Giacarta sta affondando
La capitale dell'Indonesia si sta abbassando cento volte più rapidamente di Venezia, ma l'unico piano per salvarla è molto controverso
Giacarta è la capitale dell’Indonesia ed è abitata da dieci milioni di persone: si affaccia sul Mar di Giava ma il suo problema non è – come per alcune isole dell’Oceano Pacifico – l’innalzamento delle acque. Come ha raccontato sul Guardian Philip Sherwell, Giacarta è la città che sta affondando più rapidamente al mondo. La parte settentrionale della città si trova già oggi sotto il livello del mare, e soltanto una serie di precarie paratie fanno sì che non sia già sommersa. Non è chiaro quanto ancora questo sistema reggerà: la città, infatti, continua a sprofondare di 5-10 centimetri l’anno, in alcuni punti addirittura di 25. Per fare un paragone, ogni anno Venezia si abbassa di un paio di millimetri.
Che cosa può accadere se questo processo non sarà arrestato lo si è visto nel 2007, quando le piogge particolarmente intense gonfiarono i fiumi che attraversano la città. Quando le acque uscirono dagli argini, invece di dirigersi verso la baia, si riversarono nei quartieri settentrionali della città, che si trovano sotto il livello del mare. Ottanta persone morirono nell’alluvione, 70 mila case vennero allegate e mezzo milione di persone furono evacuate. Secondo gli esperti è stata la peggiore alluvione avvenuta nel paese negli ultimi trecento anni. Da allora non passa anno senza che la città non trascorsa la stagione delle piogge parzialmente sommersa.
La situazione della città è resa ancora più precaria da una serie di fattori esterni. La deforestazione, per esempio, ha reso più frequenti e devastanti le inondazioni. La manutenzione dei bacini dei fiumi è stata spesso compiuta in maniera approssimativa e i loro letti sono ingombri di rifiuti. Anche il sistema politico estremamente frazionato dell’Indonesia, un paese federale in cui i singoli stati mantengono una significativa indipendenza, rende difficile raccogliere le energie e le risorse per mettere insieme una soluzione efficace.
Nonostante le difficoltà, negli ultimi anni il governo locale ha sviluppato un progetto faraonico per mettere in sicurezza la città. Il piano ha un costo previsto di 40 miliardi di dollari e prevede la costruzione di una cintura di isole artificiali al largo della città, collegate da un sistema di dighe e chiuse: in questo modo la baia di Giacarta verrebbe trasformata in una laguna artificiale. Il livello dell’acqua potrebbe essere controllato, assicurandosi che rimanga sempre sotto quello della città.
I dettagli tecnici del piano e parte della sua realizzazione sono stati affidati al governo e a una serie di imprese dei Paesi Bassi, una nazione in buona parte costruita sopra terre che senza un complesso sistema di canali e dighe – esistente da oltre mezzo millennio – sarebbero sommerse. Gli olandesi sono ritenuti i principali esperti al mondo in questo tipo di lavori, ma l’operazione è estremamente costosa, soprattutto per un paese povero come l’Indonesia.
Per finanziare il progetto, il governo locale di Giacarta ha pensato di coinvolgere i capitali privati. Al piano per salvare la città, quindi, si è affiancata una gigantesca operazione edilizia urbana: il “National Capital Integrated Coastal Development“, o NCICD. Le isole artificiali saranno trasformate in quartieri residenziali, con palazzi e uffici di prestigio. Anche sul lato opposto della laguna, lungo la costa, il piano prevede una vasta operazione di riqualificazione. Oggi, racconta il Guardian, le aree lungo la costa sono piene di cartelli che promuovono i condomini di lusso che tra qualche anno dovrebbero sorgere sul lungomare della città, mentre negli uffici delle società di costruzioni si possono vedere plastici che mostrano condomini avveniristici dove oggi sorgono discariche e villaggi di pescatori.
Una particolarità di Giacarta, infatti, è proprio che la maggior parte delle aree residenziali di prestigio sorge nell’interno e non sul mare. Furono gli olandesi, per secoli i dominatori della città, a fare questa scelta, costruendo le loro residenze sulle colline dell’interno, un’area più salubre e meno a rischio di essere colpita da un tifone tropicale. Oggi la parte di Giacarta che affaccia sul mare è dominata dalle grandi strutture del porto, dalle industrie legate ai trasporti marittimi e da una serie di villaggi di pescatori che sono tra i più poveri abitanti della città. Sono loro che occupano l’area a nordest di Giacarta, quella che sta sprofondando più rapidamente.
I primi problemi del piano per salvare la città cominciano proprio qui, perché per realizzare l’NCICD migliaia di pescatori dovranno essere sfrattati dai loro villaggi. In molti casi gli sgomberi sono già cominciati. Di solito gli abitanti ricevono la notifica di sfratto pochi giorni prima dell’arrivo dei bulldozer. Una volta cacciati, i pescatori vengono trasferiti in grandi complessi abitativi fuori città. Il governo garantisce un tetto ma li priva dell’unico mezzo di sostentamento che hanno, la pesca nell’inquinatissima baia di Giacarta. Anche le comunità che non sono ancora state costrette a lasciare i loro villaggi si trovano in difficoltà a causa del NCICD. I lavori nella baia sulle prime isole artificiali hanno fatto scappare i pochi pesci che rimanevano nella zona, rendendo i loro guadagni sempre più magri.
Alcuni bambini giocano lungo uno dei fiumi di Giacarta (AP Photo/Tatan Syuflana)
I danni subiti dalle comunità locali non sono l’unico problema che comporterà la realizzazione del NCICD. Diversi esperti indonesiani sono contrari al progetto, sostenendo che rischia di trasformare la baia di Giacarta in una laguna tossica. Oggi infatti gran parte dei rifiuti cittadini viene convogliata dai fiumi o dagli scarichi fognari nel mare di fronte alla città: non è una soluzione salubre, ma finché la baia rimane aperta le correnti la ripuliranno almeno in parte. Se la baia venisse chiusa, i rifiuti continuerebbero ad accumularsi al suo interno. Per quanto sia difficile comunque sostenere che l’attuale sistema di smaltimento dei rifiuti vada difeso, i progettisti olandesi ammettono che l’NCICD, per essere efficace, avrà bisogno di essere integrato con un nuovo sistema di gestione di rifiuti della città che riguardi anche i fiumi che sfociano nella baia. In molti però dubitano che il governo locale avrà le risorse e le energie per portare avanti un progetto così complesso, soprattutto se dovrà farlo contemporaneamente al NCICD.
Nonostante le critiche, il progetto è al momento l’unica alternativa allo sprofondamento della città. Secondo le stime, la parte settentrionale della città sarà sommersa dalle acque entro il 2030 ma al momento il progetto è stato bloccato dal governo centrale: le ragioni non sono chiare, ma ci sono indagini in corso per corruzione e sull’impatto ambientale. Altri pensano che questi argomenti siano alibi dietro un più ampio scontro di potere nell’opaca politica indonesiana. Altri ancora sostengono che si debbano fare nuovi studi sul progetto. Il risultato è che oggi si parla di almeno un altro anno di attesa, prima di una nuova decisione. La nuova stagione delle piogge intanto è cominciata e andrà avanti fino a marzo.