Cosa vuol dire paventare
Stefano Bartezzaghi riflette sul diffuso uso scorretto della parola, e su quello che significa
Stefano Bartezzaghi, su Repubblica, ha raccontato come stia lentamente cambiando il significato della parola “paventare”, che secondo i vocabolari vuole ancora dire “temere”, ma che nell’uso più frequente che se ne fa significa “minacciare”, “prospettare”. Come spesso capita con la lingua, a questo cambiamento bisognerà rassegnarsi.
«Le opposizioni paventano la crisi di governo». La temono o invece la annunciano, la minacciano, la prospettano, la ventilano, la preparano, in fondo la auspicano? La seconda interpretazione è più logica, ma quella linguisticamente corretta è la prima. Ebbene? La lingua cambia e non bisognerebbe patire troppo le distorsioni linguistiche altrui, per non cadere nella Sindrome di Palombella Rossa e finire per prendere a schiaffi inermi giornaliste e urlare: «Le parole sono importanti!» (due reazioni, quale più, quale meno, sicuramente esagerate).
Sul caso di “paventare” converrà predisporsi alla rassegnazione: i vocabolari non registrano ancora questa nuova accezione, ma lo faranno presto — che lo si paventi o meno. Si tratta però un caso tutt’altro che banale. Il verbo significa propriamente “temere” e, con lieve estensione, “prevedere qualcosa di temibile”. Cassandra paventa, paventa fortemente. Ma Cassandra sa, per dono degli dèi, dice e non viene ascoltata. Invece oggi chi paventa viene ascoltato, anche se più di tanto non può sapere. Il significato di “paventare” è così piano piano scivolato fino ad arrivare su un terreno che è il suo, cioè fino a significare non più: «aver paura di»; ma: «mettere paura di». L’enfasi oggi non è sulla temibilità dell’oggetto paventato, bensì sul potere di monito del paventare.
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