È iniziato il processo al governatore di Giacarta
È accusato di blasfemia per aver citato maldestramente un versetto del Corano, ma era da tempo osteggiato dai musulmani integralisti
È iniziato oggi in Indonesia il processo contro Basuki Tjahaha Purnama, più noto con il soprannome di “Ahok”, il governatore della città di Giacarta, la capitale del paese. Purnama è accusato di blasfemia, perché in un comizio di settembre ha citato un versetto del Corano utilizzato dai suoi critici, accusandoli di averlo interpretato in maniera scorretta (un’accusa che invece ha ricevuto lui stesso, e che ha portato all’incriminazione). Secondo le leggi indonesiane sulla blasfemia, Purnama rischia una condanna fino a cinque anni di carcere.
Purnama era da tempo osteggiato dalla comunità musulmana indonesiana: è cristiano e di etnia cinese, e quindi doppiamente in minoranza in Indonesia (dove circa il 90 per cento della popolazione è musulmana). Gli osservatori internazionali ritengono che il processo sia un modo come un altro per attaccare Purnama in vista delle prossime elezioni amministrative, che si terranno nel febbraio 2017, e un nuovo segnale della diffusione di un Islam più radicale in Indonesia, un paese storicamente piuttosto tollerante dal punto di vista religioso. Un conflitto di questo genere è diventato visibile anche in occasione del processo: fuori dall’aula dove era in corso l’udienza, centinaia di oppositori di Purnama – alcuni dei quali vestiti con le tuniche bianche tipicamente islamiche – hanno manifestato a sostegno di una sua condanna.
Uno dei manifestanti contro Purnama regge un cartello con scritto: “Ahok in prigione = governo giusto”, Giacarta, 13 dicembre 2016 (ADEK BERRY/AFP/Getty Images)
Purnama ha 50 anni, è laureato in ingegneria ambientale e prima di entrare in politica aveva fondato un’azienda che si occupava di estrazioni. Dopo essere stato deputato della Dewan Perwakilan Rakyat, la Camera bassa indonesiana, nel 2012 fu eletto vicegovernatore di Giacarta assieme al candidato governatore Joko Widodo, che però nel 2014 lasciò la carica allo stesso Purnama dopo che fu eletto presidente dell’Indonesia. Nonostante Widodo faccia parte del Partito democratico indonesiano di lotta (Pdi-P), laico e nazionalista, Purnama non è affiliato a nessun partito ed è considerato un indipendente: era diventato piuttosto popolare per via delle sue dure posizioni contro la corruzione e per l’impegno a migliorare il trasporto pubblico e altri servizi.
La vicenda della blasfemia è iniziata in settembre, quando Purnama criticò i suoi oppositori per il fatto di usare il versetto 5:51 del Corano – quello secondo cui i musulmani non devono stringere alleanze con ebrei e cristiani – per attaccarlo politicamente. L’offesa sta nel fatto di avere accusato dei musulmani di interpretare in maniera distorta il Corano, un’accusa considerata molto grave nel mondo islamico. Purnama si è scusato più volte per la sua dichiarazione, ma diversi gruppi di musulmani integralisti da allora hanno continuato ad attaccarlo: a inizio novembre una manifestazione di protesta contro Purnama ha attirato a Giacarta circa 100mila persone.
La manifestazione degli integralisti musulmani a Giacarta, in Indonesia, 4 novembre 2016 (GOH CHAI HIN/AFP/Getty Images)
Oggi si è tenuta solamente la prima udienza del processo, in cui Purnama ha fornito una breve testimonianza prima che il tribunale si aggiornasse al 20 dicembre. L’intera udienza è stata trasmessa in diretta dalla tv di stato. Purnama si è nuovamente difeso dalle accuse spiegando che «per me è impossibile insultare l’Islam, dato che sono cresciuto in un ambiente musulmano» – è noto che parte della sua famiglia, compresa sua madre, è musulmana – e che la sua dichiarazione era rivolta «ai politici che usano il versetto 51 in maniera disonesta, perché non vogliono affrontare un’elezione in maniera civile». Durante la testimonianza Purnama ha pianto per due volte. Dopo la fine dell’udienza, sui social network è circolata molto una sua foto mentre viene abbracciato dalla sorella adottiva, coperta col tipico tudung musulmano (una specie di hijab indonesiano).
Raut Sedih di Wajah Ahok dan Pelukan Kakak Angkat Usai Sidang https://t.co/hUhlwIYcFm pic.twitter.com/tNZU225MaO
— detikcom (@detikcom) December 13, 2016
L’Indonesia ha una grande tradizione di Islam moderato, che per molto tempo ha subito anche l’influenza culturale dell’induismo e del buddismo. Le sue istituzioni permettono la libertà di culto, anche se dal 1965 una severa legge sulla blasfemia “protegge” le sei religioni riconosciute ufficialmente dallo stato. Negli ultimi anni qualcosa è cambiato. I gruppi di musulmani integralisti hanno aumentato i propri consensi, le donne hanno cominciato a indossare di più il velo, sono state aperte molte scuole islamiche e le politiche nei confronti delle lesbiche, dei gay, dei bisessuali e dei transgender sono diventate più restrittive. Per dire, anche Netflix ha avuto dei problemi con il provider nazionale per il contenuto di alcuni suoi film e serie tv. Un altro problema è stato l’aumento degli attacchi terroristici di ispirazione islamista: il 14 gennaio 2016 lo Stato Islamico ha compiuto diversi attentati a Giacarta, uccidendo sette persone. Nei mesi successivi ci sono stati altri attacchi, anche se di dimensioni minori.
Purnama – che nel frattempo si è sospeso dalla carica di governatore – era considerato il favorito per le prossime elezioni amministrative, e non è chiaro quanto il processo influenzerà la sua popolarità o se a un certo punto deciderà di ritirare la sua candidatura.