Come guadagnano i siti di notizie false
Non usano solo le pubblicità di Google, che dice di volerle bloccare, ma anche molti altri servizi di aziende più piccole, con regole non sempre chiare
L’ampio dibattito sulla facilità con cui circolano le notizie false online, e la recente inchiesta di BuzzFeed News sul Movimento 5 Stelle e le bufale su Internet, ha riportato l’attenzione sulle migliaia di siti e account sui social network che diffondono notizie infondate e sensazionalistiche non tanto per disinformare ma per ragioni economiche: generare grandi quantità di visite, che grazie alle pubblicità si trasformano in ricavi per i loro gestori. Il fenomeno è molto diffuso anche in Italia e non riguarda solamente la rete di siti messa in piedi da Casaleggio Associati, l’azienda che tra le altre cose si occupa della parte tecnica (ma non solo) dei siti di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle. Il giro di affari dei siti di notizie false in Italia è difficile da calcolare: dipende dalla quantità di traffico che riescono a produrre attraverso i motori di ricerca e i social network, dai sistemi pubblicitari che utilizzano e dalla loro capacità di creare più account, per condividere i loro contenuti e farli trovare più facilmente ai lettori. I bassi costi di manutenzione dei siti, di solito creati utilizzando grafiche predefinite e piattaforme gratuite per la pubblicazione come WordPress, uniti alla possibilità di produrre molti contenuti con poco personale (a volte una persona è più che sufficiente), contribuiscono a ridurre le spese e a fare aumentare in proporzione i guadagni.
Attraverso AdSense, Google offre un servizio molto semplice e accessibile per inserire la pubblicità su un sito: Google si occupa della vendita degli spazi agli inserzionisti, che pagano per mostrare i loro banner pubblicitari, e trattiene per sé una commissione lasciando il resto al gestore del sito. L’iscrizione è semplice e non ci sono particolari controlli da parte di Google, che verifica più che altro (con sistemi automatici) che siano inseriti i giusti codici nelle pagine, in modo da mostrare correttamente le pubblicità. In linea di massima, più un annuncio è visto e cliccato, maggiori sono i ricavi per il proprietario del sito. Lo stesso meccanismo è applicato da diversi altri grandi servizi per la vendita di pubblicità online, a partire dal più diffuso e utilizzato Criteo, che ricorre molto spesso sui siti di bufale e notizie false, forse perché esegue meno controlli sui siti che lo utilizzano.
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Le pubblicità sui siti di Casaleggio Associati
Per la sua inchiesta, BuzzFeed News ha confrontato i codici AdSense nelle pagine di vari siti di Casaleggio Associati, notando che in diversi periodi di tempo erano gli stessi (un iscritto al servizio può utilizzarli su più siti di sua proprietà). In particolare, gli stessi codici AdSense – quindi gli stessi account – sono stati usati sul blog di Beppe Grillo e su due siti di Casaleggio Associati – TzeTze e La Fucina – che si definiscono di notizie, ma che in realtà hanno di frequente condiviso notizie false, sensazionalistiche o utilizzando fonti poco affidabili come alcuni media del governo russo. La pagina Facebook di TzeTze ha quasi 1,2 milioni di “Mi piace”, mentre La Fucina ne ha circa 200mila.
Altri siti che mostrano la partita iva di Casaleggio Associati (per le aziende è obbligatorio mostrarla sui siti di loro proprietà) utilizzano sistemi simili, come La Cosa che raccoglie e mostra video di ogni tipo, riprendendo spesso teorie complottiste, e ha circa 127mila “Mi piace” su Facebook. Queste pagine, e molte altre riconducibili a Casaleggio Associati, condividono a vicenda i loro contenuti, gestendo una sorta di network che si autoalimenta e che fa circolare più facilmente gli articoli, producendo di conseguenza più pagine viste e quindi più soldi derivanti dalla pubblicità.
