La più grande collezione d’arte che nessuno può vedere
È a Ginevra, in un magazzino con grandi misure di sicurezza dove le opere sono imballate in casse sigillate
Poco fuori dal centro di Ginevra, in Svizzera, c’è un grande edificio industriale utilizzato come deposito: potrebbe sembrare un magazzino di una qualunque periferia cittadina, se non fosse che al suo interno sono contenute più di un milione di opere d’arte, tra cui alcuni reperti archeologici di epoca romana e, si stima, circa mille opere di Picasso. Il magazzino si chiama in realtà Geneva Free Port ed è stato definito dal direttore del Louvre «il più grande museo che nessuno può vedere». Contiene gli acquisti di coloro che investono nel mercato dell’arte, raccolti e conservati con le migliori condizioni climatiche e di sicurezza. Nonostante si trovino in questo edificio, le opere continuano ad appartenere ai compratori senza che venga chiesto loro di pagarvi sopra le tasse. Sebbene la sua esistenza e gestione si svolga nel rispetto della legge, il Geneva Free Port presenta comunque alcuni aspetti controversi, sia perché si presta a essere utilizzato anche da chi è interessato a traffici illegali, sia per la sua natura di deposito, dove viene accumulato un enorme patrimonio artistico come bene di investimento senza che nessuno lo possa vedere.
La fortuna di magazzini come quello di Ginevra è dovuta alla presenza nel mercato delle opere d’arte di un nuovo tipo di compratori disposti a pagare cifre altissime per opere da accumulare come forma di investimento. Magazzini di questo tipo sono presenti anche a Singapore, Monaco, Lussemburgo e Newark, negli Stati Uniti. Il loro proliferare fa capire come sia orientato attualmente il mondo dei collezionisti, che preferisce tenere al sicuro i capolavori di loro proprietà e vederne crescere il valore piuttosto che esporli. I porti franchi offrono servizi interessanti agli affittuari: un clima controllato e adatto alla conservazione delle opere, una gestione riservata della documentazione ed enormi vantaggi dal punto di vista contributivo perché collocati in paesi o città con regimi fiscali particolari. Sono tutte caratteristiche che hanno fatto diventare questi magazzini “parcheggi” sicuri per coloro che vogliono arricchirsi investendo in beni di lusso (tra le altre cose depositate a Ginevra, ci sono molti gioielli e tre milioni di bottiglie di vino pregiato). Posti simili offrono anche le condizioni ideali per chi voglia trafficare illegalmente nel mercato dell’arte.
All’inizio del 2016 il nucleo di Tutela Beni culturali dei Carabinieri, insieme alle autorità svizzere, ha recuperato nel porto franco di Ginevra quarantacinque casse contenenti reperti romani ed etruschi. Tra i frammenti di affreschi e vasi, sono stati ritrovati anche due sarcofagi policromi, probabilmente saccheggiati dall’antica città etrusca di Tarquinia, a nord di Roma. I reperti erano depositati in Svizzera da molti anni e appartenevano a Robin Sykes, un antiquario inglese già condannato per altri traffici illeciti nel 2005. Il porto franco di Ginevra esiste da 127 anni ed è possibile che alcuni dei beni depositati provengano da traffici illegali. In questo senso è intervenuto il nuovo direttore David Hiler, che da un anno a questa parte ha imposto maggiori controlli sui beni in entrata e in uscita e ha introdotto anche la possibilità di tenere visite a invito e incontri con la stampa.
Per quanto si sforzino di adottare un atteggiamento di apertura, luoghi come questo restano comunque depositi nei quali le opere non sono esposte, ma imballate in casse sigillate. In molti si dicono estremamente critici vero questo tipo di gestione. «Le opere d’arte sono create per essere viste», dice il direttore del Louvre Jean-Luc Martinez, la cui posizione è condivisa anche dalla direttrice del Broad Museum di Los Angeles, Joanne Heyler. Hayler sostiene che i magazzini stiano «spingendo l’arte in una sorta di coma intellettuale». Non tutti però sono d’accordo, e c’è chi dice che nel mondo ci sono tantissime opere che le persone possono vedere e che in passato le opere erano prodotte per lo più su commissione e venivano tenute in abitazioni private. Inoltre per molti artisti viventi il fatto che i loro lavori siano sistematicamente conservati in depositi invece che essere esposti è ormai una regola. Come dice l’artista contemporanea Julia Wachtel, quello vigente è un sistema nel quale gli investitori non hanno alcuna connessione con le opere che acquistano, anche se «sono le persone che comprano arte che permettono agli artisti di vivere».