nel secondo.
Il Corriere della Sera ha ricostruito qual è l’accusa che viene fatta a Sala:
Il sostituto procuratore generale Felice Isnardi indaga Sala per quella ipotesi di falso che già anni fa era stata proposta da un rapporto della Guardia di finanza sulle modalità-lampo con le quali Expo nel maggio 2012 sostituì un componente della commissione aggiudicatrice dell’appalto sulla «Piastra» a causa di un potenziale profilo di incompatibilità: modalità-lampo finalizzate ad abbreviare la tempistica che altrimenti, con una procedura standard, avrebbe fatto slittare fuori tempo massimo l’avvio dei lavori, e conseguentemente messo a repentaglio l’apertura di tutta Expo 2015. Gli investigatori avevano cioè evidenziato la difformità tra una serie di telefonate intercettate il 30 maggio 2012 su come sostituire quel membro, e invece la data apparente del provvedimento di annullamento della nomina dei commissari, 17 maggio 2012, «giacché è palese — scriveva la Gdf — la retrodatazione».
Ma i pm non avevano indagato né Sala né altri per questa vicenda ritenendo che la retrodatazione costituisse una sorta di «falso innocuo», che cioè non avrebbe né sfavorito né favorito alcuno dei partecipanti.