Come finì la Lazio più bella
Si sbriciolò in un mese che cominciò quarant'anni fa, racconta Marco Lodoli su Repubblica, e che definì "il complesso sentimento della lazialità"
Marco Lodoli su Repubblica di giovedì ha raccontato la storia di quella che definisce la Lazio più bella di sempre, nel senso della squadra di calcio: «bella e sciagurata», composta da calciatori che si detestavano durante la settimana ma erano compattissimi durante le partite, che andavano in giro armati, che vinsero uno Scudetto in modo imprevedibile nel 1974 e poi si sfasciarono. La fine di quella squadra cominciò il 2 dicembre del 1976, quarant’anni fa, quando morì di cancro l’allenatore che poco prima li aveva portati allo Scudetto; un mese dopo uno dei suoi calciatori migliori fu ucciso in una gioielleria.
Tra il 2 dicembre 1976 e il 18 gennaio 1977 si è definito per sempre il complesso sentimento della lazialità, la morte di Tommaso Maestrelli e quella di Luciano Re Cecconi hanno dato al tifo biancazzurro l’impronta della sofferenza e del pessimismo, il senso di appartenenza a una fazione sportiva segnata dalla sfortuna, e nobile proprio per questo. L’aquila laziale volteggia anche sulla tragica fine di Paparelli e Sandri, di Nando Viola e Frustalupi, su una storia fatta di molte pagine scure e qualche pagina luminosa. Di sicuro il capitolo più bello, quasi leggendario, è lo scudetto conquistato nel ’74: se lo scorso anno tutti hanno applaudito l’incredibile primato del Leicester di Ranieri, squadretta che contro ogni pronostico ha vinto il campionato inglese, allora bisogna riconoscere che l’avventura della Lazio di Maestrelli fu ancora più strabiliante.
Era una squadra di matti, un gruppo incandescente di calciatori che provenivano dalla serie B o addirittura dalla serie C, eppure si dimostrarono i più forti e si cucirono lo scudetto sulla maglia. Era la Lazio di Chinaglia è il grido di battaglia, di “capolinea” Wilson, di Garlaschelli, il Garrincha del lago di Como, di Re Cecconi angelo biondo, di Nanni e Martini polmoni inesauribili, di Oddi “der Tufello” e di Frustalupi con il riporto da impiegato del catasto, di D’Amico “er regazzino”. Si dice sempre che per fare una squadra vincente servono campioni, spogliatoio unito, seria preparazione atletica, organizzazione societaria impeccabile: ebbene, quella Lazio era esattamente il contrario.