Grillo/M5S say that these websites that for some weird reason have the AdSense ID associated with his site have no link to M5S pic.twitter.com/Nyd6gPVcbU
— Alberto Nardelli (@AlbertoNardelli) November 30, 2016
La pubblicità è molto presente sui siti di Casaleggio Associati, come si sarà accorto chiunque ci sia finito sopra almeno una volta. TzeTze, per esempio, usa un insieme molto variegato di servizi per fare pubblicità: oltre a quelli di Google, sono presenti annunci di piattaforme come Criteo, Ligatus, LinkWeLove, TheOutPlay e Publy. Alcuni di questi utilizzano forme ibride di promozione, dando la possibilità ai siti di mostrare al fondo delle loro pagine una serie di articoli correlati, che rimandano in alcuni casi ad altre pagine dello stesso sito e in altri a contenuti promozionali, o direttamente ai siti che fanno la pubblicità di un prodotto. Adattando il design del proprio sito e quello di queste sezioni si può ottenere una buona omogeneità grafica, con l’obiettivo di trarre più facilmente in inganno il lettore e aumentare le probabilità che faccia almeno un clic.
Il denaro rientra nel fatturato di Casaleggio Associati, che tra le sue varie attività fornisce le risorse tecniche per la gestione dei siti di Grillo, del Movimento 5 Stelle e di “Rousseau”, la piattaforma per la “democrazia diretta online” utilizzata dal M5S. L’azienda è una società a responsabilità limitata (srl), i suoi bilanci sono pubblici, ma come hanno notato in molti non sono particolarmente dettagliati ed è impossibile farsi una chiara idea su come si formano le entrate, o su quale sia la struttura dei costi e l’organizzazione stessa della società. È quindi difficile anche comprendere il rapporto in termini economici tra Casaleggio Associati e il Movimento 5 Stelle, ma i dati mostrati da BuzzFeed News dimostrano un particolare incrocio di interessi e attività tra i siti del partito e quelli che si definiscono di “notizie”, per lo meno per la raccolta pubblicitaria.
Gli altri “siti di notizie”
Oltre a TzeTze, La Fucina e La Cosa, ci sono molti altri siti che in Italia seguono un modello simile linkandosi tra di loro e utilizzando i loro account sui social network per rendere più visibili i contenuti, nella speranza di ottenere qualche pagina vista in più. I loro articoli riportano notizie false di ogni tipo e – probabilmente per evitarsi denunce e altri problemi giudiziari – scrivono da qualche parte di essere siti umoristici, parodie e di satira, anche se poi i loro articoli non hanno niente di umoristico. La stessa indicazione non è però presente sulle pagine di Facebook che utilizzano per promuovere i loro contenuti, con titoli sensazionalistici e che s’interrompono sul più bello, per indurre i lettori a cliccare e a scoprire di che cosa parlano. Allo scopo di spacciarsi come veri siti di news, utilizzano nomi che sono più o meno smaccate storpiature delle testate affermate e molto conosciute: Il Fatto Quotidaino, Il CoRRiere della Sera, Libero Giornale, La Repubblica (e in piccolo) delle banane, La Rebubblica, Corriere della Pera, Il Messaggio, Panorana e La Nozione. Altri sfruttano l’utilizzo di “24” nel nome delle testate per dare l’idea di essere siti che coprono la stretta attualità: Rubrica24, Ultim’ora 24 e ItaliaNotizie24.
Le pagine su Facebook di molti di questi siti hanno decine di migliaia di iscritti, con centinaia di “Mi piace” e condivisioni ai loro post su notizie improbabili, inesatte o smaccatamente false. La linea editoriale, ammesso che possa essere definita così, varia a seconda delle testate: alcune scelgono di diffondere bufale vere e proprie, altre di cambiare le notizie quel tanto che basta per renderle più sensazionalistiche. Su Facebook un lancio tipico di un articolo è: “NOTIZIA SHOCK APPENA ARRIVATA IN REDAZIONE” cui segue una parziale indicazione sul fatto, per esempio “disastro aereo”, ma senza specificare quando e soprattutto dove. L’obiettivo è far credere che possa essersi verificato in Italia, poi si clicca sull’anteprima di Facebook, si legge l’articolo (di solito poche righe) e si scopre che l’incidente è avvenuto in Colombia. Nel frattempo il lettore ha effettuato una visita sul sito e ha visto gli innumerevoli banner pubblicitari, generando un ricavo per il gestore. E queste sono le più innocue: poi ci sono quelle contro gli immigrati o contro questo o quel politico. La stessa tecnica è utilizzata anche da TzeTze, La Fucina e dagli altri siti che sono riconducibili a Casaleggio Associati.
