La lettera di un medico della Croce Rossa, da Aleppo
Che racconta una giornata d'inferno e che alla fine si chiede: «Ci dovranno pur essere dei limiti per questa guerra»
Tra due mesi la guerra in Siria entrerà nel suo sesto anno. La fine dei combattimenti non sembra essere vicina, ma nelle ultime settimane si è parlato molto di una svolta ad Aleppo, dove si sta combattendo la battaglia più importante: le forze del presidente siriano Bashar al Assad e i loro alleati hanno riconquistato i due terzi dei territori sotto il controllo dei ribelli, nella parte orientale della città, rendendo ormai molto improbabile un ribaltamento della situazione. Quello che sta succedendo ad Aleppo est – le conseguenze dei bombardamenti, la scarsità dei beni di prima necessità, le violenze, e così via – è raccontato dai pochissimi giornalisti rimasti, accusati dal regime di Assad di esagerare per fare propaganda filo-ribelli. La situazione, comunque, sembra essere grave così come viene raccontata. Un’ulteriore testimonianza di quello che sta accadendo è stata fornita da una lettera scritta a BBC da un medico della Croce Rossa, che nei giorni scorsi era impegnato nelle operazioni di evacuazione di alcune parti di Aleppo orientale. Riferendosi alla lettera, la giornalista del Washington Post Liz Sly ha scritto su Twitter: «Alcune persone dicono che esageriamo gli orrori di Aleppo, ma questo mostra che non abbiamo idea di quanto grave sia la situazione».
Some people say we exaggerate the horrors of Aleppo, but this suggests we have no idea how bad it really is. https://t.co/7iwgpsKNvS
— Liz Sly (@LizSly) December 8, 2016
La lettera racconta in particolare di un episodio avvenuto nella parte antica della città, dentro a un edificio dove circa 150 uomini si erano rifugiati per proteggersi dai bombardamenti: molti di loro – disabili e persone con disturbi psichiatrici – non sapevano dove altro andare: «erano uno vicino all’altro, con le spalle che si toccavano, si guardavano intorno, cercavano di rassicurarsi». Per il medico della Croce Rossa, di cui BBC non ha rivelato l’identità, l’impatto è stato molto forte:
«Conoscevo l’uomo a capo del centro. Siamo venuti a sapere che aveva perso tutta la sua famiglia tre giorni prima, tra cui sua moglie, suo figlio e suo nipote. Aveva portato la sua famiglia in questo posto perché pensava che nessuno l’avrebbe attaccato. Alcuni dei cadaveri nel cortile dell’edificio erano i suoi famigliari.»
Tuttavia, dopo avere riconquistato diversi quartieri orientali di Aleppo prima sotto il controllo dei ribelli, qualche giorno fa le forze alleate di Assad hanno puntato verso la città antica. L’attacco non è durato molto e la popolazione che abitava queste zone è stata costretta ad andarsene:
«L’evacuazione non è stata semplice. Molti, specialmente quelli con disturbi psichiatrici, non volevano andarsene. Erano confusi, incapaci di fare qualsiasi cosa. Non avevano realizzato che stavano vivendo in una zona di guerra. Alcuni abitavano lì da quattro o cinque anni. Non conoscevano nient’altro. “Non abbiamo altri parenti, non abbiamo nessun posto dove andare”. Alcuni dicevano di voler restare. E poi sono arrivati dei combattenti. Avevano con loro sei bambini. Li avevano trovati tra le macerie, persi, non si muovevano. La più grande era una bambina di sette anni, il più piccolo un bambino di 7 mesi. Non mangiavano da due giorni. Era appena diventati orfani, tutti, i loro parenti erano stati uccisi da una bomba qualche giorno prima. Non avevano niente e nessuno. Cosa puoi dire? Cosa puoi fare?»
Dopo le ultime vittorie militari, la sconfitta dei ribelli ad Aleppo sembra quasi inevitabile. Stando così le cose, è difficile pensare che la situazione si possa ribaltare: il regime siriano sta riuscendo a massimizzare il contributo militare che sta ricevendo dalla Russia, dalle milizie sciite, da Hezbollah e dall’Iran, mentre i ribelli sono sempre più in difficoltà. È difficile comunque dire se un’eventuale vittoria ad Aleppo – o meglio, quel che rimane di Aleppo – potrà essere decisiva per vincere la guerra. Intanto la parte orientale della città è stata ridotta praticamente in macerie, dopo anni di bombardamenti e scontri: non si sa quello che succederà a chi non se n’è ancora andato via.
«Tutto questo non c’entra con chi ha ragione o torto. Con chi sta vincendo o chi sta perdendo. Riguarda le persone: la carne e il sangue, gli esseri umani. Che si feriscono, muoiono, diventano orfani, ogni giorno. Sono così triste oggi. Ci dovranno pur essere dei limiti per questa guerra.»