Michael Jordan ha vinto una causa in Cina
L'aveva intentata quattro anni fa contro un'azienda che usava il suo nome in caratteri cinesi: la sentenza potrebbe creare un precedente utile a molti altri marchi occidentali
Dopo una battaglia legale durata quattro anni, giovedì scorso la Suprema corte del popolo della Repubblica Popolare Cinese ha stabilito che i diritti del nome di Michael Jordan, anche se scritti in caratteri cinesi (乔丹), sono di proprietà dell’ex giocatore di basket statunitense, e non possono essere usati liberamente nel territorio cinese. La causa, iniziata nel 2012, era stata intentata da Jordan – che è considerato il più forte giocatore di basket di sempre, e dà il nome a una famosa linea di abbigliamento di Nike, la Air Jordan – contro la Qiaodan Sports, un’azienda di abbigliamento sportivo con sede nella regione del Fujian che finora ha basato tutte le sue attività commerciali sfruttando il nome di Jordan in cinese, oltre al suo storico numero da giocatore, il 23, e a un logo molto simile a quello della Air Jordan. Nel corso degli anni la Qiaodan ha sviluppato circa un centinaio di marchi diversi servendosi del nome di Jordan, utilizzato sia in caratteri cinesi che latini.
Dagli anni Ottanta, ovvero da quando l’NBA ha iniziato ad essere conosciuta anche nel paese, in Cina ci si riferisce a Jordan chiamandolo Qiaodan, scritto 乔丹. Il recente verdetto della Suprema corte ha ribaltato quello di una sentenza precedente emessa da un tribunale di Shanghai, che aveva stabilito che l’uso del termine Qiaodan era troppo comune per poter essere registrato e usato unicamente da Michael Jordan.
Il verdetto della Suprema corte cinese potrebbe aver creato un precedente nel sistema giudiziario e nel diritto commerciale cinese, perché numerosi marchi registrati in molti altri paesi del mondo — soprattutto in Europa e nel Nord America — hanno tentato di avviare delle cause simili a quella di Jordan in Cina, senza successo. È il caso di Hermès, che non riuscì ad ottenere il ritiro dal commercio del marchio cinese Ai Ma Shi, scritto 爱玛仕: la casa di moda francese contestava la somiglianza di quest’ultimo marchio al suo nome cinese. Lo stesso capitò a Apple per i diritti del marchio IPHONE, usato da un’azienda cinese produttrice di oggetti in pelle per commercializzare custodie per pc e smartphone, borse e portafogli. Nella lista delle aziende che si sono viste respingere cause simili ci sono anche Starbucks, alcuni marchi registrati dalle società del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump e New Balance, che nel 2015 dovette pagare 16 milioni di dollari di danni per l’uso illegale del suo nome cinese, già registrato da una società locale.