Cosa fanno Google e Facebook
In seguito alla vittoria di Donald Trump alle presidenziali degli Stati Uniti, secondo diversi osservatori favorita dalla facilità con cui sono circolate le bufale su Internet e soprattutto sui social network, Google e Facebook hanno annunciato regole più severe nei confronti dei siti che diffondono notizie false. Entrambe le società, per esempio, si sono impegnate a escludere questo tipo di siti dai loro servizi per la pubblicità online. L’iniziativa è stata accolta positivamente, anche dai più critici, perché consentirebbe di tagliare la principale fonte di ricavi per migliaia di siti poco affidabili in giro per il mondo, ma ci sono molti dubbi sulle capacità di Google e Facebook di identificare e mettere in una lista nera i siti di bufale. Come abbiamo visto, in molti casi la diffusione di falsità è sfumata, oppure mascherata come “satira”, e potrebbero esserci errori nell’esclusione dalle piattaforme per la pubblicità. Google e Facebook, che gestiscono due dei sistemi più grandi per le pubblicità online, non hanno finora fornito altri dettagli su come intendono escludere i siti, né con che tempi.
E gli altri?
Criteo è la piattaforma di pubblicità online più ricorrente su molti di questi siti che guadagnano diffondendo notizie false o addirittura pericolose per i lettori (nel caso per esempio dei consigli sui rimedi fai-da-te per la salute). La società è stata fondata a Parigi nel 2005, occupa quasi 2mila persone, è presente in 30 mercati e i suoi banner sono visibili su decine di migliaia di siti in giro per il Web. Criteo mostra soprattutto pubblicità dei siti per la vendita e la promozione di prodotti già visitati dagli utenti, utilizzando sistemi (“cookie”) che registrano le loro attività online. Nel 2015 ha prodotto utili per 62 milioni di dollari e ha un giro di affari intorno agli 1,3 miliardi di dollari.
Criteo non ha mai preso una posizione ufficiale sui siti di bufale e notizie false che mostrano i suoi banner, ma il suo regolamento dice comunque che il gestore del sito che utilizza la sua piattaforma non deve pubblicare “materiale che sia osceno, diffamatorio o contrario a qualsiasi legge e regolamento applicabile nel suo paese”. Criteo nel suo regolamento si riserva il diritto di interrompere il rapporto commerciale con un sito nel caso ci siano violazioni delle norme, ma non cita mai esplicitamente i siti di notizie false; anche gli altri servizi per la pubblicità online hanno termini e condizioni simili. Criteo ha spiegato al Post che “per tutelare i suoi clienti” utilizza una blacklist nella quale sono inseriti i siti che non rispettano le sue linee guida, aggiungendo che l’azienda non commenta singoli casi sul tema.
Come nel caso di Google e di Facebook, anche per gli altri servizi per la pubblicità online non è molto chiaro come siano eseguiti i controlli e quanto siano frequenti. Il business delle bufale è molto redditizio, perché i siti che le diffondono riescono spesso a raccogliere molte visite. Per una piattaforma per la pubblicità di medie dimensioni è difficile rinunciare a un cliente che produce molte pagine viste, anche perché è il primo dato cui sono interessate le aziende quando valutano di farsi pubblicità online. L’impressione è che, anche se Google e Facebook mettessero effettivamente in pratica quanto hanno promesso, i siti di notizie false e bufale potranno continuare a esistere e a produrre ricavi grazie agli altri servizi per la pubblicità online, che non sembrano essere interessati a esporsi più di tanto sul tema.