Bruno Pontecorvo, grande fisico e forse spia

Lo storico Siegmund Ginzberg racconta l'importanza delle ricerche del fratello del regista Gillo, che nel 1950 andò a lavorare in Unione Sovietica

(AP Photo)
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Su Repubblica di oggi lo storico Siegmund Ginzberg ha raccontato chi era Bruno Pontecorvo, grande fisico italiano naturalizzato sovietico vissuto tra il 1913 e il 1993. Quest’estate è uscito un nuovo libro su Pontecorvo, scritto dal fisico britannico Frank Close: si intitola Una vita divisa. Storia di Bruno Pontecorvo, fisico o spia ed è pubblicato da Einaudi, che ha raccolto nuovi indizi sulla teoria per cui Pontecorvo sarebbe stato una spia russa prima del 1950, quando se ne andò in Unione Sovietica, dopo aver lavorato negli Stati Uniti, in Canada e in Regno Unito. Pontecorvo, che era fratello del famoso regista Gillo, ha sempre negato di aver lavorato ai progetti per lo sviluppo della bomba atomica, ma Ginzberg spiega che «le sue ricerche evidentemente servivano anche a quelli che facevano la bomba». Pontecorvo si dedicò soprattutto alle ricerche sui neutrini, e secondo Close avrebbe meritato di vincere il premio Nobel, che però non gli fu mai assegnato.

«Voglio essere ricordato come un grande fisico, non come una vostra fottutissima spia». Così, nel 1993, poco prima della morte, Bruno Pontecorvo avrebbe declinato una richiesta di intervista da parte di uno storico russo che stava facendo ricerche per un documentario sulla guerra fredda. La citazione è di terza mano: dice lo storico che così gli riferì il rifiuto il funzionario ex Kgb a cui si era rivolto perché sollecitasse l’intervista. Contrasta con lo stile e l’eleganza del personaggio. Ma lo sfogo è assolutamente verosimile. Pontecorvo, uno degli allievi più promettenti di Enrico Fermi, come il suo maestro emigrato prima in America, per sfuggire alle leggi razziali, poi in Inghilterra, nel 1950 era “sparito” in Russia. Ma di queste cose non parlava. Non con i giornalisti, non con i familiari, forse nemmeno con se stesso. A quanto pare non ne discusse mai con il figlio Gil, che aveva dodici anni quando la famiglia interruppe in pieno agosto le vacanze in Italia e si ritrovò a Mosca, e che continua a fare il fisico nel laboratorio del padre a Dubna. Non diede spiegazioni a nessuno dei parenti e amici che aveva potuto rivedere in Italia solo trent’anni dopo, e nessuno gliele chiese.

Nel 1990 parlò a più riprese con Miriam Mafai. Ma non di spionaggio. Il suo libro Il lungo freddo è una miniera, una fonte di inestimabile ricchezza, anche sulla vita intima e affettiva di Pontecorvo. Le sarebbe stato rimproverato di aver accettato una versione fin troppo “autorizzata” e troppi silenzi dal suo interlocutore. «Ci sono cose che non potete capire, a meno che non siate stati comunisti», aveva risposto Miriam a Frank Close che le chiedeva conto di quei silenzi. Era nel marzo 2012, un mese prima che anche lei scomparisse. Eppure di cose a lei ne aveva dette: «Sono confuso» era stata la risposta alla richiesta di un giudizio sugli sviluppi politici (era da poco crollata l’Urss). «Sono stato un cretino”, avrebbe rincarato in un’intervista all’Independent nel 1992.

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